- Introduzione
- La storia
- Gli effetti sulla salute
- Prospettive future
Puoi trovare questo nucleo nel numero 11 a pagina 46 del giornale.
- Luglio 8, 2023
X Town è un progetto editoriale che racconta la trasformazione fisica e sociale delle company town italiane, città la cui vita produttiva gira attorno a una o poche grandi fabbriche.
In un’economia che si sta lasciando il settore dell’industria pesante sempre più alle spalle, questi luoghi si trovano in una fase di transizione profonda e delicata.
È l’11 marzo e la nave Golar Tundra, il rigassificatore galleggiante voluto dal governo Draghi che il 19 marzo è arrivato a Piombino dal Sud-est asiatico, si trova a 3000 km di distanza. Sta attraversando il canale di Suez. Quando arriviamo in città il sole è già tramontato e Piombino sembra una qualsiasi località portuale italiana di piccole dimensioni. A partire dal giorno dopo, invece, una cosa diventa evidente: immaginare la città di Piombino senza l’acciaieria e l’altoforno è impossibile. Ancora oggi, qualsiasi direzione si prenda – a largo del mare, nelle campagne della Val di Cornia o nel centro storico di Piazza Bovio – non si può non fare i conti con quella dura presenza.
La storia
Attualmente in via di demolizione, la Fabbrica – così è chiamata dai piombinesi la zona industriale composta sia dall’altoforno necessario al ciclo integrale sia dalla zona di produzione di semilavorati – è stata per molti anni un elemento centrale nella vita delle persone. «Ho iniziato a lavorare in fabbrica a 17 anni e un mese», spiega Adriano Bruschi, 67 anni. Adriano è entrato subito dopo le scuole medie nella scuola aziendale della Fabbrica. «Era una scuola parifcata con le professionali. Si faceva una selezione all’ingresso e dopo tre anni si era automaticamente assunti», prosegue. In questo modo, la Fabbrica iniziava fn da subito a caratterizzare il futuro dei piombinesi. Pensando al suo primo giorno di lavoro, infatti, Adriano sottolinea la familiarità che già aveva con i luoghi della zona industriale. «Ero abituato a quell’ambiente perché durante la scuola ci portavano a vedere i vari impianti. Quindi non è stato proprio uno shock». Anche per Giancarlo Giuntoli, 76 anni, l’entrata in acciaieria non è stato un evento traumatico. Mentre passeggiamo vicino alla zona industriale di Piombino insieme a lui e a sua nipote Viola, liceale, ci racconta la sua vita. Ci spiega che è arrivato in fabbrica dopo vari altri lavori e dopo aver fatto il militare. Suo padre, operaio, era stato licenziato qualche anno prima. «Rispetto a quello che era successo prima e a quanto avevamo sofferto con la disoccupazione, entrare in acciaieria per me era come aver vinto alla lotteria», dice.
A Piombino, l’evoluzione della Fabbrica è sempre andata di pari passo con quella della città. Nel corso della storia Piombino ha vissuto una crescita demografica senza pari: si passa da poco meno di 3mila abitanti nel 1861 a più di 36mila oggi (un aumento di 5 volte maggiore rispetto a quella dell’intera provincia). Un aumento così elevato è legato alla crescita di manodopera necessaria per il funzionamento di uno dei più grandi siti siderurgici italiani. Per diversi anni, la Fabbrica monopolizza il mercato del lavoro della città: quasi tutti i piombinesi hanno almeno un familiare o un amico che ci lavora. «A quel tempo la Fabbrica era come una mamma, assumeva tutti. Anche lo scemo del paese», ricorda Adriano. Così, l’aumento dei cittadini dipende dall’aumento degli operai: se nel XIX secolo ce ne sono un centinaio, dal dopoguerra in poi il loro numero diventa considerevole, con un picco di più di 8mila lavoratori nei primi anni ‘80. Da quel momento in poi comincia un lento declino che si trascina per diversi anni.
Così nel 2014, dopo ripetute crisi del settore siderurgico, inizia il processo di spegnimento dell’altoforno e nello stesso periodo molti operai piombinesi vengono messi in cassa integrazione. Alcuni di loro sono ancora nella stessa condizione: a gennaio 2023 per 1428 operai è stata rinnovata la cassa integrazione per altri 12 mesi. Nel 2022, inoltre, sono iniziati i lavori per la demolizione di alcune aree industriali, tra cui proprio l’altoforno. Così la Fabbrica a poco a poco smette di essere il centro di impiego per molti piombinesi. Negli anni, le società che passano dal sito siderurgico si susseguono l’un l’altra senza sosta: dalla Magona d’Italia alla Società Altiforni e Fonderie di Piombino, che si trasformò nella Società Altiforni e Acciaierie d’Italia; dal Consorzio ILVA alla Finsider, che poi diventò Italsider Altiforni e Acciaierie Riunite Ilva e Cornigliano; dalla Deltasider spa al Gruppo Lucchini – a cui sono seguite sigle inconsuete, di privati stranieri, come Severstal, Cevital, Jindal SW. Sullo sfondo, però, rimangono gli stessi personaggi: gli operai piombinesi, che man mano che passano gli anni si ritrovano con sempre meno certezze rispetto al proprio futuro.
Tra loro c’è anche Alessandro Magnani, che ha lavorato nella Fabbrica in molti dei suoi momenti critici: quando la produzione di acciaio a ciclo integrale era a buon ritmo, durante lo shutdown dell’altoforno e, ora, come operaio incaricato delle demolizioni. È un amico d’infanzia di Mattia Crocetti, il fotoreporter con cui abbiamo pensato e realizzato questo lavoro, che da piombinese ci ha aiutato a raccogliere storie e conoscere persone molto diverse. Lo andiamo a prendere a casa sua, nel centro della città, e ci facciamo portare alle spalle della Fabbrica. Nel frattempo Alessandro ci racconta le varie fasi della sua vita da operaio, iniziata nel 2008 da poco più che diciottenne. «In casa era un periodaccio, mia mamma aveva un mutuo a carico: se non ci fossi stato io le cose sarebbero andate molto male», spiega.
Tutti i suoi amici lo chiamano “King” per questo motivo. Dopo il giro ci prendiamo una birra con lui a casa di Mattia, così da chiacchierare in un clima più rilassato. Mentre parla, il suo tono di voce cambia spesso. A volte siamo costretti a interromperlo per chiedere il signifcato di parole tecniche o per farci descrivere i macchinari e gli attrezzi che cita. Così la sua storia inizia a prendere forma: «lavorare nella Fabbrica a diciott’anni era spaventoso, un inferno: tutti capannoni attaccati l’uno con l’altro, dove in alto c’erano le siviere – grossi contenitori di acciaio fuso – treni che andavano su e giù. Descrivere il posto è difcile: passavi dallo spazio aperto a labirinti di tunnel e scale».
Poi, il 24 aprile 2014 inizia il processo di arresto dell’altoforno. Lui e alcuni suoi colleghi sono stati incaricati di effettuare la salvaguardia dell’impianto, cioè sorvegliare sull’altoforno mentre raggiunge gradualmente lo spegnimento. Le parole che escono dalla bocca del King sembrano distaccate, apatiche, come se non provasse rabbia o rancore verso il suo passato. Ci racconta tutto come se la sua esperienza fosse una come tante altre a Piombino.
Inizia così il periodo più complicato della sua vita lavorativa e di quella di gran parte della città. Come moltissimi altri operai piombinesi, entra in cassa integrazione, dove è rimasto fino al 2022. «In quegli anni ho sempre cercato qualcosa di rimpiazzo, però il gioco non valeva la candela, perché con la cassa integrazione qualcosa mi arrivava sempre; ma se invece avessi trovato un altro lavoro e poi questo non fosse andato bene?», spiega. Per otto anni molti operai piombinesi vivono in questo limbo, senza alcuna aspettativa futura proprio perché la città è sempre stata abituata a vivere all’ombra della Fabbrica: quando questa cessa di essere il centro di impiego per migliaia di persone le alternative non ci sono.
Alla fine il King esce dal limbo con un’assunzione dal sapore amaro: è stato chiamato insieme a un’altra decina di persone dall’azienda che si occupa della demolizione dell’acciaieria. Con la voce che ogni tanto si incrina, ci racconta dei momenti che ha vissuto negli ultimi mesi, quando è rientrato nella Fabbrica dopo tanti anni, quando ha aperto i cassetti contabili e ha letto i nomi dei suoi vecchi colleghi, quando un suo compagno di demolizione, un giorno come gli altri, ha smantellato il luogo esatto in cui lavorava.
Gli effetti sulla salute
Muovendoci per Piombino, a poco a poco ci si accorge di uno strano elemento: lo spolverino, una sorta di polvere nera che si forma a causa delle lavorazioni e produzioni di acciaio. Lo si nota ancora oggi camminando per le strade della città, soprattutto nelle zone di Poggetto e Cotone, due storici quartieri operai a ridosso della Fabbrica. Quest’ultimo è formato da grandi palazzi a forma rettangolare e paralleli fra loro, dai muri color crema leggermente scrostati e le persiane verdi. Uno dei lati lunghi dei palazzi affaccia proprio sulla Fabbrica (e, nei punti in cui la visuale è più libera, sul mare). «Ci si conosceva tutti», racconta Giancarlo, che ha abitato per alcuni anni a Cotone. «Le sere d’estate si stava tutti fuori. Però era sempre tutto un polverone [riferendosi alle polveri provenienti dalla Fabbrica, ndr]. A volte si dovevano tenere le finestre chiuse». Come molti altri quartieri operai delle città industrializzate d’Italia, oggi ad abitarci sono sempre meno lavoratori di fabbrica, lasciando il posto ad impiegati di altri settori e famiglie di origini non italiane.
Qua si vedono depositi di polvere nera sulle case. La situazione è sicuramente migliorata rispetto al passato. La madre di Mattia, ad esempio, ci ha raccontato che «un tempo lo si raccoglieva con la scopa e la paletta». Però ancora oggi si ha l’impressione che l’aria di questa zona sia più pesante rispetto a quella delle altri parti della città. I piombinesi sembra che ci abbiano fatto l’abitudine allo spolverino. A un occhio esterno, invece, i depositi di polvere nera mostrano fino a che punto il passato industriale di Piombino caratterizza la città. La Fabbrica, anche quando non è direttamente visibile, fa sentire la sua presenza attraverso lo spolverino. E ricorda costantemente i rischi di salute a cui la popolazione locale è andata incontro per molti anni.
È difficile tracciare accuratamente un profilo della salute degli abitanti di Piombino. Uno dei motivi principali, come dimostrato anche dall’incipit della relazione redatta dalla Commissione sui dati della salute del Consiglio Comunale di Piombino, è la mancanza di una collaborazione tra le diverse autorità che dovrebbero occuparsene. Infatti, nella relazione emerge come l’USL Nord Ovest e la Regione Toscana abbiano ignorato varie richieste fatte dal Comune di Piombino per avere dei colloqui con esperti epidemiologi e igienisti della zona. La Commissione ha comunque disegnato un quadro allarmante legato sia alla mortalità sopra alla media sia alle malformazioni congenite. A supporto della Commissione ci sono anche i dati emessi dal sesto studio Sentieri – Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento: gli studiosi sostengono che «gli eccessi osservati sia per la mortalità sia per i ricoveri supportano l’ipotesi di un contributo dell’esposizione agli inquinanti ambientali».
In ogni caso, basta poco per accorgersi del grado di esposizione all’amianto a cui sono stati sottoposti gli operai piombinesi prima della sua abolizione nel 1992. «Si usava l’amianto in maniera indiscriminata», ci spiega Adriano. Veniva utilizzato per riparare le fessure delle lingue in cui si colava l’acciaio. «Con la manichetta dell’aria, inoltre, si spolveravano questi materiali, quindi c’erano nuvoloni di amianto in giro». Anche Giancarlo racconta di come il suo passato in fabbrica abbia infuito sulla sua salute. Sta bene, però da quando ha smesso di lavorare fa parte di un programma di sorveglianza sanitaria per lavoratori esposti all’amianto: ogni anno si sottopone a diversi esami medici, tra cui una tac e una spirometria. Secondo una nota d’informazione della Giunta regionale Toscana del 2017, nella regione sono circa 30.000 i lavoratori che dagli anni ‘60 a oggi sono stati esposti all’amianto. Di questi, più di 5000 soddisfano i criteri per rientrare in un programma di sorveglianza sanitaria.
A febbraio 2023, alcuni sindacati hanno manifestato preoccupazione per gli operai addetti alle demolizioni, che rischiano di lavorare in zone in cui la presenza di amianto è stata accertata.
Prospettive future
L’area industriale di Piombino è enorme in rapporto alla città. Non è chiaro cosa sarà della zona dell’acciaieria una volta che le demolizioni saranno concluse. A sollevare questo problema è Massimo Zucconi, ex dirigente pubblico del Comune di Piombino nei settori della pianifcazione territoriale e dell’ambiente. Spiega che la «continuità storica che ha questa zona, che comprende non solo Piombino, ma anche Populonia e l’Isola d’Elba, la rende unica al mondo». Zucconi si riferisce al fatto che queste zone erano utilizzate per la rafnazione di minerali già in epoca etrusca. Ma «se da un parte ci sono stati e ci sono giustamente dei progetti di valorizzazione del patrimonio storico etrusco, oggi manca la stessa progettualità per la zona industriale». Infatti, già tre altiforni sono stati demoliti e si prevede la demolizione anche dell’ultimo, AFO4. La scomparsa di questo signifcherebbe la scomparsa di uno degli elementi identitari (nel bene e nel male) più importanti per la città. Sempre Zucconi confessa: «è triste vedere che un territorio che ha saputo cogliere nella storia antica un pezzo della sua identità e anche della sua economia – perché ci si costruisce un’economia intorno al patrimonio storico – non riesca a cogliere il valore di una testimonianza che è già davanti ai nostri occhi».
E così, su questo sfondo di demolizioni in corso e l’arrivo del rigassificatore, la company town piombinese esce a poco a poco da un passato particolarmente pesante, senza però trovare facilmente una nuova identità e nuove opportunità per chi ci abita. Eppure la vita continua, soprattutto per i più giovani. Le scuole superiori, come per molte altre realtà di provincia, rappresentano il centro di aggregazione principale nelle vite dei ragazzi e delle ragazze. Nonostante gli insegnanti ci abbiano descritto situazioni di degrado estremo e violento, i ragazzi e le ragazze con cui abbiamo parlato sono come molti altri in Italia. Il passato industriale e la Fabbrica hanno per loro un ruolo marginale, le aspirazioni sono diverse da quelle dei loro genitori: quell’ammasso di cemento e acciaio non è più il buco nero di un tempo che ha costretto un paese a gravitargli attorno.
La trasformazione della company town in una X town non è solo un fatto sociale, ma anche psicologico e identitario. Basta confrontare le parole, i silenzi, gli sguardi di Alessandro Magnani – che oggi ha poco più di una trentina d’anni – con quelli dei ragazzi e delle ragazze delle scuole superiori. Alessandro, la Fabbrica, se la porta dentro ancora oggi: è un aspetto importante della sua vita e della sua identità. Per i secondi invece è solo qualcosa di più di un mero racconto. Anche lo stesso King, se oggi avesse 18 anni, cambierebbe completamente strada: si lancerebbe nella cucina e nella gastronomia.
Secondo molti, il turismo è il nuovo grande settore su cui può puntare Piombino. Adriano, invece, è critico: «Tutti parlano di turismo, ma non sanno di cosa parlano», dice, sottolineando quanto i lavori del settore turistico siano precari e sottopagati. Nonostante questo, anche lui se potesse tornare indietro cambierebbe strada. «Da giovane avevo intenzione di fare altro. Volevo fare una scuola d’arte a Volterra, perché sono appassionato di scultura. Quindi non lo rifarei», spiega. Ma questo non vuol dire rifiutare in toto il lavoro in fabbrica. «Non direi proprio che il lavoro industriale si debba evitare. Le caratteristiche del lavoro in fabbrica oggi sono cambiate. Ci sono altre protezioni e può essere organizzato in maniera diversa», sottolinea.
I ragazzi liceali con cui abbiamo parlato non nominano mai la Fabbrica, quasi come se non fosse presente. Non stupisce, quindi, che i loro sogni e le loro aspirazioni siano scollegati dal passato industriale di Piombino. Molti di loro vogliono andare fuori per studiare le materie più disparate, dal campo farmaceutico all’ingegneria meccanica. Tuttavia, l’università non è il sogno di tutti. C’è chi, attraverso la scuola, ha scoperto l’associazione Poggetto Cotone Gruppo 2000. Questo, infatti, è il caso di Meriem, che ha partecipato a un progetto di doposcuola per bambini e ora non riesce più a staccarsene: è ancora oggi una volontaria attiva del gruppo. L’associazione si trova proprio dietro alla Fabbrica ed è perfettamente coerente con lo spazio che la circonda.
Qui, bambini per lo più extracomunitari e donne cercano aiuto nei volontari: non è solo un luogo per imparare la lingua con corsi di alfabetizzazione ma è anche un punto di riferimento per il quartiere. Dalla parte opposta di Piombino, quasi come se avessimo cambiato città, incontriamo Daniele e Margherita, giocatori di scacchi. Qui a Calamoresca lo spolverino sembra lontano: ci sono il mare, il vento ma soprattutto l’Isola d’Elba, il grigiore dell’acciaieria scompare di fronte ai paesaggi aperti della costa toscana. Daniele e Margherita, tra una partita e l’altra, ci raccontano della loro passione degli scacchi e del sogno di aprire un circolo, proprio a Piombino, proprio nella vecchia company town. Tra decidere se rimanere o lasciare la propria terra, Leonardo, invece, non ha avuto molto scelta. Ammette, con un velo di tristezza, che le possibilità per studiare musica non c’erano e che ha sempre vissuto il proprio paese come un luogo chiuso, una sorta di peso.
Così ha deciso di lasciare casa e andare a studiare pianoforte al Conservatorio di Lugano. Parlando con lui ci viene in mente il flm Margini, uscito l’anno scorso e ambientato nel grossetano, in cui uno dei personaggi lascia l’Italia per suonare in un’orchestra in Francia. Come Iacopo, il personaggio del film, anche Leonardo sogna di vivere di musica, come concertista. «In un certo modo Piombino mi ha tenuto un po’ legato, un po’ stretto», spiega Leonardo. «Se ci fossi rimasto, non avrei avuto l’opportunità di trasformare la mia passione in un mestiere. Ora che sono a Lugano mi trovo attorno a persone che parlano la mia stessa lingua a livello artistico». E prosegue sottolineando come prima di andarsene non abbia mai avuto la possibilità di esprimere l’estro artistico che ha sempre sentito. «Piombino mi ha segnato nel senso che adesso so che cos’è che non voglio. Che è una cosa positiva».
L’assenza di grandi opportunità a Piombino è forse ciò che accomuna di più i ragazzi e le ragazze con cui abbiamo parlato: molti mettono in conto di lasciare la città. Se è vero che Piombino è rimasta sprovvista del suo centro identitario, camminando per le strade della città si scopre che qualcosa sotto sotto si muove: sono molti gli esempi virtuosi e nobili che stanno provando e anche riuscendo a creare un’economia e una cultura alternative. Tra le decine di persone con cui abbiamo parlato ci sono gli attori piombinesi Lorenzo Frediani e Riccardo Bartoletti, che hanno fondato in città l’associazione Matan Teatro. Secondo loro, Piombino ha delle potenzialità infinite, tuttavia la cultura è stata vista in maniera episodica, senza alcun tipo di progettualità futura. È in questo contesto che si sono formati, che hanno mosso i primi passi in campo musicale e teatrale. «Quando ero ragazzo io – spiega uno dei due – non c’era nessuno che insegnasse teatro. C’erano solo delle associazioni amatoriali».
E anche le prospettive lavorative non erano rosee. «Fino a qualche anno fa, era impossibile fare questo mestiere a Piombino», dicono senza mezzi termini. Ovviamente ciò non vuol dire che adesso tutti i problemi siano spariti. Lo stesso Lorenzo spiega che per lui non ci sono abbastanza opportunità economiche al momento per poter lavorare solo a Piombino. «Fino a che non ci sono delle finanze tali per cui mi posso permettere di rimanere a lavorare qua, devo continuare a fare l’attore in giro. E lo faccio volentieri, ci mancherebbe». Il loro obiettivo, come ci raccontano, è «creare un tessuto culturale per la città, qualcosa che dia ai più giovani un’alternativa possibile». Così i due attori hanno organizzato la stagione teatrale per ragazzi. Questo è un primo passo, ma le loro ambizioni sono ben più grandi, soprattutto per chi vede il teatro come «un rapporto continuo tra chi lavora sui territori e chi quei territori li abita».
Lorenzo e Riccardo sono solo due delle molte persone che provano a creare maggiori opportunità per chi vive a Piombino. È difficile però non accorgersi del sentimento di incertezza rispetto al futuro della città. Quando chiediamo a Giancarlo come crede che diventerà Piombino nei prossimi anni, ci risponde: «sarà solo un luogo di transito».
Sua nipote, in sottofondo, dice a mezza voce: «lo è già».
Parte IV

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Parte V

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Parte VI

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Parte VII

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Parte VIII

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Articolo di

Emanuele Frijio
Redattore
Foto di

Mattia Crocetti
Fotografo
Con il supporto di

Chiara Vellucci
