La vita degli studenti fuorisede è sempre più cara

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Un’altra categoria svantaggiata di studenti che gli open data del Ministero permettono di analizzare è quella degli studenti fuori sede. Elaborando i dati, emergono due principali tendenze. Da un lato, la differenza tra zone con un’alta offerta formativa – che quindi attira molti studenti da diverse province e regioni – e zone invece che molte persone devono lasciare per accedere a una formazione migliore o più completa. Dall’altro lato, invece, si nota anche come per gli studenti fuorisede sia sempre più difficile accedere a un alloggio in residenze universitarie, che costano ovviamente meno rispetto alle case a prezzo di mercato. 

Per quanto riguarda il primo aspetto, guardando alle percentuali del numero di studenti fuorisede sul totale degli studenti in una determinata provincia emergono chiaramente due tendenze strutturali. I poli universitari del Nord Italia accolgono il maggior numero di studenti fuori sede, mentre le province mal collegate con le principali città (principalmente le più remote del Sud Italia) occupano stabilmente i primi posti in classifica per quanto riguarda le percentuali di studenti trasferiti in altri parti d’Italia per proseguire il proprio percorso di studi. I dati in questo senso sono estremamente indicativi: si va dal 93% di studenti fuorisede presenti nella provincia di Lodi alla diaspora totale degli studenti della provincia della Sardegna del Sud. Elementi che testimoniano non solo l’incapacità da parte della maggioranza dei poli universitari del Sud Italia di attrarre studenti dal resto del Paese, ma anche delle difficoltà che essi riscontrano a convincere i giovani presenti nella propria provincia di riferimento a iscriversi presso i propri Dipartimenti (quando questi sono presenti sul territorio).

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I dati del Ministero forniscono, per ogni ateneo, la provincia di residenza dei propri studenti. Questo permette di effettuare delle stime sulla quantità di universitari fuori sede. Nel conteggio abbiamo di considerare come una categoria a parte gli studenti che hanno la residenza in una provincia limitrofa a quella dell’ateneo di riferimento. Soprattutto nel caso di province piccole, infatti, questi potrebbero essere pendolari.

È chiaro quindi che chi non vive al Nord o in una grande città, necessariamente deve spostarsi per ottenere una migliore formazione. Per chi non ha i mezzi economici per pagare un affitto a prezzo di mercato, ciò può essere molto difficile. Soprattutto se si guarda al numero di residenze universitarie disponibili per gli studenti: un tema che dovrebbe essere gestito direttamente dagli enti regionali garanti del diritto agli studi superiori, come ER.GO in Emilia Romagna e DISCOLazio. A queste istituzioni, tramite la concessione dei fondi regionali, è affidato il compito di sovrintendere la gestione degli studentati, fondamentali per garantire anche alle famiglie la possibilità di iscrivere i propri figli nei poli universitari delle altre città italiane ad un prezzo contenuto rispetto al mercato degli affitti privati. Se si comparano i dati fra il numero di fuorisede presenti e i posti disponibili nelle strutture gestite dagli enti regionali, quello che si osserva è una generale contrazione delle disponibilità negli studentati nel corso degli ultimi anni: un fenomeno che deriva in parte, come ci ha riferito la Coordinatrice nazionale di Link Virginia Mancarella, dalla chiusura di molte strutture per danni infrastrutturali e dalla decisione da parte degli enti regionali di procedere al cambio di destinazione d’uso per alcune di esse. In sostanza, dal 2014 al 2021 gli studenti fuori sede sono aumentati più velocemente del numero di posti disponibili nelle residenze universitarie. In Piemonte, ad esempio, nel 2014, i posti erano pari a circa il 10% del totale degli studenti fuori sede della regione. Nel 2021 la percentuale è scesa al 6,4%. Dati simili si ritrovano in alcune delle regioni che attraggono più studenti fuori sede: Lazio, Lombardia, Emilia Romagna.

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L’assenza di posti negli studentati costringe le famiglie a doversi confrontare dunque con il mercato degli affitti privati, in un periodo storico nel quale i costi mensili stanno raggiungendo dei livelli mai visti a causa dei lasciti della crisi economica causata dal COVID e dei livelli raggiunti dall’inflazione in questo periodo. Osservando la variazione dei prezzi medi per l’affitto al metro quadro nelle province di Bologna e Milano, rispetto al gennaio 2022, in entrambe le città si è raggiunto il picco massimo dei costi: a Milano il prezzo medio al metro quadro per gli affitti ha raggiunto il valore di 21,40 euro, mai raggiunto nel corso degli ultimi 10 anni. A Bologna invece, come denunciato da Repubblica, rispetto al 2021 il costo medio per una stanza singola in città è cresciuto del 28,1% (meno grave il dato riferito alle stanze doppie, il cui affitto è salito nello stesso periodo del 5,6%). 

«Le modalità per risolvere la questione nel breve-medio periodo esistono: la riqualificazione di immobili abbandonati, investire nel trasporto pubblico per garantire il collegamento fra centro e periferie, il passaggio ad un regime di canone concordato per la categoria studentesca. Quello che manca è la volontà della classe politica di intervenire sulla questione, preferendo appaltare quello che è un problema pubblico al mercato privato». Le parole di Mancarella sottolineano che, in assenza di una svolta promossa diretta dai consigli regionali e dalle stesse facoltà, il rischio concreto è che in futuro sempre un minor numero di studenti abbia la possibilità di proseguire il proprio percorso di studi universitario in poli lontani dalla propria provincia di residenza. Una totale negazione del diritto allo studio, che rischia di tramutare lo status di studente fuori sede in un vero e proprio privilegio, accessibile solo a pochi.

Questo articolo fa parte di un nucleo più ampio che puoi leggere sul mensile n°45 e prossimamente anche online

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