Prendere il comando della Nave Terra?

La definizione del concetto di Antropocene ha dato adito ad un ampio dibattito. Se dal punto di vista geologico si è arrivati ad una definizione condivisa, il concetto di Antropocene si è trasformato in un campo di battaglia dove si scontrano visioni molto diverse; tra le quali eco-catastrofismo, eco-modernismo e improbabili progetti di geoingegneria. Ecco il nostro viaggio nell'antropocene, tra sogni e incubi prometeici

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È il 2435, e il pianeta Terra ha ufficialmente assunto le sembianze di Nave-Terra. Le testate online non parlano d’altro: dopo svariati tentativi fallimentari, gli scienziati sono stati in grado di riprodurre in laboratorio, senza alcuna componente naturale, anche l’ossigeno. Questo è un giorno che senza dubbio entrerà nei libri di storia. Un viaggiatore del tempo di mille anni fa sarebbe sconcertato da ciò che oggi è normalità, dai paesaggi che costruiscono la sfera terrestre. Chi ha meno di quarant’anni non ha mai visto un lago dal vivo, al massimo in qualche documentario. I bambini non credono che le api siano state reali, molti di loro non hanno idea che gli aromi dei loro cibi una volta derivassero da rametti di piante essiccate, e i loro genitori gli raccontano di come si sono sentiti l’ultima volta che hanno raccolto dei fiori. Sulle piattaforme di streaming sono sono popolari alcuni film vintage, dello scorso millennio, in cui ragazzi con tute aderenti cavalcano, stando in piedi sopra tavole di legno, le onde di un mare dal colore inconcepibile, che si abbatte su spiagge dorate. Il mare non è mai stato blu, e la sabbia non potrebbe mai essere così pulita. Si tratta per forza di fantascienza. 

Lo scenario appena descritto può apparire surreale e distante dal nostro presente, eppure si ispira a quella che molti pensano sia l’unica uscita plausibile per la specie umana di fronte alla crisi climatica e all’Antropocene. 

 

Entrare nella nuova era geologica

L’idea di un futuro nel quale l’uomo ha assunto pieno controllo sul pianeta, modificandolo radicalmente, nasce con gli ultimi secoli della storia umana. Per indagare il desiderio di un tale futuro è innanzitutto necessario cercare di comprendere il concetto di Antropocene. 

 

Il concetto di Antropocene nasce inizialmente da un approccio scientifico allo studio dell’atmosfera terrestre. Il termine è stato infatti utilizzato per la prima volta dal premio Nobel Paul Crutzen, esperto di chimica dell’atmosfera, nel 2000. Con questo termine Crutzen voleva indicare il primo periodo della storia terrestre ad essere stato caratterizzato da un massiccio impatto umano sul pianeta, più o meno dalla seconda metà del 1700 ad oggi. Questo lasso di tempo ha visto infatti l’azione modificatrice dell’uomo nei confronti dell’atmosfera, e di conseguenza del pianeta, attraverso un aumento massivo  delle emissioni di CO2, a seguito delle rivoluzioni industriali. Queste trasformazioni avrebbero concluso l’epoca geologica chiamata Olocene e dato vita ad una nuova, l’Antropocene. A partire dall’istituzione nel 2009 del Anthropocene Working Group, il dibattito scientifico sull’esistenza di una nuova epoca terrestre originata dall’azione umana, si è sempre più spostato verso un’analisi geologica dell’impatto umano sul pianeta. Infatti, il gruppo di lavoro è nato, con lo scopo di analizzare la carota stratigrafica e stabilire se sia corretto attribuire al nostro presente una reale rottura con l’epoca geologica precedente. Tra i tanti parametri considerabili l’AWG ha scelto di privilegiare, come indicatori della fine dell’Olocene e dell’inizio dell’Antropocene, le tracce nel suolo terrestre di attività nucleare, essendo la presenza di uranio una rottura con il passato. Datando l’inizio dell’Antropocene agli anni ‘50 dello scorso secolo. È necessario sottolineare come il punto di partenza fondamentale delle tesi sull’Antropocene sia tutto quell’insieme di conoscenze noto con il nome di Scienze del Sistema Terra (ESS) , che considera la Terra come un sistema unico, che si autoregola e che è influenzato da fattori chimici, fisici, biologici e umani. Senza questo concetto non sarebbe possibile parlare di Antropocene. 

 

Al di là delle tesi scientifiche, il significato di Antropocene rimane tuttavia ambiguo. Alle prime definizioni e studi scientifici sono infatti seguiti rimodellamenti del concetto in campo filosofico, letterario e sociologico. In tali ambiti non è possibile individuare un concetto univoco di Antropocene. Questa impossibilità è dovuta in particolare alla differenza dei presupposti da cui i vari soggetti partono per sviluppare le loro riflessioni riguardanti l’Antropocene. Uno dei temi più dibattuti nell’ambito delle scienze umane è il «problema dell’origine», ovvero dell’indagine sulle cause che hanno portato all’avvento di questa nuova epoca. Considerando il «problema dell’origine», è possibile individuare due posizioni contrapposte: da una parte il concetto di Antropocene prometeico, dall’altra quello di Capitalocene. Da un lato la visione prometeica, considerando l’uomo come un “serial killer naturale”, giustifica la completa e inevitabile distruzione della natura a favore di un controllo totale sul pianeta da parte dell’uomo. La teoria del Capitalocene al contrario, non considera l’uomo come distruttore per natura, ma ritiene invece che alla base del rapporto conflittuale tra natura e uomo vi siano degli agenti ed eventi storici precisi, responsabili della trasformazione del pianeta in atto. A differenza della visione prometeica in cui la sola responsabile è la specie umana, la teoria del Capitalocene individua come principale colpevole il Capitalismo. 

Partendo da presupposti diversi, le due teorie includono una differente visione sul presente. Il prometeismo vede questa nuova epoca come compimento del destino umano di controllo totale del pianeta. Mentre il Capitalocene apre alla critica del presente e ad un ripensamento del sistema economico e sociale. 

Chi è Prometeo? 

In questo ampio dibattito, le visioni prometeiche si sono imposte come matrice discorsiva mainstream, diffondendosi nel senso comune. Il primo step per analizzare il paradigma prometeico è definire chi sia il Prometeo moderno. Nonostante il richiamo classico, il prometeismo e il Prometeo a cui si rifanno questi discorsi è ben distante dal Prometeo classico, il Prometeo moderno non è uno sconfitto, ma un trionfatore; come scrive Marcuse, in Eros e civiltà, Prometeo è il simbolo «della produttività, dello sforzo incessante di dominare la vita», una figura che all’apertura del sipario sul nostro presente direbbe «Benvenuti nell’Antropocene, la nostra era geologica unicamente umana», citando le parole di Mark Lynas in un’intervista rilasciata The Long Now Foundation

Per cercare di capire meglio  i vari elementi problematici che le caratterizzano questo tipo di teorie, abbiamo intervistato Paolo Missiroli, filosofo e autore del libro Teoria Critica Dell’Antropocene Vivere Dopo La Terra, Vivere Nella Terra. 

Secondo Missiroli per cartografare i discorsi prometeici sull’Antropocene è importante concentrarsi non tanto sui contenuti quanto sui presupposti. Secondo il filosofo sono prometeici tutti quei discorsi che condividono tre presupposti: un’idea della Terra e dello spazio come qualcosa di inerte, inanimato e completamente disponibile all’azione; una certa idea di linearità storica che potremmo definire come una «visione ultra progressiva della temporalità», in cui l’Antropocene viene vista come «il momento finale in cui un determinato grado di sviluppo tecnico consente di manipolare e manovrare il pianeta»;  infine il presupposto più importante è «una determinata antropologia che può essere detta negativista», ovvero «l’idea che la specie umana abbia di tipico la negazione degli ecosistemi del mondo naturale» e la loro sostituzione con costruzioni artificiali. 

A partire da questi tre elementi teorici si sviluppa un’interessante galassia di discorsi, che per quanto possano talvolta apparire diversissimi per contenuto in realtà condividono una stessa logica discorsiva.  

Tra i maggiori rappresentanti di questa corrente di pensiero un posto di rilievo è occupato dallo storico israeliano Yuval Noah Harari, autore di due best sellers come Sapiens Da animali a dèi e Homo Deus Breve storia del futuro, in cui offre una lettura dell’Antropocene «come epoca del dominio incontrastato dell’uomo sul pianeta Terra». In Sapiens l’autore espone la sua teoria secondo cui l’essere umano è un «serial killer ecologico», ricalcando lo schema «dell’antropologia negativista». Il destino dell’uomo nella visione di Harari,  che si condensa nel suo «nuovo programma per l’umanità » esposto in Homo deus,  è quello di sconfiggere povertà, morte e malattie grazie al progresso tecnico, consentendo appunto al Sapiens di elevarsi a Deus. In questo quadro, la crisi climatica viene percepita come una fase di transizione e di evoluzione verso un futuro in cui si completerà la sostituzione totale del dato naturale con quello artificiale. 

Come nota Missiroli «un pianeta ricostruito tecnicamente, attraverso la geoingegneria, [è] visto dal discorso prometeico come l’unica via d’uscita possibile dalla crisi ecologica», ciò che può apparire agli occhi di molti mera fantascienza, è considerato come l’unico futuro possibile per l’umanità. Tra questi gli eco-modernisti, che in un manifesto online affermano «la conoscenza e la tecnologia, applicate con giudizio, possano conseguire l’avvento di un positivo, persino superlativo, Antropocene»

La geo-ingegneria è forse la disciplina più in voga in questi ambienti, Clive Hamilton la descrive nel libro Earthmasters the Dawn of the Age of Climate Engineering. Secondo l’autore australiano la «geoingegneria [viene vista come] una terza via d’uscita e un gruppo di pressione emergente di scienziati, investitori e attori politici le sta dando slancio» tra le soluzioni tecniche proposte «Gli scienziati e gli ingegneri stanno studiando metodi per manipolare la copertura nuvolosa della Terra, modificare la composizione chimica degli oceani e ricoprire il pianeta con uno strato di particelle che riflettono la luce solare».  I fautori di questi discorsi sperano così di ottenere il controllo della nave Terra e guidarci verso un futuro radioso e prospero. Tuttavia, i discorsi prometeici sull’Antropocene non si risolvono con le visioni ottimistiche di Harari, degli eco-modernisti o i sogni tecnologici di alcuni scienziati, infatti anche discorsi di stampo opposto rientrano all’interno della stessa categoria, condividendone le premesse fondamentali. È il caso dell’ecocatastrofismo, ovvero quel filone discorsivo che vede nell’Antropocene il destino tragico della vita umana sulla Terra, l’esito della cattiveria umana che ha distrutto l’ambiente. Qui, seppur con un cambio di segno, si ritrova la stessa  idea di un’umanità negatrice per natura e di un pianeta inerte che subisce lo spadroneggiare umano in modo passivo, venendo depauperato e ridotto in macerie. 

Anche se ad un primo sguardo il discorso prometeico sull’Antropocene possa apparire credibile, tuttavia, un’analisi critica dei presupposti e dei contenuti rivela l’inconsistenza di queste teorie.  

In primo luogo, molto discutibile è l’idea che l’uomo sia per natura un «serial killer ecologico», riprendendo l’espressione di Harari. Infatti, come afferma Missiroli il discorso prometeico «fa finta che non sia un dato di fatto per gli antropologi che la distinzione natura\cultura sia qualcosa di esclusivamente occidentale e di pochissime altre civiltà», «che l’uomo non sia per essenza negatore del mondo naturale è evidente sul piano storico, ci sono state centinaia di civiltà che non hanno distrutto il loro ambiente naturale»  continua il filosofo «civiltà che hanno lavorato il loro l’ambiente naturale, ma non lo hanno annichilito, non lo hanno trasformato al punto di renderlo inabitabile». 

Un’altra problematica connessa a questa idea di natura umana, consiste nel definire la catastrofe ecologica come l’unico esito possibile dell’esistenza umana sulla Terra, un destino a cui è impossibile sfuggire, discorso che per Missiroli «fa molto comodo alle classi dirigenti occidentali». Impedendo una reale presa di coscienza storica, se ciò che viviamo oggi è l’esito naturale e predeterminato della presenza umana, non è possibile individuare dei precisi responsabili, né criticare l’attuale modello di sviluppo. 

Ecco il rischio dei discorsi prometeici, questi nel loro strenuo conservatorismo giustificano e nascondono gli attori e i processi storici che hanno contribuito alla nascita dell’Antropocene, innegabilmente connessa all’affermarsi del capitalismo. 

In secondo luogo questi discorsi ignorano del tutto le scoperte scientifiche legate all’ ESS. Infatti l’idea che la Terra sia uno spazio inerte, passivo e disponibile all’azione umana è stata ormai smentita dalla scienza, per questo motivo, afferma Missiroli, «la maggior parte delle critiche che vengono rivolte ai progetti geoingegneristici, non sono di natura morale, ma di natura scientifica, perché la geoingegneria ha un’idea ottocentesca di natura». 

Abitare l’Antropocene

Il fatto che questi discorsi rappresentino il mainstream nel dibattito sulla crisi climatica e sull’Antropocene crea un problema importante, infatti per i vari motivi elencati si nota subito la strutturale debolezza del paradigma prometeico. Potremmo pensare che se i prometeici hanno torto ciò vuol dire che l’altro grande paradigma, quello legato alla definizione di Capitalocene, corrisponda al vero. Ma non è nemmeno questa una strada del tutto corretta. Infatti entrambi i discorsi risultano essere schiacciati su quello che abbiamo definito «problema dell’origine» e non considerano, del tutto o quasi, il «problema della condizione». Ovvero l’indagine di come l’uomo stia dentro questa nuova epoca geologica. 

È importante riflettere su questo tema per capire, citando Lenin: «che fare» di fronte all’Antropocene. Innanzitutto, la prima cosa da fare è accettare che i cambiamenti climatici e le trasformazioni ecologiche che stiamo vivendo siano una condizione irreversibile che dobbiamo imparare ad abitare. 

Bisogna rendersi conto che modelli di sviluppo e le istituzioni vigenti sono state ideate e concepite in un’epoca che non c’è più, l’Olocene che come dice Missiroli «era un epoca in cui la Terra era molto più docile». Nella crisi ecologica più che avanzare verso una nuova fase di dominio sul pianeta, come vorrebbero i discorsi prometeici, stiamo riscoprendo il nostro legame con la natura. Citando nuovamente il filosofo ci troviamo di fronte «al manifestarsi della reazione che la Terra sta avendo nei nostri confronti, tutt’altro che la capacità negativa dell’umano rispetto alla natura. Al contrario, ci si manifesta un vincolo dell’uomo rispetto alla Terra», e conclude «l’Antropocene non è una cosa che verrà in cui domineremo, ma è la nostra condizione. Cioè noi siamo nell’Antropocene come come voi siete nella vostra casa. Voi non controllate l’esistenza della vostra casa. . Allo stesso modo nessuno ha il controllo delle circostanze eco-geo-sistemiche in cui ci troveremo a operare. Solo su questa operazione abbiamo un margine di controllo, ed è probabile che un’azione efficace consista nella trasformazione del modo in cui abitiamo il mondo».

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