A Ventimiglia, un collettivo combatte l’idea di confine

Lo stato italiano fornisce poco supporto alle persone migranti bloccate a Ventimiglia. Sono diverse le associazioni e movimenti che lavorano alla frontiera. Una di loro vuole cancellare l'idea di confine.

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«No-border è l’idea di pensare un mondo senza nazioni, dove non ci sono centri statali di privilegio in cui vengono accumulate le ricchezze, dove non c’è un potere che impedisce alle persone la libertà di movimento (…). I confini sono una cosa antropologica, non è una cosa che esiste realmente ma un dispositivo pensato per creare un privilegio in determinate zone».  Questo è quello che dice Gregorio, 23 anni, quando spiega che significa credere nell’idea no-border. Gregorio fa parte del collettivo orizzontale 20k, attivo sulla frontiera franco-italiana tra Ventimiglia e Mentone. Al confine franco-italiano e a Ventimiglia sono presenti varie ONG, tra cui Caritas, Weworld e Medici Senza Frontiere. 20k si distingue per un distinto obiettivo politico: l’abolizione dei confini. 

Incontriamo Gregorio, Sofia, 25 anni, e ad Aimar, 23, tutti attivisti di 20k, a poche centinaia di metri dalla stazione della polizia di frontiera francese (PAF). I cognomi degli attivisti sono omessi sotto loro richiesta. La sede della PAF è dove le persone in movimento vengono trattenute a seguito dei respingimenti della polizia francese per poi essere rimandate verso l’Italia, a Ventimiglia. 

Aimar, Gregorio e Sofia sono qui per il breakfast point, forniscono qualcosa da mangiare, informazioni e a volte biglietti dell’autobus alle persone che sono appena state rilasciate. Il punto dove ci troviamo è il cosiddetto “confine alto”, la strada elevata sul livello del mare dove ci sono le polizie di frontiera francese e italiana. Esiste anche un’altra strada, sul livello del mare, che attraversa il confine Franco-Italiano, interrotta dai caselli di un controllo passaporti. C’è poi un passaggio tra le montagne, soprannominato “Passo della Morte” perché i sentieri sono tanti e si biforcano e senza rendersene conto si può arrivare a un precipizio e cadere.

La polizia controlla anche i documenti a Menton Garavan, la prima stazione francese dopo quella di Ventimiglia. Quando il treno da Ventimiglia si ferma entrano almeno due poliziotti, alle due estremità, camminano attraverso tutto il treno fino ad incontrarsi al centro. Mentre camminano, chiedono i documenti ai passeggeri, principalmente alle persone nere. Chi non ha i documenti viene fatto scendere e portato alla sede della PAF, per poi essere rimandato in Italia. Prima di essere rilasciate le persone passano ore, e spesso anche notti, senza che venga fornito cibo o acqua, senza accesso ai servizi igienici e senza un luogo adatto a riposarsi.  Quando escono, camminano a piedi o prendono l’autobus verso Ventimiglia. A volte, si fermano a riposare al “breakfast point”. 

La frontiera di Ventimiglia

20k gestisce anche un luogo che si chiama Upupa, a Ventimiglia, dove le persone migranti possono usufruire di alcuni servizi, come le ricariche del cellulare. Upupa è anche un luogo dove si sviluppano progetti, ad esempio lezioni di lingua, sia di italiano che di arabo.

Il collettivo però non vuole avere un approccio assistenzialista. «È un tentativo di costruire una narrazione alternativa. Anche quella che propone la sinistra istituzionale crea una logica pietista e assistenzialista. Il concetto è quello del white saviourism: io persona bianca, con il mio privilegio ti salvo (…). Noi vogliamo creare solidarietà con le persone migranti, essere solidali e complici con la lotta ai confini», spiegano gli attivisti.

Lo stato italiano non fornisce nessun tipo di servizio alle persone migranti presenti a Ventimiglia e nel 2020 ha ordinato la chiusura di Campo Roja, l’unico campo rifugiati presente nell’area, operato dalla Croce Rossa. Ufficialmente, il Campo è stato chiuso perché non avrebbe potuto rispettare le norme sanitarie imposte dalla pandemia di Covid-19.Ad oggi, non è stato riaperto e molte persone che passano per Ventimiglia dormono sotto il ponte della cittadina o in stazione.

Le ultime due elezioni comunali a Ventimiglia sono state vinte da partiti di destra. Aimar è qui da poche settimane ma gli hanno raccontato che nel 2020, in seguito all’alluvione che aveva colpito la città: «I detriti li hanno messi nel parcheggio davanti a Upupa, dove le persone vanno a dormire a volte». L’attuale sindaco ha anche recentemente impedito l’accesso al cimitero, che era diventato un luogo dove le persone migranti stazionavano e dove avevano accesso all’acqua corrente e a servizi igienici. Le autorità locali hanno programmato di aprire quattro PAD (Punti Assistenza Diffusa), luoghi dove le persone migranti dovrebbero poter ricevere alcuni servizi e alloggio. Per ora ne sono stati aperti solo due e nonostante anche alcune associazioni, come Caritas, forniscano pasti e alloggi, molte persone migranti finiscono per dormire in strada.

Secondo un report di Medici Senza Frontiere, molte delle patologie che le persone in movimento a Ventimiglia contraggono sono un risultato della mancanza di alloggi e servizi igienici adeguati. Le condizioni più diffuse sono malattie della pelle, infezioni gastrointestinali, infezioni urinarie e del tratto respiratorio superiore.  

Il ruolo dei confini

«Il confine crea disagio fisico e psicologico», dice Gregorio, mentre parliamo delle condizioni di salute dei migranti. «La violenza psicologica – prosegue – che si subisce nel venir respinti ha un impatto sulla salute delle persone, e questo è uno degli obiettivi del confine, che crea queste situazioni di disagio, sanitario per i servizi, e psicologico per quello che si subisce».

Rispetto all’assistenza sanitaria sottolinea che: «Non viene dato lo stesso servizio (a una persona migrante, ndr) che si darebbe a un cittadino italiano, europeo o anche americano. Non è questione di essere extra-comunitari ma di razzismo.»

Già a maggio il ministro dell’interno francese Darmanin aveva accusato il governo italiano di non essere capace di gestire il flusso migratorio che coinvolge il sud della Francia. Negli ultimi mesi, sia la Francia che l’Italia stanno rispondendo alla crisi umanitaria al confine con una maggiore militarizzazione della frontiera. Nel settembre di quest’anno, è aumentata la presenza della gendarmerie al confine.  Il ministro Piantedosi ha visitato Ventimiglia il 2 ottobre e ha parlato di un ulteriore presenza della polizia nell’area e della costruzione di un CPR (centro per il rimpatrio) in Liguria.  

«Ci sono stati casi di persone che hanno chiesto asilo e sono state picchiate solo per questo, indipendentemente da chi fossero, di violenze fisiche ne abbiamo testimonianza ma probabilmente sono solo un centesimo degli effettivi episodi. Quello di cui abbiamo più certezza, dati alla mano, è la violenza psicologica e abuso del diritto che avvengono quotidianamente alla frontiera, mancano le garanzie minime che il diritto liberale garantisce e che qui non esistono.», incalza Gregorio. Aimar aggiunge: «Mi è capitato di passare davanti alla PAF e sentire persone urlare dentro».

L’obiettivo del collettivo è permettere la libertà di movimento delle persone. «Noi come cittadini europei possiamo muoverci liberamente mentre queste persone vengono definite illegali, quando nella storia dell’umanità la gente si è sempre mossa per necessità diverse e proprio per questa necessità non è giusto che questa libertà venga negata», spiega Sofia. Secondo loro, il confine non solo il luogo in cui accadono le violenze: ne è la causa.

«L’obiettivo del confine non è respingere le persone ma fare violenza su di esse. Come diceva Sofia la libertà di movimento esiste da sempre e non può essere fermata. Il confine è uno strumento per generare violenza e far capire alle persone che non sono benvenute. Per questo motivo sono tornato, per provare ad aiutare, per quanto possibile, visto che c’è anche un grande senso di impotenza davanti alle forze contro cui lottiamo, per cercare di creare una narrazione alternativa e lottare contro il confine», racconta Gregorio.

Nel 2015 un gruppo di persone migranti e attivisti no-border solidali hanno occupato il confine basso. L’occupazione è durata circa novanta giorni, e da lì una serie di attiviste e attivisti hanno deciso di rimanere. Da quella esperienza è nato in seguito 20k tra coloro che hanno deciso, in quegli anni, di rimanere in presenza alla frontiera.

La maggior parte degli attivisti di 20k non sta alla frontiera stabilmente. Gregorio è venuto qui otto volte per periodi più o meno lunghi tra il 2021 e il 2022, poi è tornato questa estate. Sofia è venuta la prima volta nell’estate 2022 e poi ha continuato a tornare nell’ultimo anno. Aimar è qui da tre settimane e sarà qui per altre due, poi tornerà nella sua città natale Irun, al confine tra la Spagna e la Francia. «Per me essere qui è come essere lì, con tante differenze nel territorio e nel contesto, ma è parte della mia identità», racconta. «Il mio sogno è un giorno poter dire che non vivo ad un confine, perché non esistono più confini».

Ha collaborato Beatrice Chartroux

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