Il New York Times ha annunciato la creazione di un nuovo sistema di redazione delle “bylines” e “datelines” dei propri articoli.
Questi termini fanno riferimento allo spazio dedicato alle informazioni inerenti l’autore dell’articolo e la data e luogo dove è stato scritto.

La testata newyorkese ha deciso di implementare un sistema a triplice scelta per i propri redattori: il solo nome dell’autore; l’aggiunta di una dateline semplice per indicare il luogo di produzione del pezzo; una byline estesa che riporti notizie sull’autore e su come e dove sia avvenuta la redazione dell’articolo.

Come spiegato dall’editor della testata Edmund Lee, interrogato sulla questione da Niemanlab, la decisione deriva dalla volontà di «essere più trasparenti e spiegare come tu abbia raccolto le tue informazioni», sostituendo un sistema ritenuto obsoleto, colpevole di confondere i lettori e di non valorizzare il lavoro dell’autore stesso.

Una decisione in linea con l’ultimo aggiornamento delle linee guida del search rating di Google, che premia contenuti provenienti da fonti di provata autorevolezza e esperienza.
Come affermato in un annuncio del motore di ricerca: «ora, per valutare meglio i nostri risultati, aggiungiamo un’altra E a EAT: esperienza. I contenuti dimostrano anche che sono stati realizzati con un certo livello di esperienza, ad esempio l’utilizzo effettivo di un prodotto, la visita di un luogo o comunicando l’esperienza di una persona? In alcune situazioni, ciò che conta di più sono i contenuti prodotti da una persona che ha un’esperienza di vita diretta sull’argomento in questione».
L’iniziativa del Times non ha suscitato particolare dibattito fra i giornali italiani. Tutti generalmente utilizzano le bylines indicando il luogo da cui il giornalista scrive, anche se si trova in redazione e non rappresenta un elemento rilevante per il lettore.

La Repubblica, come altri, indica con la dicitura «dal nostro inviato» i lavori realizzati sul campo. Come nel caso di un reportage scritto dall’Ucraina, ma senza fornire al lettore ulteriori dettagli.

Domani, come anche molti altri quotidiani, indica il luogo da dove è stato scritto l’articolo anche per pezzi scritti a quattro mani. E anche quando uno dei due giornalisti è in redazione e non sul luogo della notizia, come in calce a questo articolo scritto sull’’anniversario della strage di via D’Amelio.
Curioso il caso de il Sole 24 Ore, che ha scelto di indicare durante l’ultimo Festival dell’Economia, organizzato dalla stessa testata e svoltosi a Trento a fine maggio, gli articoli scritti da lì utilizzando ugualmente la dicitura «dal nostro inviato» (usando il maschile anche con firme femminili). Gli articoli di quei giorni presentavano, infatti, dichiarazioni di esponenti politici presenti al Festival, un’informazione che però non veniva chiaramente esplicitata.

Bylines e datelines hanno, infatti, anche lo scopo di sottolineare l’importanza della narrazione fatta sul campo, e quindi sul luogo della notizia. Condizione che per molti rappresenta un valore aggiunto.
In un contesto di crisi del mondo dell’informazione, con la conseguente sfiducia nei confronti dei giornali, aggiungere dettagli a queste diciture potrebbe contribuire a migliorare il rapporto con i propri lettori, rendendoli consapevoli – in maniera più trasparente – del lavoro che c’è dietro la scrittura di un articolo.
Lo spostamento apparente di un oggetto causato da un cambiamento di posizione dell’osservatore è un effetto ottico noto come parallasse. Parallasse è anche il nome della rassegna stampa critica di Scomodo. Attraverso questo concetto vogliamo descrivere il relativismo nelle interpretazioni dei fatti che caratterizza l’industria dei media in Italia. Commistioni politiche e partigianerie, rivalità fra editori, influenze degli inserzionisti. Ogni settimana proveremo a raccontarvi la genesi di una notizia, nel contesto della crisi strutturale del giornalismo italiano.