Ucraina nell’UE: cosa manca?

L'Unione Europea vuole velocizzare il processo di integrazione dell'Ucraina. Ma si tratta di un processo problematico.

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Il 22 giugno 2022 il Consiglio Europeo ha concesso all’Ucraina lo status di Paese candidato all’ingresso nell’Unione Europea. Dopo la firma, nel 2014, dell’Accordo di Associazione tra UE e Ucraina – che ha definito gli obiettivi per la cooperazione politica ed economica tra i due firmatari – l’Unione Europea ha deciso di accelerare il processo di integrazione europea di Kyiv. Un ruolo decisivo in questo processo è stato ovviamente giocato dall’aggressione del Paese da parte della Russia. Il dibattito rimane tuttavia acceso, e divide giornalisti, accademici e politici sulla possibilità o meno di un allargamento del blocco verso l’Ucraina. 

Le principali considerazioni sono di carattere geopolitico: da una parte gli interessi europei e ucraini che mirano a una sempre maggior integrazione delle loro relazioni; dall’altra il timore delle reazioni della Russia, che lascia scettici molti opinionisti sulla ragionevolezza dell’adesione. A passare sottotono in questo dibattito, però, sono stati i cosiddetti «criteri di Copenaghen», introdotti nel 1993 dal Consiglio Europeo, che stabiliscono quali principi deve soddisfare un Paese per poter aderire all’Unione Europea. I criteri sono principalmente tre: essere una democrazia liberale, in cui vige lo stato di diritto; essere inseriti in un’economia di mercato che sia in grado di far fronte alle competizione sia esterna che interna dell’Unione; infine, l’accettazione dell’acquis comunitario, ovvero di tutti gli obblighi e diritti derivanti dall’appartenenza all’UE. 

Dopo la Rivoluzione di Maidan del 2013-2014 e l’entrata in vigore dell’Accordo di Associazione, era parso chiaro a tutti che l’obiettivo dell’Ucraina sarebbe stato quello di aderire all’Unione Europea. Per questo motivo sono state intraprese negli ultimi anni importanti riforme per soddisfare i criteri di Copenaghen e i pareri della Commissione europea. In particolare, con l’elezione del Presidente Zelensky, nel 2019 la lotta alla corruzione è diventata una pietra fondante nell’azione dell’esecutivo. Il più importante atto legislativo è stato preso nel 2021, con la «legge contro gli oligarchi», la quale elenca una serie di criteri per i quali una persona può essere considerata un oligarca (ricchezza, influenza politica, controllo dei media e monopoli). A tutte le persone che rispondono a questi criteri non è permesso finanziare partiti politici, partecipare ai processi di privatizzazione delle aziende e, infine, devono presentare una dichiarazione speciale dei loro introiti. 

Questo processo di democratizzazione, intrapreso con la Rivoluzione di Maidan, è stato fortemente influenzato dall’inizio dell’aggressione della Russia nel febbraio 2022. Un report del think-tank statunitense Freedom House analizza alcuni aspetti della questione. Da un lato, infatti, lo scoppio della guerra ha permesso lo sviluppo della società civile ucraina: la popolazione si è mobilitata incessantemente per fornire assistenza alla resistenza, e  l’indice di apprezzamento del presidente Zelensky ha superato il 90%. Dall’altro lato, invece, l’introduzione della legge marziale ha permesso di centralizzare gran parte del potere nelle mani del governo, con conseguenti limitazioni di libertà e diritti civili.

Nel maggio del 2022, con un decreto, il presidente Zelensky ha sciolto diversi partiti accusati di essere filo-russi. Tutte le elezioni amministrative locali sono state sospese, e – nelle zone prima occupate dai russi e in seguito liberate dall’esercito ucraino – sono stati istituiti governi militari temporanei per ripristinare l’efficacia delle amministrazioni in questione. Il giorno dopo lo scoppio della guerra, i quattro principali media televisivi del Paese sono stati uniti dal governo sotto un unico canale, United News, e il 18 marzo, dopo la decisione del Consiglio Nazionale di Sicurezza e Difesa, il governo ha sottoposto gli organi di informazione al controllo dello stato, con l’obiettivo di «prevenire la potenziale diffusione della propaganda russa». In linea generale, secondo analisi di Freedom House, si è registrato un deterioramento dal 2022 al 2023 degli indici complessivi di democrazia, libertà civili e diritti politici nel Paese, dovuti soprattutto all’introduzione della legge marziale. E sebbene quest’ultima sia una disposizione straordinaria e provvisoria adottata per questioni di sicurezza nazionale, alcuni provvedimenti, primo fra tutti quello riguardante la centralizzazione dell’informazione, hanno suscitato critiche di diversi esperti, preoccupati per una possibile minaccia per la democrazia ucraina.

Cosa succede nei Balcani

Gli aspetti problematici dell’eventuale adesione dell’Ucraina all’UE non si limitano alla situazione interna al Paese e non riguardano soltanto la soddisfazione dei criteri di Copenhagen. Occorre considerare come la decisione di garantire lo status di Paese candidato all’Ucraina si interfacci con le diverse posizioni di altri Paesi dell’est Europa, che stanno attualmente affrontando – non senza difficoltà – il percorso di avvicinamento all’UE. Un caso particolarmente rilevante è la Moldova, che è diventata Paese candidato contemporaneamente all’Ucraina: se nel caso ucraino ci possono essere dubbi legittimi sul rispetto delle condizionalità europee, nel caso della Moldova la situazione è ancora più deteriorata.

Nonostante la percezione della fragilità moldava rispetto alla minaccia russa, e nonostante la posizione nettamente europeista della presidente Maia Sandu anche in tempi non sospetti, le possibilità che la Moldova entri a far parte dell’Unione Europea sono quantomeno remote. Nonostante il  report della Commissione europea di febbraio 2023 non dipinga una situazione così disastrosa in merito all’allineamento del Paese con i capitoli dell’acquis europeo, la controversa situazione della Transnistria, per quanto finora pacifica, non lascia intravedere scenari positivi.

Al di là delle vicende che riguardano la Eastern Partnership, è importante prendere in considerazione l’impatto dell’allargamento dell’UE sui Paesi dei Balcani occidentali. Questi, da vent’anni coinvolti in un tormentato processo di avvicinamento all’UE, si sono visti scavalcati dalle concessioni fatte dall’Unione, che si è tempestivamente attivata nei confronti dell’Ucraina e della Moldova, lasciandoli indietro. Nel 2003, con la dichiarazione di Salonicco, i rappresentanti dell’UE e dei Paesi dei Balcani occidentali hanno espresso il loro impegno riguardo all’allargamento europeo futuro verso la regione. Da quel momento, solo la Slovenia e la Croazia sono diventate Stati membri, nel 2004 e nel 2013 rispettivamente. Serbia e Montenegro, già Paesi candidati, sono rimasti fermi a una fase negoziale che procede a singhiozzi. Fino allo scoppio della guerra, in Albania e Macedonia la fase dei negoziati non era nemmeno iniziata. Mentre Bosnia e Kosovo restavano addirittura fermi alla firma dell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione, senza aver ricevuto lo status di Paese candidato

Davanti a questo quadro così complesso, l’apertura di una corsia preferenziale per Ucraina e Moldova assume un’altra sfumatura di significato. Da un lato, è una dimostrazione del fatto che, se c’è una volontà politica forte, il processo di allargamento dell’UE incontra meno ostacoli. Dall’altro, contribuisce a sottolineare come questa volontà politica manchi nei Balcani occidentali, o almeno sia mancata fino allo scoppio della guerra in Ucraina. 

In quest’ottica, sorprende particolarmente che l’UE abbia deciso di accelerare il processo di integrazione europea dei Balcani occidentali in modo repentino. A luglio 2022, infatti, l’annosa controversia tra Macedonia del Nord e Bulgaria (che, in breve, bloccava l’inizio dei negoziati per via di preoccupazioni in merito alla protezione della minoranza bulgara nella regione e per via del fatto che la Bulgaria non riconosce l’esistenza della lingua macedone) è stata finalmente superata. L’accordo tra i due Paesi ha sbloccato l’inizio dei negoziati non solo per la Macedonia del Nord, ma anche anche per l’Albania, che fino ad allora aveva subito le conseguenze del ritardo macedone per motivi non meglio specificati. Pochi mesi dopo, nel dicembre 2022, l’UE ha preso un’altra decisione degna di nota: ha concesso infatti alla Bosnia Erzegovina lo status di Paese candidato, nonostante la Bosnia, divisa com’è in due entità – una serba e una croato-musulmana, de facto quasi indipendenti e antagoniste – non rispetti i requisiti per l’accesso all’Unione

La presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha più volte ribadito come l’Ucraina sia parte della famiglia europea, dichiarazione che trova in parte sostegno nella consegna della busta del questionario per l’adesione all’Unione al Presidente dell’Ucraina Zelenskij (l’esito del questionario determinerà la formulazione di un parere della Commissione sulla capacità dell’Ucraina a soddisfare i criteri di Copenaghen e, in base a questo, il Consiglio emetterà quindi un mandato negoziale, dando ufficialmente inizio a i negoziati settore per settore). Quest’ultimo infatti dal momento in cui è iniziato il conflitto ha ripetutamente richiesto un aiuto concreto dall’Unione, aiuto che troverebbe la sua massima espressione nell’ammissione dell’Ucraina all’Unione Europea. Il riconoscimento dello status di Paese candidato può essere considerato come un «compromesso politico tutto sommato accettabile e comprensibile», secondo il professore di diritto dell’Unione Europea presso l’Università di Bologna, Federico Casolari. «Acconsentire ad una adesione istantanea dell’Ucraina nell’Unione sarebbe stato un grosso rischio. D’altra parte però, non accogliere le istanze di un Paese che si trova ad essere aggredito e che in un certo qual modo si ritrova ad essere il paladino della difesa di una certa visione di valori, condivisi dall’Europa occidentale, sarebbe stato difficile da accettare». 

Come evidenzia il professor Casolari durante un intervista con Scomodo, riconoscere lo status di Paese candidato permette allo Stato in questione di poter godere di fondi finanziari, messi a disposizione dall’Unione Europea, che sono pensati per consentire ai candidati di proseguire, con maggior facilità, il percorso per diventare Paesi membri. «Allo stesso tempo può essere considerato anche come un messaggio politico», aggiunge, «da mandare alla Russia: che ci sia un processo che dovrebbe portare all’adesione dell’Ucraina all’Ue, in tempistiche abbastanza celeri, proprio a rappresentare la vicinanza a questo popolo. La voglia sarà infatti di rafforzare quel rapporto che già l’accordo di associazione aveva siglato e che certamente la prospettiva di ingresso rende ancora più manifesto». 

L’accoglienza di nuovi Paesi nell’Unione però potrebbe subire delle modifiche, permettendo l’ingresso dell’Ucraina nonostante le molteplici perplessità e problematiche. Nel suo discorso da presidente del Consiglio dell’Unione Europea del 9 maggio dello scorso anno, il Presidente francese Emmanuel Macron è intervenuto al termine della Conferenza sul futuro dell’Europa proponendo un progetto ambizioso di revisione dei trattati. Il Presidente Macron ha ripreso a grandi linee il progetto, mai realizzato, di una «Confederazione europea» presentata dall’ex Presidente della Repubblica francese Mitterrand dopo la caduta del muro di Berlino, che prevedeva una doppia struttura europea: una più circoscritta con tutti gli Stati membri, e un’altra di accoglienza a tutti i Paesi che non necessariamente dovevano entrare nella Comunità europea dell’epoca. Macron nel suo discorso ha rievocato quella proposta di modello, suggerendo la creazione di una struttura di accoglienza intorno all’Unione Europea, una Comunità politica europea, con i ventisette Stati membri che facciano da area sicura e tutti gli altri Stati (evitando anche in questo modo possibili uscite dall’Unione da parte di altri Stati membri come Ungheria e Polonia).

Si verrebbe a creare in questo modo una doppia struttura europea che permetterebbe una collaborazione più estesa e flessibile e un’integrazione tra Stati che comporterebbe dei vantaggi a tutti i Paesi coinvolti. Il meccanismo di condizionalità ai criteri di Copenaghen verrebbe meno, perché gli Stati coinvolti formalmente non sarebbero Stati membri e da ciò avrebbero un’ampia libertà costituzionale, l’Unione invece potrebbe ampliare il proprio raggio d’azione anche con stati che, come l’Ucraina, hanno dichiarato la volontà di aderire all’Unione. Secondo il professor Casolari, con questo progetto si creerebbe un’Unione Europea a cerchi concentrici, con un cerchio esterno all’Unione che permetterebbe di instaurare un rapporto stretto con Paesi terzi. Ciò che sfugge però, secondo il professore di diritto dell’UE, è che a oggi non c’è la vera necessità di una Confederazione europea, perché l’Unione Europea ha già tutti gli strumenti che le consentono di dare vita ad una forma di vicinato privilegiato (come gli Accordi di associazione o la Politica europea di vicinato), ma anzi la concretizzazione della tale Confederazione dal punto di vista dei Paesi candidati, rallenterebbe notevolmente un processo di ingresso che è già abbastanza complesso.

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