A diverse settimane dalle “elezioni del secolo” in Turchia e dai festeggiamenti sfrenati della sera del 28 maggio, la vita è tornata alla normalità. Niente più manifesti elettorali, meno politica nelle conversazioni, tutti tornano nelle proprie città d’origine per la festa musulmana del Sacrificio. La consapevolezza che, però, qualcosa è cambiato è piuttosto diffusa: il terzo mandato presidenziale di Erdoğan ha lasciato un solco profondo nella fiducia all’opposizione. Intanto il mondo si è complimentato con il rieletto Presidente, a cui si presenta già una lunga lista di problemi: prima di tutto l’inflazione, come lui stesso ha sottolineato nel suo primo discorso ad Ankara, le relazioni con l’UE e la NATO e la gestione dei migranti.
In campagna elettorale la gestione dell’attuale crisi economica è stata discussa da tutti i candidati, perché necessita di azioni rapide ed efficaci, soprattutto per fermare la spirale inflazionistica che sta svalutando la lira turca. Recep Tayyip Erdoğan ha vinto al ballottaggio con il 52,18% dei voti e nel suo primo discorso ad Ankara, di fronte a più di 300 mila persone, ha annunciato che se ne occuperà. Nel resto del lungo intervento ha anche parlato di crescita economica, sicurezza nazionale, migranti, incluso qualche attacco più o meno esplicito a Kemal Kılıçdaroğlu, leader scelto dall’opposizione. Quest’ultimo era in testa nei sondaggi ed è stato l’unico candidato ad aver portato Erdoğan al ballottaggio dal 2003, anno del primo mandato presidenziale.
Speranza
Nel giro di un paio di giorni la situazione è tornata alla normalità. Le persone sanno cosa aspettarsi da Erdoğan. Nonostante questo, ci sono sentimenti contrastanti, solo in parte raccontati in Europa, dove l’informazione è concentrata per lo più sulle politiche tutt’altro che filo-europee del Presidente. Nel tentativo di riportare uno spaccato di questa pluralità, Scomodo ha inoltrato un sondaggio di poche domande agli studenti dell’Università di Pamukkale a Denizli, che a loro volta lo hanno diffuso tra amicə e parenti. Per quanto non si tratti di un campione statisticamente rappresentativo, il questionario è comunque utile per comprendere alcuni aspetti della condizione delle nuove generazioni in Turchia all’indomani delle elezioni. Come si evince dai risultati del ballottaggio, la popolazione è divisa tra sostenitori e oppositori di Erdoğanm ma anche tra chi ha espresso la stessa preferenza le discordie non mancano.
«Sfortunatamente la politica è diventata una situazione di cui parliamo in ogni conversazione», perché «influenza tutta la mia vita, economia, felicità, benessere», recita una delle risposte al questionario. È strano come ci sia un malessere generale riguardo il presente e quasi tuttə pensino che la politica in Turchia sia ovunque ma, nonostante questo, solo un paio di persone partecipano attivamente o vorrebbero “fare qualcosa”. In moltə, tra chi ha risposto al sondaggio, sperano in un futuro all’estero per lasciarsi tutto alle spalle, nonostante i visti per Schengen o per gli Stati Uniti siano difficili da ottenere e le condizioni per il rilascio dei permessi di soggiorno siano poco accessibili. «Voglio essere in un luogo in cui posso provare prosperità e libertà», per «guadagnare quello che mi merito», si legge in un’altra risposta. Secondo i dati ufficiali, nel 2021 287 mila persone hanno lasciato il Paese; la fascia di età più numerosa è quella tra 20 e 24 anni.
Insieme ai fattori economici, un altro elemento che ritorna puntualmente è quello di libertà e diritti, percepiti come fittizi, «negati ovunque e in qualunque momento», in particolare per le donne e la comunità LGBTQ+. Erdoğan in campagna elettorale ha indicato la comunità LGBTQ+ come un pericolo per la famiglia tradizionale e la sopravvivenza della società. Ha anche attuato tattiche intimidatorie, come vietare il Pride, nonostante la Corte Europea per i Diritti Umani e varie corti turche le abbiano giudicate illegittime. Gli attivistə, tuttavia, continuano a combattere e manifestare nonostante il divieto posto dal governo. Il 25 giugno a Istanbul, Izmir e altre grandi città si è svolto il Pride. Secondo Human Rights Watch, a Istanbul sono state arrestate 113 persone e a Izmir almeno 52 poi immediatamente rilasciate. Alla manifestazione dell’anno scorso a Istanbul ne erano state arrestate 373. Ecco perché le elezioni erano «una questione di vita o di morte», la speranza di vedere un cambiamento per poter rimanere nel proprio Paese ma in condizioni economiche e culturali migliori, «la scelta tra la vita moderna e la vita islamica», ha scritto una delle persone che ha compilato il questionario.
*Scomodo dà a chi scrive i suoi articoli la possibilità di utilizzare formule di linguaggio inclusivo più o meno esplicite, in base alla propria sensibilità individuale e stile personale