The ride ep. 9 – Le proteste degli studenti

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All’inizio dell’anno accademico lo scorso autunno, come ogni anno, il caro affitti è tornato al centro della discussione. Non si trattava, ovviamente, di una discussione politica partitica: molto più semplicemente, studenti stremati dal tentativo di trovare stanze o piccoli appartamenti dove alloggiare fuori dalla propria città tornavano a tentare di porre la questione. E, di nuovo come ogni anno, gli appelli cadevano nel vuoto. Le proteste non si erano fatte attendere: a Bologna, i collettivi Luna e Labàs avevano deciso di occupare una palazzina di proprietà Asp (Azienda pubblica di Servizi alla Persona) in via Capo di Lucca, ribattezzandola “Casa Vacante”.

Uno spazio occupato semplicemente per far dormire gli studenti con un tetto sulla testa. «Siamo pieni di richieste, c’è già una lista di attesa per entrare: da stamattina ci stanno contattando tantissime persone, pendolari dai luoghi più impensati della provincia» In una sola giornata, se mai ce ne fosse stato bisogno, la dimensione dell’emergenza abitativa era diventata evidente grazie a una delle temutissime “occupazioni abusive”. Tra i video postati sui social dai collettivi, giovanissimi studenti di ogni parte d’Italia costretti, a volte, a fare da pendolari partendo da centinaia di chilometri di distanza.

La giunta del sindaco PD Matteo Lepore, comunque, aveva dimostrato di voler affrontare l’occupazione a muso duro. Dopo un mese e mezzo, la palazzina era stata liberata di fronte alla promessa di non vendere lo stabile com’era nei piani dell’amministrazione per svilupparvi un “progetto per l’abitare sociale”. 

Una situazione tragica quella di Bologna, una delle città, ma critica anche in altre città d’Italia: a ottobre nella ben più piccola Perugia decine di studenti dormivano accampati nella sede della CGIL, esasperati di fronte alla mancanza di alloggi. 

Risposte politiche, comunque, poche se non nulle. Nulla lasciava presagire, con la sessione estiva e la fine dell’anno accademico alle porte, che sarebbe scoppiata una protesta finita sulle prime pagine di tutti i giornali e in primo piano nei telegiornali serali.

Partendo dall’esempio di una ragazza di Milano, un manipolo di studenti prendeva posto con le proprie tende prima di fronte al rettorato della Sapienza di Roma e poi davanti alle università di tutta Italia. La protesta simbolica contro il caro affitti ha avuto un risalto mediatico mai ottenuto prima dalle istanze degli studenti sul tema. Soprattutto, però, ha ottenuto una risposta politica probabilmente insperata. Costretti dal risalto della protesta nell’opinione pubblica, esponenti del governo e dell’opposizione si sono spintonati per dire la loro.

Il primo a esporsi è stato il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. «Rilevo che il problema è serio, ma guarda caso tocca tutte città governate dal centrosinistra. Voglio permettermi di rilevare che nelle città dove ci sono gli accampamenti (le tende davanti all’università, ndr) dove il problema del caro affitto è grave non sono state attivate dalle giunte comunali delle politiche a favore dei giovani per offrire loro un panorama abitativo decoroso».

Un problema, dunque, che non riguarderebbe in alcun modo il governo centrale. Valditara è stato bacchettato nel giro di poche ore dalla sua omologa e coinquilina del ministero di viale Trastevere, la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini. La forzista ha fatto trapelare «irritazione» per una contrapposizione «controproducente» nell’arrivare a una soluzione condivisa del problema, invitando il collega (vicino alla Lega) a non «alimentare inutili polemiche». 

Le risposte a Valditara, ovviamente, sono arrivate anche dai sindaci chiamati in causa, primi fra tutti il sindaco di Firenze Dario Nardella e quello di Milano, Giuseppe Sala. Il primo ha sottolineato quanto fosse «da irresponsabili da un lato criminalizzare i giovani e dall’altro criminalizzare i sindaci di sinistra», come se i due soggetti fossero sullo stesso piano e passibili di critica allo stesso modo.

Il secondo si è più semplicemente limitato a stigmatizzare le parole del ministro: «Valditara non ha nemmeno le competenze per parlare e non so perché parla». I due sindaci, insomma, hanno deciso di smarcarsi dal problema, avviando un tango di rimpalli delle responsabilità politiche, amministrative e (soprattutto) burocratiche sul tema. Nel farlo, dimenticano (o semplicemente omettono) di dire che il problema del caro affitti colpisce in maniera profonda le loro città, la cui gestione urbanistica impatta in maniera decisiva la disponibilità di alloggi a un prezzo accessibile.

Milano è una città dalla viva attività studentesca, ma è allo stesso tempo la città che detiene da anni il primato degli affitti più cari del Paese, con una media di 21 euro al metro quadro (problema che investe anche chi ha già finito di studiare, dal momento che quasi un un laureato su tre trova lavoro in Lombardia). Firenze, d’altro canto, è la città dove gli affitti sono saliti di più nel corso dell’ultimo anno: ad aprile 2023, secondo Immobiliare.it Insights, affittare una casa costava il 20,2% in più rispetto allo stesso periodo nel 2022.

Tra una Elly Schlein contestata dagli stessi studenti a cui aveva intenzione di manifestare solidarietà e un Giuseppe Conte visibilmente imbarazzato nel conversare con gli accampati della Sapienza le opposizioni hanno provato a intestarsi il ruolo di riferimento politico della protesta. Dall’altra parte, Fratelli d’Italia annunciava in pompa magna di «non parlare, ma agire» (fantasiosa la grafica su Twitter in cui, stranamente, di fronte alla Sapienza sono spariti gli studenti): 660 milioni per risolvere la questione, pur se chiaramente insufficienti di fronte al dislivello che riguarda gli alloggi per studenti (gli attuali 40.000 contro i 700.000 studenti fuori sede). Soldi, comunque, evidentemente non stanziati dal governo Meloni, solo sbloccati: il decreto aiuti ter, con cui il governo dimissionario guidato da Mario Draghi metteva a disposizione questi fondi, risale al 23 settembre 2022, poco più di un mese prima del giuramento di Giorgia Meloni come presidente del Consiglio.

Ma questo ritardo di otto mesi accumulato dal governo più a destra della storia della Repubblica non è il solo. A pochi giorni dall’annuncio, l’emendamento al decreto sulla pubblica amministrazione con cui si intendeva stanziare i suddetti 660 milioni viene ritirato, con la promessa di ripresentarlo al prossimo mega-decreto che mescola Inps, Inail, Enti Lirici e altro ancora. Un ulteriore rinvio che arriva mentre la protesta delle tende continua, ma quando la caccia al voto si è già interrotta. Per essere un bacino di voti appetibile e appetitoso, quindi, gli studenti fuorisede dovranno aspettare. Sempre che riescano a tornare a casa per votare.

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