Nei mesi di chiusura totale dei negozi fisici, Amazon è stato la salvezza che ci ha permesso di continuare ad acquistare ciò di cui pensavamo di avere bisogno. Tra aprile e giugno del 2020 la società fondata a Seattle ha registrato i profitti più alti della sua storia, con ricavi pari a 88,9 miliardi di dollari. Questo successo non è solo frutto delle circostanze, che hanno obbligato tutti i negozi alla chiusura, ma è anche dovuto ad un’attenta strategia mirata a fidelizzare il cliente anche grazie allo sviluppo di nuove modalità per raggiungere e coinvolgere una fascia di consumatori dall’incredibile potenziale, ovvero quella degli studenti. La US Chamber of Commerce Foundation aveva già stimato nel 2016 che questo gruppo di consumatori omogeneo potesse avere un’influenza nelle scelte di acquisto per 600 miliardi di dollari negli USA con una capacità di spesa di 43 miliardi.
La strategia del gruppo di Jeff Bezos vede al centro i ragazzi nati dopo il 1995, la cosiddetta “generazione Z” che è attualmente il gruppo demografico più influente del pianeta e si stima che rappresenti oramai il 40% dei consumatori. L’obbiettivo è, da un lato, quello di assicurarsi i clienti potenziali di domani, che sono anche i primi veri nativi digitali, e dall’altro contribuire a ripulire la propria immagine dalle forti critiche che sono nate negli ultimi anni e che hanno portato alla nascita di tanti movimenti contro lo strapotere dell’e-commerce, tra cui la petizione che è stata recentemente aperta in Francia “Natale contro Amazon”, per ridurre gli acquisti sul sito in vista delle festività. Gran parte del successo della piattaforma è però dovuto alla sua capacità di sfruttare la pubblicità grazie a meccanismi all’interno del funzionamento stesso della piattaforma.
Specialisti nell’advertisement
Sempre più di frequente, Amazon è il sito da cui comincia la ricerca dell’oggetto da acquistare: si stima infatti che più della metà dei consumatori nostrani lo utilizzino come strumento di partenza per la ricerca dei prodotti, superando di gran lunga eBay e Facebook. La strategia di marketing comincia con gli annunci sponsorizzati che compaiono durante la ricerca sul marketplace e prosegue anche su altri siti visitati in seguito, dove appariranno banner che rimandano ai prodotti visualizzati all’inizio. Alla base della crescita dell’impero di Jeff Bezos vi è proprio questo meccanismo: più utenti sfruttano la piattaforma per cercare prodotti che vorrebbero acquistare, maggiore è il numero di dati sulle preferenze di consumo di ciascun profilo. Più informazioni la piattaforma ha a disposizione, maggiore è il grado di precisione degli annunci pubblicitari. L’efficacia di questa strategia è tra gli elementi che portano un maggior numero di aziende ad affidarsi ai servizi offerti dalla società, alimentando la crescita della vetrina virtuale.
A livello economico questo meccanismo risulta doppiamente vantaggioso. In primo luogo, le pubblicità permettono alla piattaforma di aumentare la vendita dei propri prodotti e, oltre a ciò, la vendita dei servizi di advertisement contribuisce alle entrate del gruppo. Considerando esclusivamente il mercato americano degli “ads” le stime affermano che nel 2020 la società di Jeff Bezos sfiorerà i 13 miliardi di dollari di ricavi, posizionandosi al terzo posto dopo Facebook (31 miliardi) e Google (40 miliardi). La rilevanza dei servizi pubblicitari nella strategia della multinazionale è incontrovertibilmente provata dall’efficienza della piattaforma che ne permette la gestione. Amazon Advertising nasce nel 2018 per unire sotto un unico ombrello tre marchi preesistenti – Amazon Media Group, Amazon Marketing Services e Amazon ad Platform – al fine di semplificare l’erogazione dei servizi promozionali. A sua volta, Amazon Advertising è suddiviso in due sezioni: la Advertising Console, che si occupa degli annunci pay-per-click all’interno del sito, e Amazon DSP (Demand Side Platform). Quest’ultima permette di raggiungere una platea più ampia di consumatori attraverso un’interfaccia unica che gestisca le sezioni pubblicitarie di altri siti e applicazioni al di fuori dell’e-commerce stesso. Per dirla in termini tecnici, la DSP consente di realizzare per intero la strategia del funnel marketing (marketing a imbuto) con relativa precisione, riuscendo a far conoscere ai clienti nuovi prodotti che sentano il bisogno di acquistare. Ciò che rende la DSP unica è la grande quantità di dati a disposizione, che permette di rendere gli ads particolarmente efficaci. Rielaborando tutte le informazioni è infatti possibile suddividere gli utenti in gruppi omogenei in base a gusti, interessi e comportamenti e in alcuni casi anche tracciare un profilo specifico di ciascuno. Questa pratica di marketing viene detta profilazione e nel caso della compagnia di Seattle è in grado di identificare gli utenti propensi ad acquistare un prodotto sulla base dei propri comportamenti – di ricerca o acquisto – negli ultimi 30 giorni, gli utenti che hanno acquistato regolarmente prodotti simili nell’arco dell’ultimo anno ed infine criteri demografici quali l’età, la localizzazione geografica e il genere.
L’efficacia dei servizi di advertisement è garantita dalla possibilità di individuare con grande precisione il pubblico adatto a ciascun prodotto e la forma pubblicitaria più adeguata non solo per aumentare le vendite su Amazon, ma anche sugli e-commerce al di fuori della piattaforma. Secondo il sito di Tinuiti, una delle più grandi agenzie di digital marketing in Nord America, il caso di R+Co, un’azienda di cosmetici di alta qualità, rappresenta di buon esempio dell’efficacia dei sistemi offerti da Amazon Advertising. L’azienda, dopo aver riscosso un iniziale successo con il lancio dei propri prodotti sul marketplace di Jeff Bezos, ha visto un progressivo calo nelle vendite. Per risolvere il problema, si è optato per lo sviluppo di una strategia diversificata, attraverso l’utilizzo degli strumenti offerti dalla DSP, che partisse dai clienti già fidelizzati per poi raggiungerne di nuovi. Secondo i concetti del funnel marketing, gli ads sono stati diversificati a seconda dello strato dell’imbuto a cui volevano rivolgersi. Per quanto riguarda i clienti che già abitualmente acquistavano sul loro sito, l’obbiettivo era quello di concentrare gli acquisti sui prodotti più costosi. Per migliorare il coinvolgimento della parte medio-alta dell’imbuto, ovvero i potenziali nuovi clienti, sono invece state sfruttate le modalità di profilazione descritte prima per portare avanti una campagna mirata ed efficace. A questa nuova gestione dei propri annunci pubblicitari sono stati affiancati anche alcuni sconti speciali, soprattutto in occasione del “Prime Day”, pubblicizzati con annunci statici sulla pagina principale del sito. Dal momento dell’implementazione di tali strategie di promozione le visite sul sito di R+Co sono aumentate dell’85% e si è registrato un aumento del 70% delle unità vendute.
Attorno agli studenti
L’offerta dei servizi pubblicitari e promozionali di Amazon risulta ancora più impressionante se si considerando tutti i canali attraverso cui il colosso del web è in grado prima di raccogliere dati sulle preferenze individuali e successivamente di proporre pubblicità e inserzioni che siano visibili al consumatore. Proprio in questa direzione si muove la strategia di diversificazione del colosso web, che si sta espandendo in tutti i possibili ambiti digitali in cui la generazione Z e i “Millennials” passano la gran parte del loro tempo. Da semplice marketplace ora l’offerta completa comprende la piattaforma di streaming video on-demand Prime Video, la piattaforma di steaming Twitch e i servizi di Intelligenza Artificiale e Cloud offerti da AWS (Amazon Web Services). Tutti i prodotti appena citati sembrano essere perfettamente in linea con le abitudini e alle necessità dei giovani studenti, che da qualche anno sono al centro delle operazioni di marketing della società. Durante il lockdown, le principali fonti di intrattenimento, nonché le app che hanno registrato il maggiore aumento in termini di tempo di utilizzo e utenti iscritti, sono stati i servizi di streaming come Netflix e Prime Video e le piattaforme di streaming come Twitch. L’opportunità rappresentata da questo potenziale gruppo di spettatori nonché consumatori, con una capacità di spesa importante, che a causa della situazione è stato obbligato a trascorrere sempre più tempo su internet, è stata prontamente sfruttata dalla società di Jeff Bezos.
Già da diverso tempo l’azienda aveva capito l’importanza di assicurarsi la fascia di clientela rappresentata dagli studenti e le prime campagne pubblicitarie erano state avviate negli Stati Uniti con diverse modalità. Rivolgendosi soprattutto agli universitari, la strategia elaborata comincia dalla vantaggiosa offerta di Prime Student (un abbonamento prime, con i vantaggi che ne derivano, per studenti iscritti all’università): i primi sei mesi sono gratis e in seguito l’abbonamento costa la metà di quello normale. Questo è solo il primo passo, perché potendo identificare un segmento così ben definito come quello degli studenti, il colosso web è in grado di garantire offerte e sconti ad hoc su articoli essenziali per lo studio, che allo stesso tempo siano affiliati con altri articoli presenti sul marketplace, incentivando così le vendite anche di beni che non sarebbero strettamente necessari. Per rinforzare la percezione che gli acquisti sulla propria piattaforma siano particolarmente convenienti, il secondo passo è stato portare nei campus americani i “Locker”, ovvero dei pick-up point che rendono la consegna della merce ordinata ancora più facile. Nel 2019 Ripley MacDonald, allora responsabile per i programmi Student della società, affermava in un’intervista a Bloomberg, che il campus universitario è dove ci sono tutti i futuri acquirenti in un solo posto. “Noi facciamo laureare i ragazzi in membri full-price di Amazon Prime”.
Il caso americano evidenzia la capacità della piattaforma di arrivare al consumatore attraverso meccanismi di marketing tradizionali. Negli ultimi anni però le strategie si sono evolute per rispondere alle esigenze sempre più diverse della nuova generazione e al contesto europeo dove dovevano essere importate. Quel che infatti emerge da molti studi sulla generazione Z, gli attuali studenti, è la loro maggiore sensibilità agli annunci di tipo visivo e la continua ricerca di un’esperienza che passi attraverso più canali possibili. In questo senso si è puntato alla creazione un’offerta omnicomprensiva che si è rivelata vincente negli ultimi mesi. Le nuove abitudini degli studenti, che da marzo prevedevano circa 25 ore di didattica a distanza davanti al computer (circa 5 al giorno) e un aumento del tempo passato sulle app e online, incrementato del 30% rispetto a prima della pandemia, sono state sfruttate dai nuovi servizi implementati dalla società negli ultimi anni.
Per quanto riguarda il lato didattico, la piattaforma di AWS (Amazon Web Service) Educate, un segmento della più completa AWS, annovera già numerosi istituti italiani che aderiscono all’offerta di approfondimenti, corsi e servizi di cloud da offrire ai propri studenti. L’iscrizione alla piattaforma può essere fatta dal singolo docente, per fornire un corso o una specifica modalità di apprendimento ai propri alunni, dallo studente per usufruire delle opportunità didattiche offerte direttamente da AWS Educate, oppure dall’intero istituto, per sviluppare programmi più comprensivi per l’apprendimento di competenze legate al cloud. Nell’elenco degli istituti che hanno già aderito al servizio ci sono 51 nomi italiani tra licei, istituti tecnici, fondazioni e università.
Sempre restando legati alle università, l’azienda ha saputo sfruttare fino in fondo il suo canale diretto e privilegiato con le giovani generazioni e ha proposto gli “University ESport”. Il nuovo portale permette ad “ogni giocatore che studia in una delle università associate ai campionati di registrarsi e formare una squadra nella propria università per cercare di qualificarsi per le finali europee ogni anno”, come si legge sul sito. Non mancano, esattamente al centro della homepage, link e pubblicità che riconducono l’utente alla sezione gaming ed elettronica per acquistare i prodotti che sono presentati come necessari per poter dare il proprio meglio in questa nuova disciplina sportiva. Questa offerta nell’ambito del gaming online segue il successo che la piattaforma Twitch ha registrato tra i ragazzi. Non esistono statistiche precise riguardo al numero di utenti, ma secondo Blogmeteres circa il 12% degli italiani utilizza Twitch e si tratta per circa l’80% di maschi millennials. L’unico modo per evitare le pubblicità durante una diretta del proprio streamer preferito è quello di iscriversi al suo canale. Visto che la percentuale di iscritti rimane comunque limitata, la possibilità di sfruttare questi spazi pubblicitari è una delle ultime frontiere del colosso americano che nell’ultimo anno ha visto crescere il numero di partner e affiliati che generano entrate su Twitch dell’86%.
Le conseguenze sull’ambiente
Per capire perché l’interesse di Amazon nel mostrarsi virtuosa e attrattiva verso gli studenti dovrebbe preoccupare, bisogna fare un passo indietro. Amazon Web Services (AWS) è un’azienda che fa capo al gruppo e non ne rappresenta affatto una parte trascurabile: ne è, infatti, la principale fonte di entrate (57%) e il 12% di tutti i guadagni. La società si occupa della fornitura di IA (intelligenza artificiale) e machine learning (o apprendimento automatico) per, tra le altre, grandi multinazionali del petrolio come BP, Shell e altre aziende a cui il gruppo fornisce servizi anche in un altro ambito, che rappresenta uno dei suoi principali problemi dal punto di vista ambientale: il cloud computing. Rispetto agli altri concorrenti nel suo settore AWS la fa da padrona, detenendo il 45% delle quote di mercato globali.
A questo punto però le questioni critiche sono due: come si alimentano i server e quali tecnologie vengono fornite alle compagnie petrolifere. Nell’aprile del 2019, il Guardian scriveva che uno dei più importanti datacenter dell’azienda, in Virginia, era alimentato da energie rinnovabili solo per il 12%. Il tema è particolarmente rilevante dato che, secondo un report di Greenpeace del 2017, i data center sono responsabili di una quota di emissioni pari a quella dell’intera industria aeronautica mondiale (come trattato su Scomodo n.26, “Il peso delle nuvole”). Secondo Gizmodo, uno dei più importanti blog di tecnologia, il CEO di AWS Andrew Jassy avrebbe dichiarato nel marzo 2019 che la maggior parte dei prodotti rilasciati dall’azienda nell’ultimo periodo sarebbero stati concepiti insieme ai partner dell’industria petrolifera. A ciò fa da contraltare un’altra dichiarazione dell’allora vicepresidente dell’azienda, Peter DeSantis, secondo cui le energie rinnovabili sarebbero troppo costose e non efficaci al fine di fare affari. Per il report di Greenpeace “Oil in the Cloud” le nuove tecnologie fornite al settore di gas e petrolio porterebbero un guadagno di 425 miliardi di dollari entro il 2025, e le tecnologie IA incrementerebbero la produzione del 5%. È previsto che le compagnie petrolifere investano $15,7 mld nelle fasi di esplorazione e produzione, rispetto agli attuali $2,5 miliardi. È evidente, quindi, che le tecnologie fornite da AWS siano vantaggiose per il settore dei combustibili fossili e, dunque, svantaggiose per il clima.
C’è poi la questione delle spedizioni. Nel 2019 Amazon ha consegnato 3,5 miliardi di pacchi, una cifra da capogiro. Solo in Italia i pacchi sono 318 milioni, consegnati da circa 20mila furgoni. Secondo il MIT di Boston, gli acquisti online non avrebbero un impatto maggiore rispetto agli acquisti al dettaglio, se non fosse per il servizio Prime. Le consegne veloci non permettono ai corrieri di organizzare spedizioni a pieno carico con itinerari razionalizzati, generando maggior traffico per le strade. Le emissioni di CO2, in questo modo, risultano fino a 35 volte maggiori rispetto alle consegne standard a pieno carico. Per capirci, una consegna tradizionale corrisponde all’abbattimento di 20 alberi; una consegna Prime, invece, tra 100 e 300 alberi. La possibilità di effettuare il reso, inoltre, sempre più incentivata in un’ottica di soddisfacimento del cliente, ha però l’effetto negativo di raddoppiare i viaggi per un singolo prodotto. Un’altra criticità dell’e-commerce è rappresentata dal packaging dei prodotti: dal peso tre volte superiore, e con un impatto ambientale equivalente a 182 kg di CO2, rispetto agli 11 kg del sacchetto di plastica tradizionale. In aggiunta, il packaging è spesso multimateriale, cosa che non ne permette un corretto smaltimento. Per ovviare a questi problemi, la piattaforma avrebbe bisogno di dotarsi di una logistica propria, completamente sostenibile, per non risultare dipendente da corrieri di cui non ha il controllo.
I venditori esterni si trovano a dover affrontare anche un altro problema, nell’affidarsi ad Amazon: lo stoccaggio dei prodotti nei magazzini. L’e-commerce in questione, infatti, richiede il pagamento di un corrispettivo per occupare spazio nei propri depositi. Questa somma si aggira, in partenza, a €26/m3, ma col passare del tempo cresce fino ad arrivare a €500/m3 dopo sei mesi e €1000/m3 dopo un anno. Motivo per cui i proprietari dei prodotti, dopo un po’, decidono di rimuoverli, trovandosi davanti due possibilità. La prima è la restituzione, il cui costo si aggira intorno a 25 cent per unità. La distruzione del prodotto, invece, ha un costo di circa 10 cent/unità. Diverse critiche sono state mosse contro la politica di “Destroy”, per la quale enormi cumuli di prodotti (in Francia fino a tre milioni di prodotti l’anno), spesso resi come nuovi e che comprendono anche elettrodomestici e telefonia, vengono distrutti. In Germania, nel giugno 2018, un’inchiesta del WirtschaftWoche aveva fatto intervenire persino il sottosegretario all’Ambiente, che aveva definito la vicenda come “un grosso scandalo”.
Preservare l’immagine
In seguito a varie critiche ricevute, il gigante americano ha deciso di esplicitare una policy più sensibile riguardante la sostenibilità e l’immagine stessa dell’azienda. Nel settembre 2019 il colosso di Jeff Bezos ha annunciato la fondazione del “Climate Pledge”, un impegno condiviso con altre aziende a raggiungere il 100% di rinnovabili nella fornitura energetica entro il 2030 e ad annullare le proprie emissioni nette di CO2 per il 2040, dieci anni prima dell’obiettivo fissato dagli Accordi di Parigi. Ma per quanto il progetto sia ambizioso, è quello che manca nel piano a fare rumore, più di ciò che effettivamente c’è. Innanzitutto, non è chiaro il modo in cui verrà effettuata la transizione verso le rinnovabili. Attualmente, secondo Greenpeace, l’azienda di Seattle sfrutta in parte quello che è denominato “Renewable Energy Credit System” (RECs): un meccanismo che permette di scorporare l’effettiva energia pulita da una sorta di certificato che ne attesta la produzione. L’energia così prodotta ha “valore doppio” sul mercato, e permette di neutralizzare emissioni inquinanti mediante l’acquisto di suddetti certificati, senza che nulla effettivamente cambi. Inoltre, il piano ambientale riguarda solo le operazioni e l’uso di elettricità dell’azienda , escludendo però la catena di approvvigionamento, che rappresenta ben il 75% dell’impronta ambientale prodotta, che nel 2019 si è attestata a 51,17 milioni di tonnellate di CO2, con un +15% sul 2018 (prima del 2018 l’azienda non aveva mai rivelato l’entità del proprio impatto ambientale). A giugno di quest’anno è stato annunciato il lancio del “Climate Pledge Fund”, un fondo che parte da una dotazione di 2 miliardi di dollari come investimento in aziende che si occupano di prodotti, servizi e tecnologie per accelerare la decarbonizzazione.
Quasi in contemporanea è stato pubblicato il suo rapporto sulla sostenibilità, in cui emerge un aumento delle emissioni di CO2 rispetto il 2019. L’ AECJ (Amazon Employees for Climate Justice, ovvero un gruppo di circa 9 mila dipendenti dell’azienda), insieme ad altre voci critiche, denuncia l’impiego di tecniche di contabilizzazione del carbonio ingannevoli, usate come diversivo per avere meno attenzioni sull’aumento delle emissioni ed incolpano il “Climate Pledge Fund” di incentivare esclusivamente rimedi tecnocratici per la crisi climatica, invece di una effettiva giustizia ambientale. Inoltre, l’AECJ è dall’aprile dello scorso anno che chiede pubblicamente alla dirigenza di intraprendere una strada più incisiva per il clima. Un’altra iniziativa degna di essere sottolineata è il “Bezos’ Earth Fund”, ossia un fondo “salva terra” istituito dopo le accuse mosse da circa 300 dipendenti riguardo alle pratiche poco green. Si tratta di 10 miliardi di dollari da destinare ad associazioni che si battono per rendere le attività umane più sostenibili e ridurre il loro impatto sull’ambiente. Tutto ciò avverrà non sotto forma di un investimento privato, ma come atto benefico: sarà una commissione scelta dall’azienda a valutare le proposte provenienti da ricercatori, associazioni, ONG e consegnerà loro i fondi senza intervenire nello sviluppo delle iniziative. Parallelamente, la società sta cercando di migliorare la propria immagine attraverso una strategia basata sugli spot pubblicitari, tra cui rientrano anche quelli trasmessi negli ultimi mesi del 2020. In tutti è evidente una grande attenzione alle minoranze, soprattutto quella afroamericana, rese protagoniste degli spot. Da quello sul Black Friday, in cui si esorta a comprare prima i regali di Natale per poi godersi le feste, a quello di Natale che recita “Lo spettacolo deve continuare”, in cui grazie a famiglia, amici e acquisti sul e-commerce si riescono a realizzare i sogni di una giovane ballerina nonostante la pandemia. Spot come “Le storie di chi lavora”, in cui un ragazzo non italiano parla di come siano grati i genitori per il suo contributo economico e della sorella con disabilità, accompagnato da frasi come “continuare sempre a lottare” o “ con la mia squadra siamo una famiglia”, hanno l’obbiettivo di distogliere l’attenzione da tutti danni, ambientali e sociali, che il colosso sta causando al nostro ecosistema.
Se nella strategia di Amazon un ruolo sempre più importante è giocato dai ragazzi della nuova generazione, queste pratiche di greenwashing potrebbero non bastare a nascondere ai loro occhi gli effetti dell’attuale modello di consumo, che non è sostenibile ancora per lungo tempo e che necessita di essere ripensato. Il crescente numero di critiche rivolte all’azienda di Jeff Bezos deve essere la base per ripensare al ruolo dell’e-commerce, privandolo del suo ruolo di acceleratore del consumismo eccessivo e affiancandolo ad una nuova consapevolezza nell’esperienza di acquisto, soprattutto riguardo gli impatti delle nostre scelte.