
Il 22 giugno scorso in Francia è iniziato lo sciopero dei giornalisti del Journal du Dimanche, storico settimanale del paese. Lo sciopero, durato sei settimane, è uno dei più lunghi in un giornale francese ed è stato indetto a seguito della nomina del nuovo direttore, Geoffroy Lejeune.
Il JDD ha rivendicato fortemente la sua indipendenza manifestando la volontà di mantenere una linea editoriale moderata, che con la nomina del nuovo direttore assumerà inevitabilmente una svolta radicale a destra. Lejeune viene, infatti, dal settimanale conservatore e di estrema destra Valeurs Actuelles, che sotto la sua direzione è stato condannato per incitamento all’odio razziale, ed è noto per imporre la sua linea editoriale alle redazioni di cui è a capo.

Il caso ha assunto con il passare dei giorni anche un’importante rilevanza politica, dal momento che il neo-direttore Lejeune ha sostenuto alle presidenziale del 2022 il candidato presidente di estrema destra Eric Zemmour, anche lui condannato per incitamento all’odio razziale.
Lo sciopero si è concluso il 1 agosto con quaranta giornalisti che hanno lasciato il settimanale: «abbiamo rimesso in piazza il tema dell’indipendenza delle redazioni, di fronte ai nostri azionisti, ma non abbiamo vinto», si legge nel comunicato del comitato di redazione del JDD. L’annuncio è arrivato dopo l’assenza di risposte e garanzie di indipendenza da parte di Arnaud Lagardère, ad del gruppo Lagardère, di cui fa parte JDD e la cui quota di maggioranza è della società di Vincent Bolloré, noto imprenditore e produttore televisivo francese.

Anche uno dei più importanti quotidiani francesi, Le Monde, in un editoriale si è schierato contro il gruppo editoriale proprietario del JDD: «è deplorevole che il gruppo Lagardère, durante le trattative con i giornalisti del JDD, abbia rifiutato il minimo impegno che dovrebbe anche essere ovvio contro qualsiasi pubblicazione di commenti razzisti, sessisti e omofobi e, più in generale, di qualsiasi contenuto discriminatorio o odioso».

La vicenda ha occupato anche le pagine dei quotidiani italiani.
Il manifesto si è schierato a favore dei giornalisti in lotta «per salvare l’identità della pubblicazione» contro «l’assalto di Bolloré» e «l’imposizione di Lejeune».
Il manifesto definisce l’editore Bolloré un «miliardario molto a destra», evidenziando i suoi precedenti giudiziari, la tendenza ad imprimere il suo orientamento politico ai numerosi media che possiede e la linea dura da lui adottata a danno della redazione del JDD: «vengono sostituiti i dirigenti e abolite le inchieste imbarazzanti».

Il Foglio ha concesso maggiore spazio al contraddittorio tra il gruppo editoriale Lagardère e i giornalisti del JDD, prevedendo un loro «esodo», sul modello di quanto accaduto con il canale tv i-Télé (poi Cnews) dopo la svolta a destra imposta dallo stesso Bolloré.
In merito ai numerosi media posseduti da Bollorè, Il Foglio ha ricordato quanto la recente acquisizione del gruppo Lagardère da parte dell’imprenditore sia avvenuta «nonostante le titubanze dell’antitrust europeo».

Repubblica, invece, pur ricostruendo l’orientamento estremista del neo direttore Lejeune, ha preferito porre l’accento sullo scontro tra la redazione del JDD e Bolloré. «Dietro il conflitto provocato dalla nomina di un nuovo direttore di estrema destra c’è infatti il riassetto globale dell’informazione in Francia con il ruolo sempre più controverso di Vincent Bolloré».
Repubblica ha inoltre sottolineato la difficoltà del governo nell’assumere una posizione netta in merito: «anche se i rapporti tra Macron e Bolloré non sono buoni, il capo dello Stato è prudente nell’attaccarlo direttamente».

Tra i giornali di destra è Libero ad occuparsi della questione.
Il giornale fondato da Vittorio Feltri dedica un articolo, dai toni critici, alla proposta di legge presentata da alcuni deputati francesi con l’obiettivo di tutelare l’indipendenza dei media che ricevono finanziamenti statali. «Garantire l’indipendenza delle redazioni o bloccare i direttori giudicati scomodi, soprattutto se di destra? […] Preoccupa parecchio, dietro le belle parole, l’idea che la politica possa intervenire più o meno indirettamente nelle imprese private e nelle scelte editoriali delle redazioni, e che addirittura possa subordinare lo sblocco degli aiuti statali alla creazione di un diritto di veto a beneficio dei giornalisti», scrive Libero, molto interessato al tema dal momento che è uno dei principali quotidiani beneficiari – in Italia – dei finanziamenti pubblici all’editoria.

Il caso del JDD ci permette, inoltre, di riflettere su casi simili che hanno visto coinvolte alcune delle principali testate nazionali in Italia.
Il principale è certamente quello de la Repubblica, passata nel 2020 sotto il possesso del gruppo Exor nell’ambito dell’acquisizione dell’intero pacchetto editoriale del Gruppo GEDI. Pur non rilevando un cambio di linea editoriale radicale come quello che avrebbe coinvolto il JDD, la nuova proprietà ha mutato profondamente lo spirito di uno dei baluardi del giornalismo di sinistra italiano.

Questo non ha portato, però, ad una dura reazione da parte della redazione di Repubblica. Fatta eccezione per lo sciopero indetto a seguito dell’allontanamento del precedente direttore Carlo Verdelli, immediatamente a seguito dell’acquisizione da parte di Exor nel 2020, nei successivi 3 anni della guida Elkann il Comitato di Redazione è tornato a farsi sentire solo nel febbraio di quest’anno, per contestare la svendita delle testate locali appartenenti al gruppo editoriale. Nessuna protesta sul deciso cambio nella produzione editoriale promosso dalla famiglia Elkann.
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