Paura di crescere

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Se hai passato i tuoi anni da minorenne lontano dalla tua famiglia d’origine – in affidamento familiare o in servizi residenziali – a 18 anni o al massimo a 21 dovrai abbandonare tutti i percorsi di assistenza in cui sei stato finora. Se tornare nella tua famiglia d’origine non è un’opzione, iniziare da zero una vita in autonomia può essere molto difficile. Quella appena descritta è la condizione dei “Care Leavers” (per comodità li chiameremo anche con il termine di “neomaggiorenni”). É una situazione molto particolare, specialmente nel nostro Paese: per avere un termine di paragone, i dati Eurostat dicono che in Italia nel 2020 i giovani hanno lasciato mediamente il proprio nucleo familiare a 30,2 anni. Eppure esistono pochissime informazioni sul tema.

 

Numero sconosciuto

Già lo stesso numero di Care Leavers in Italia non è chiaro. Ogni anno il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali pubblica i “Quaderni della ricerca sociale”. Si tratta di un monitoraggio sulla situazione dei minorenni che hanno lasciato la propria famiglia di origine e sono stati affidati ai servizi sociali territoriali. Secondo i dati più recenti, risalenti al 2019, in Italia ci sono circa 27,5 mila minori fuori famiglia: 14.053 in strutture residenziali, mentre 13.555 in affidamento (non sono inclusi qui i minori stranieri non accompagnati). Se si guarda alla distribuzione per età, si nota come di questi circa diecimila abbiano tra i 15 e 17 anni. Se si aggiungono i 3600 ragazzi tra i 18 e 21 anni che hanno potuto allungare il loro percorso di assistenza fuori famiglia – nel gergo della burocrazia questo meccanismo si chiama “prosieguo amministrativo” – si arriva a circa più di 13,5 mila ragazze e ragazzi che si troveranno, nel giro di qualche anno, nella condizione di Care Leavers. Dati più dettagliati e divisi per singoli anni di età non sono disponibili.

Se già non si sa molto su quanti sono precisamente i neomaggiorenni in Italia, ancora meno si sa di cosa facciano una volta usciti dal percorso assistenziale. I dati del Ministero spiegano che circa un terzo del totale ritorna nella propria famiglia di origine. Ma questo numero riguarda anche i casi dei bambini o ragazzi che sono stati nel percorso assistenziale solo per qualche anno e che possibilmente potrebbero aver finito il loro periodo di affidamento anche molto prima del compimento della maggiore età. Dati specifici sulla fascia di età neomaggiorenni non ci sono, rendendo ancora più difficile elaborare degli interventi adeguati. A sottolineare questa mancanza è una ricerca condotta dall’associazione SOS Children’s Village sulla condizione dei Care Leavers in Italia. Oltre a questo, attraverso un’analisi della letteratura sul tema e una serie di testimonianze, il documento evidenzia le maggiori difficoltà che i neomaggiorenni si trovano ad affrontare nel processo di transizione. I risultati principali sono tre (ma ce ne sono molti altri):

1)    un’alta tendenza ad abbandonare gli studi una volta terminato il percorso di assistenza

2)    la mancanza di una figura di riferimento capace di continuare a dare supporto durante la transizione

3)    una grande difficoltà a trovare un alloggio o un lavoro

 

Mal comune mezzo gaudio?

Questi tre elementi, per quanto tirati fuori da indagini abbastanza parziali e da singole testimonianze, coincidono con i dati raccolti da altri Paesi. Young People in Public Care Pathways to Education in Europe (YiPPEE) è il nome di un progetto finanziato dall’Unione Europea con l’obiettivo di studiare il percorso educativo dei Care Leavers, individuarne le maggiori difficoltà e immaginare delle soluzioni. In particolare, sono cinque i Paesi coinvolti tra il 2008 e il 2010: Spagna, Inghilterra, Ungheria, Danimarca e Svezia. Nel report finale del programma, i ricercatori spiegano di aver trovato che «circa l’8% dei giovani che hanno avuto un passato fuori famiglia accede all’istruzione terziaria (università e equivalenti, ndr)». Secondo i dati Eurostat, negli stessi anni la media europea delle persone tra i 25 e i 34 anni con almeno un titolo di studio terziario era circa il 30% (oggi lo stesso dato è salito al 40%). Oltre a questo, la situazione di marginalità dei Care Leavers si nota anche leggendo un report del think-tank Centre for Social Justice in cui vengono messi insieme dati raccolti da vari studi. Viene spiegato come il 24% dei prigionieri e il 70% dei sex workers in Inghilterra hanno avuto un passato fuori famiglia, secondo due diverse indagini condotte dal Ministero della giustizia e dal Ministero dell’interno inglesi. Infine, uno studio portato avanti dall’organizzazione Homeless Link ha scoperto che l’11% degli homeless più giovani sono Care Leavers. Di fatto, sembra quindi che i Care Leavers siano sovrarappresentati in moltissime categorie svantaggiate e marginalizzate della società.

Tutto questo risulta ancora più grave se si considera la situazione delle famiglie di origine dei neomaggiorenni. In un’indagine campionaria condotta nel 2017 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, vengono mostrate alcune informazioni sulle famiglie d’origine dei Care Leavers. Circa il 25% dei genitori sono in cerca di occupazione, mentre circa il 18% delle madri sono casalinghe. Quasi 1 genitore su 5 ha problemi di dipendenza da alcol o droghe. É chiaro quindi come già il contesto di origine sia svantaggiato e marginalizzato. Il risultato allora è che questa marginalità rischia di essere tramandata di generazione in generazione, condannando i ragazzi appartenenti a famiglie disagiate a finire in condizioni molto simili a quelle dei genitori.

 

AAA politica comune cercasi

L’Italia quindi sembra essere in linea con gli altri Paesi europei nel mostrare la necessità di interventi a sostegno dei neomaggiorenni. Il percorso in Parlamento di leggi in loro favore però non è particolarmente roseo. Sono stati principalmente tre i tentativi di avviare un processo di discussione sul tema. Il primo risale a marzo 2013: un gruppo di parlamentari del PD presenta al Senato un disegno di legge con varie misure a sostegno dei «giovani provenienti da comunità di tipo familiare». Dopo essere stata assegnata alla commissione che avrebbe dovuto discuterla preliminarmente, il tutto è caduto nel vuoto e l’iter non è andato avanti. Un anno dopo, alla Camera la deputata di Forza Italia Michela Vittoria Brambilla propone un’altra legge a sostegno dei «giovani provenienti da famiglie affidatarie e da comunità di tipo familiare». Anche questa caduta nel vuoto. La stessa legge è stata poi ripresentata sempre da Brambilla nel 2018, con la nuova legislatura. Si è bloccata nello stesso punto dell’iter delle altre due.

Ad oggi quindi la mancanza di un approccio organico sul tema fa sì che i tentativi di migliorare la condizione dei Care Leavers si concentrino soprattutto a livello locale. Questo grazie al lavoro di associazioni di volontari ma anche all’impegno delle istituzioni. La Sardegna è stata la prima regione italiana che già più di 10 anni fa ha approvato una legge regionale a favore dei Care Leavers. Come spiegato sul sito ufficiale della regione dedicato al welfare, è stato proprio sull’esempio sardo che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha dato il via a interventi simili sul piano nazionale.

Nel Lazio, dal 2019, l’Asilo Savoia – Azienda Pubblica di Servizi alla Persona, ente pubblico che opera in rete con altri enti locali ha avviato una sperimentazione in favore dei Care Leavers. Grazie all’utilizzo di fondi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, della Regione Lazio e del Comune di Roma vengono messi a sistema una serie di interventi e di dispositivi utili a supportare i Care Leavers nel loro processo di raggiungimento dell’autonomia. «L’intervento più importante è la disponibilità di una figura adulta di riferimento per ogni Care Leavers – spiega Nicoletta Maturi, educatrice professionale dell’Asilo Savoia – capace di seguire il neomaggiorenne nella pianificazione del suo percorso di vita». Ogni Tutor ha circa 6 ragazzi e la sua funzione è quella di accompagnamento verso l’età adulta con i cambiamenti legati al processo di uscita dalla comunità o dalla famiglia affidataria. I dispositivi che vengono destinati dal progetto ai Care Leavers  sono numerosi e strettamente connessi ad un’analisi del bisogno che viene effettuata in partenza dall’equipe e dal tutor per l’autonomia. Si tratta di supporti di natura economica (dal sostegno per rendere in concreto esigibili i diritti, al versamento di contributi veri e propri – ad esempio la «Borsa per l’Autonomia»), o il supporto abitativo, che consiste nell’offrire gratuitamente ai beneficiari la possibilità di abitare in appartamenti nella disponibilità dell’Asilo Savoia per l’intero svolgimento del Programma, o per il tempo necessario a consentire uno svincolo graduale dal Progetto.

L’assenza di una legge nazionale sul tema rende più difficile lo sviluppo di una politica d’intervento coesa e uniforme. Se però in Parlamento la situazione dei neomaggiorenni non riesce ad essere affrontata in maniera organica, il Ministero del Lavoro sembra impegnarsi proprio in questa direzione. Dal 2019 ha infatti dato il via a un progetto sperimentale di sostegno ai Care Leavers, che si dovrebbe concludere nel 2023 e ha come obiettivo proprio la promozione di interventi nazionali e uniformi a favore dei neomaggiorenni (nel Lazio, è Asilo Savoia ad occuparsene). Una delle tante difficoltà è ovviamente quella di riuscire a superare le disparità territoriali tra le varie Regioni d’Italia. «Sono rilevabili – si legge nell’ultimo report – tuttavia, differenze tra i diversi territori coinvolti nella progettualità ed è quindi fondamentale continuare a promuovere momenti di scambio di buone pratiche fra i soggetti coinvolti ai vari livelli per rendere omogenea su tutto il territorio nazionale la realizzazione degli interventi». Sembra quindi chiaro che lo sforzo della classe politica dovrebbe essere quello di tradurre in una legge stabile e organica le esperienze positive emerse dai vari progetti di sostegno messi in campo da istituzioni e associazioni volontarie. In questo modo si potrebbero sviluppare misure adeguate per monitorare e migliorare la condizione di una delle fasce più fragili – e allo stesso tempo meno considerata – delle nuove generazioni in Italia. Altrimenti il rischio è che si proceda sempre attraverso progetti e misure temporanee ed eccezionali, senza un piano a medio o lungo termine.

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