Palermo brucia ancora

Un reportage dalla città che brucia ogni anno.

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Alle 3 di notte del 24 luglio Bonetta Dell’Oglio, imprenditrice e nota chef siciliana, riceve una chiamata da una sua amica. Risponde subito, il caldo era troppo insopportabile per dormire. «La casa è a fuoco, ho perso tutto», le dice. I minuti trascorrono nel tentativo di calmarla, per poi realizzare che poco distante anche la sua casa è a rischio. Da tutta la notte la madre di Bonetta e un’amica camminano per la macchia mediterranea che avvolge la proprietà. Una ronda e un percorso che ogni estate è diventata la normalità.

Mentre il 25 luglio la città la Palermo era spettatrice delle temperature più alte mai registrate, circa 400 roghi avvolgevano il suo sguardo, causando 200 sfollati e uccidendo tre persone, una coppia di 74 e 75 anni e un’anziana malata da tempo che, bloccata dalle fiamme, non ha potuto ricevere un soccorso medico.

La protezione civile impedisce loro di avvicinarsi all’abitazione, il rischio è troppo alto, le fiamme sono vicine. In qualche modo il cordone di sicurezza si spezza di fronte all’esperienza del territorio e la famiglia passa oltre. La casa sembra intatta, a prima vista nessun danno. Bonetta vede però del fumo fuoriuscire dal terzo piano. Le fiamme li hanno preceduti. «Non abbiamo potuto fare niente. Quel rumore, il tetto che crolla, i calcinacci. Non lo dimenticherò mai. Era il segno della distruzione».

La mattina seguente Giulia De Spuches, professoressa di geografia all’Università di Palermo, ha in programma una seduta di laurea. «Il 25 luglio nel largo viale che arriva all’università e nel ritorno a casa non è più il nefasto rumore del canadair che mi assale, ma i colori di un cielo mai visto e l’odore intenso a cui non sono sicura che significato dare», racconta. «Percorrendo in macchina la circonvallazione, posso solo vedere un paesaggio sfuocato dal caldo. C’è un punto tra quei monti che è più ocra del resto del cielo, non lo riconosco ma saranno le notizie che circolano in rete che lo identificano. Scatta l’allarme diossina: la vasca quattro della discarica di Bellolampo brucia, anche la tre bis».

Il centro di smaltimento in provincia di Palermo, incastrato in solitaria nella valle, è coperto dal fumo. Nell’aria la diossina raggiunge 35 volte i valori limiti e ogni respiro ha il sapore di catrame. Gli occhi e la gola bruciano. Il vento della montagna ne trasporta le particelle e l’immondizia verso le pendici, in direzione Palermo. Dai fianchi spalancati e senza recinzioni, nella discarica non c’è protezione. Un accesso su entrambi i lati permette a chiunque di avvicinarsi e accedervi. Un fuoco, proprio lì, senza che nulla attorno bruciasse, desta troppi sospetti, a tal punto che l’intervento umano sembra inevitabile. Autocombustione, dicono dal centro. Dalla Commissione Antimafia siciliana il parere però è contrario e viene avviata un’indagine.

Sul frangente opposto delle montagne, in zona sud est, i frati del Convento di Santa Maria di Gesù si riuniscono in preghiera come ogni mattina prima della colazione. «Le fiamme sono troppo veloci, ci colgono di sorpresa, eravamo circondati», racconta Padre Vincenzo, guardiano del convento. «Dovevamo metterci in salvo il prima possibile, soprattutto i più fragili e anziani e siamo rimasti a guardare la nostra casa bruciare. Tutto andava lasciato, con un’unica eccezione, le ostie consacrate».

Dopo qualche ora, il riposo delle fiamme permette loro di rientrare e di aiutare a spegnere gli ultimi fuochi rimasti. «Eravamo troppo felici finché uno di noi, sporgendosi, vede del fumo nella chiesa. Era completamente in fiamme». Una struttura risalente al Quattrocento all’interno della quale è conservato il corpo mummificato di San Benedetto il Moro. «Un nostro volontario, anche vigile del fuoco, decide di intervenire. Qualcosa andava fatto, ma le fiamme erano più grandi di noi». Con un martello frantuma il muro che separa la chiesa dal chiostro. «Proprio nel punto dell’altare e delle reliquie. Solo poche ossa, sono rimaste solo poche ossa».

Sul confine del convento, Palermo ospita il suo albero più antico. «Un simbolo della città», dice Giuseppe Barbera, professore emerito della facoltà di agraria dell’Università ed ex assessore all’ambiente della città. «Ne ho contato gli anni io stesso. È più anziano di noi di diversi secoli e ora lo abbiamo ferito».

Nella notte tra il 24 e il 25 luglio, a demoralizzare i cittadini incidono anche i mancati soccorsi da parte dei vigili del fuoco impegnati sul territorio. Un organico quasi al completo, da cui però risultano assenti circa 200 agenti in tutta la regione. Nella settimana più calda dell’anno, erano stati convocati dal Ministro dell’Interno Piantedosi a frequentare un corso di aggiornamento di cinque settimane «Non è bastata l’esperienza dello scorso anno quando per il concorso ad Ispettori, ancora una volta in pieno periodo estivo, l’organico è stato privato di ben 70 operatori. Oggi l’ammanco è dunque di 130 unità che, divise per ciascuna caserma, pesano come macigni nella situazione di attuale emergenza. A mancare all’appello in totale vi sono quindi 200 vigili del fuoco», ha denunciato in un comunicato il vice-presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana Nuccio Di Paola.

Nei pressi della casa Dell’Oglio, i vigili del fuoco si presentano con due mezzi. L’uno impegnato a cambiare una ruota senza avere quella di ricambio, l’altro con il bocchettone dell’acqua non funzionante. Una situazione che il sindacato USB descrive da tempo e ribadisce in una nota il 25 luglio: «mancano mezzi idonei e moderni, molti sono costantemente in riparazione, molti totalmente inadatti alle tipologie di intervento per i quali vengono utilizzati. Non ci risultano né regolari programmi di manutenzione, né prossime assegnazioni che possano tamponare questa situazione».

Matteo Brandi, 56 anni, operaio del corpo forestale, è intervenuto nella zona di Monreale, in provincia di Palermo. Insieme a un collega, le fiamme lo hanno sorpreso e ferito gravemente, fino a causarne la morte a 20 giorni di distanza, il 14 agosto. L’UGL Autonomia Siciliana, sindacato di riferimento del corpo, ha denunciato l’accaduto provando a mettere in luce la condizione della Guardia Forestale, che secondo l’Assessore al Territorio Elena Pagani può contare solo su un terzo delle sue forze. «La pianta organica prevede un fabbisogno di 1200 agenti. Noi ad oggi abbiamo 450 unità di personale in divisa. Questi sono i numeri con cui dobbiamo combattere». 300 le assunzioni promesse dal ministro Tajani al Presidente della regione Schifani dopo l’emergenza. 

Dall’altro lato, le guardie forestali – più precisamente una parte di loro –  in passato hanno avuto un ruolo attivo nella provocazione degli incendi come ha confermato una relazione del 2021 scritta dalla Regione dai dirigenti del corpo forestale siciliano: «Il ricorso a manodopera precaria e poco qualificata, con una finalizzazione spesso più assistenziale che produttiva, ha talvolta indotto l’insorgenza di un ciclo vizioso in cui l’incendio volontario da parte di operai stagionali può̀ costituire lo strumento per mantenere o motivare occasioni di impiego».

Ogni anno la situazione si ripete imperterrita, estate dopo estate. Imparare a conviverci è l’essenziale, commenta Barbera. «Non può esistere la Sicilia senza i fuochi, sono la sua normalità ed è giusto che ci siano perchè permettono ai boschi e alla macchia mediterranea di crescere e riprodursi. L’errore è pensare che noi, con gli alberi, non abbiamo nulla a che fare». Negli accumuli di arbusti e di rami intrecciati, ha un ruolo tanto la natura quanto l’essere umano e a doversene occupare sono i cosiddetti “silvicoltori”. «Di questi, dirigendo la facoltà di agraria, in più di dieci anni ne ho visti laureare circa 700. Quanti di questi sono stati assunti dalla regione per curare il nostro territorio? Nessuno».

Senza una gestione accurata, si è all’oscuro delle zone a rischio incendi e al bosco viene lasciata la libertà di bruciare. Barbera sottolinea come su tanti temi si fa continuamente affidamento ai pareri di esperti del settore. Mentre con gli incendi non succede la stessa cosa.  «Sembra che la scienza non abbia nulla a che fare [con gli incendi, ndr] e che sia una questione ineluttabile. Non è possibile che, dal 25 luglio, i silvicoltori dell’Università di Palermo non siano mai stati ascoltati, lasciando spazio invece a scienziati auto-prodotti».

Nei giorni seguenti ai fuochi, un piccolo comitato di cittadini, circa 500, si è riunito al grido di “Basta incendi”. «Uno slogan irrealistico», continua Barbera. «Abbiamo bisogno dei fuochi e ancora di più di saperli controllare. Di quei 700 laureati, ne basterebbero 50 per mappare il territorio e sapere dove e quando agire. È 20 anni che lo chiediamo alla Regione, ma la logica preventiva non affascina quanto le emergenze».

Un unico superstite, Monte Pellegrino, che dal castello Utveggio sulla sua vetta si getta nel pieno della città e dei suoi quartieri. Una manciata di giorni in attesa di Ferragosto sono bastati per inserirlo nella liste delle vittime. Proprio nella notte del 14 agosto dal versante che costeggia il mare, le fiamme si sono alzate sospinte dal vento verso la cima. Canadair ed elicotteri animano a ritmo delle loro eliche la giornata di festa tra party e barbecue. Una grigliata finita male, dicono le prime indiscrezioni. Secondo Giovanni Provinzano, direttore della riserva di Monte Pellegrino, l’errore casuale è da escludere. «Un razzo o un gioco d’artificio è l’ipotesi più probabile sull’innesco delle fiamme che tanti danni hanno provocato. Mi sembra difficile che sia stato un errore. Qualcuno voleva provocare danni che potevano bloccare i cantieri di rimboschimento avviati dopo la devastazione dell’incendio del 16 giugno 2016».

Dopo una vita passata a scansare lapilli e controllare venti, una casa e un’azienda bruciate sono più che sufficienti a Bonetta Dell’Oglio per dire basta. Una chiamata all’avvocato, un post sui social e in circa una settimana raccoglie 2700 persone per una class action contro la regione. A richiamare all’ordine è una sensazione comune di dubbi e smarrimenti che, solo alla vista della vita bruciare, si può spiegare. «Una mia collega mi chiama e mi chiede di raccontare. Mi ascolta come fa sempre, un silenzio che assorbe i fatti e i miei confusi stati d’animo. Alla fine, mi dice: “sei in crisi esistenziale”. L’assumo come mio stato d’animo; penso immediatamente che mi sono sentita così anche nel 1992», commenta De Spuches. 

Degli anni passati, per molti cittadini i fuochi ne rappresentano quasi un calendario. «Ricordo la gioventù nell’odore dello zolfo bruciare nelle miniere, i figli piccoli correre divertiti nella cenere dei boschi e ora, la mia vecchiaia, alla vista di Palermo bruciare», racconta Ines Gambino di 85 anni mentre dalla casa di riposo osserva l’unico squarcio della città che la finestra le concede. «Ciò che conta è la reazione», aggiunge e Padre Vincenzo non può che concordare. «Ci sono realtà nuove che emergono e emergeranno sempre da queste sconfitte e noi, di fronte a questo, non ci rassegniamo».

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