Leggere Goliarda Sapienza

Il processo di riscoperta delle opere di Goliarda Sapienza ha portato il suo romanzo principale, L’arte della gioia, in bella vista fra gli scaffali di tutte le librerie. Nonostante questa nuova attenzione nei suoi confronti, manca ancora una certa consapevolezza riguardo la storia dell’autrice e ciò che è riuscita a creare grazie allo sguardo coraggioso e appassionato: la sua opera va rivalutata in quanto tale e non perché riscoperta dell'ennesima "autrice donna" lasciata indietro.

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Entrando in libreria può capitare di imbattersi in un libro imponente, con in copertina la fotografia di una ragazza sdraiata su sfondo bianco: è L’arte della gioia di Goliarda Sapienza. Prima di comparire sugli scaffali delle librerie il testo era stato abbandonato per vent’anni in una cassapanca dopo aver ricevuto fiumi di lettere di rifiuto dai principali editori italiani, lasciando Goliarda Sapienza in povertà (per potervi lavorare così tanti anni aveva dovuto vendere tutto ciò che possedeva) e nel ruolo di intellettuale marginale, incompresa. Solo negli ultimi anni la sua storia sta emergendo e con lei anche quella di Modesta, la protagonista del libro. 

 

Non è un caso particolare: sembra che negli ultimi anni la riscoperta delle scrittrici, italiane e non, sia un fenomeno consolidato. L’impressione però è che questa riscoperta delle scrittrici stia diventando un trend fine a se stesso, privo della necessità di approfondire quello che le loro personalità e le loro opere hanno davvero  significato nella storia della letteratura. Il rischio a cui stiamo andando incontro è quindi che questo libro rimanga confinato nello scaffale dedicato alla “letteratura femminile”, semplificando la vicenda e l’opera di questa scrittrice dalle mille sfaccettature.

 

L’arte della gioia approda dunque in libreria in edizione integrale solo nel 1998, benché l’opera fosse stata terminata già nel 1976. Nel frattempo Goliarda Sapienza aveva pubblicato altri libri: Lettera aperta (1967), Il filo di mezzogiorno (1969), L’università di Rebibbia (1983) e Le certezze del dubbio (1987). 

Nonostante tutte queste pubblicazioni, L’arte della gioia non riesce a trovare una sistemazione definitiva in libreria, infatti l’edizione del 1998 viene stampata in pochissime copie. Mentre all’estero riesce a riscuotere subito un grande successo, in Italia bisogna aspettare il 2003 per assistere all’affermazione di quest’opera letteraria.

Definita da uno dei maggiori critici italiani come “un cumulo di iniquità”, la storia di Modesta è un racconto che tutt’oggi, anche se scritto quasi cinquant’anni fa, può risultare scandaloso ai più. Relegarlo tra le opere “femminili” è facile perché rassicurante, è un modo per incasellare qualcosa che può rientrare negli stretti confini di una definizione compiuta. 

Al contrario, L’Arte della gioia è un’opera universale in grado di parlare a chiunque la legga, tanto da riscuotere grande successo nelle sue edizioni estere pur narrando una storia tutta italiana.

È vero che la protagonista è una donna, ma Modesta usa la sua condizione, con tutte le limitazioni sociali che essa comporta, per scardinare una ad una le rigide regole della società italiana del novecento (ma forse anche di oggi). Modesta incarna la libertà di scelta, che sia essa di pensiero o sessuale, ed è così libera da lasciare liberi anche tutti gli altri personaggi che le stanno intorno, che siano amanti, amici o figli. 

 

Sapienza riesce in questo intento senza mai nominare davvero il femminismo come ideologia politica. Anche quando parla di sessualità, matrimonio e figli il suo punto di vista è sempre così anticonvenzionale da rifuggire le idee del femminismo di quegli anni, con cui anzi l’autrice finisce per essere inevitabilmente in conflitto. Mettendo in discussione i punti cardine della nostra società come la famiglia e la religione Sapienza riesce a dipingere un complesso quadro dell’Italia dall’inizio del Novecento fino al secondo dopoguerra, senza risultare didascalica.

 

«Goliarda non esiste. Lei è l’esistenza»

 

Sapienza era una persona “contraddittoria”, e usiamo questo termine in riferimento al suo ciclo di libri autobiografici che lei chiamò “l’autobiografia delle contraddizioni”. Sin da subito, la sua vita fu chiassosa e movimentata. Nacque a Catania nel 1924 da genitori atei, socialisti e antifascisti. Sua madre, Maria Giudice, era stata sindacalista e prima dirigente donna della Camera del Lavoro di Torino. Suo padre Giuseppe Sapienza, anche detto “Peppino” era un avvocato molto conosciuto nel quartiere dove vivevano, San Berillo, un piccolo universo in cui Goliarda interiorizzò gli strumenti che le avrebbero permesso di confrontarsi con il mondo una volta lasciata Catania e partita per Roma all’età di sedici anni. 

 

San Berillo è cambiata tanto da quando Goliarda Sapienza lasciò quei vicoli per incamminarsi verso orizzonti più lontani e di certo più grandi. Nel 1957 ci fu il cosiddetto “sventramento di San Berillo” che portò alla distruzione della maggior parte del quartiere. Casa di Goliarda è rimasta, c’è anche una targa di fronte il portone con su scritto il suo nome e la sua data di nascita. Ma il resto non c’è più, e credo che anche lei avrebbe pensato che è inutile mettere la targa di fronte a un singolo portone se “casa” è l’intero quartiere. L’idea dell’Amministrazione Comunale fu quella di “risanare” la zona ormai considerata malfamata e pericolosa al benessere cittadino. Per Goliarda fu come perdere tutto ciò che la legava alla sua Sicilia, per questo motivo non tornò mai più. Senza San Berillo non era rimasto niente per lei da rivivere. I suoi romanzi come per esempio Lettera Aperta e Io, Jean Gabin, sono però testimonianze di ciò che poteva essere la vita in quella San Berillo degli anni ‘30, un documento che dovrebbe rappresentare per Catania la possibilità di riscoprirsi e conoscere ciò che di suo è andato perduto.

 

Scoprì la scrittura più tardi, dopo gli studi all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma e varie esperienze nel mondo del teatro e del cinema, anche a fianco di rinomati registi come Luchino Visconti. Attraverso il dolore e l’incapacità di saperlo esprimere, si buttò a capofitto sulle parole e da quel momento in poi, furono il suo principale strumento per comunicare con il mondo e anche con se stessa. Tra romanzi, racconti, poesie e diari, Goliarda Sapienza è riuscita a parlarci di tutto: di amore, di politica, di giustizia, di nostalgia, di morte, di paura e anche di donne. I personaggi principali dei romanzi di Goliarda sono donne, e come scrisse lei in una lettera del ‘79: «le donne sono il mio pianeta e la mia ricerca, il mio unico partito», e proprio per questo dedicò a loro tanto spazio e tanto tempo, sia nella scrittura che nella vita reale. La sua attività artistica fu sempre accompagnata da un’intensa esperienza e conoscenza di ciò che le stava attorno. Con un certo spirito critico guardò al movimento femminista italiano, con cui non si identificò mai nonostante oggi possa essere etichettata come tale. Goliarda ebbe un approccio unico alle questioni politiche e sociali dell’Italia dei suoi anni, fu sempre indipendente da qualsiasi corrente, critica anche del partito comunista che a sua volta trovò il suo lavoro “piccolo-borghese” e indegno dell’eredità dei genitori socialisti. Ma Goliarda era anche questo, difficile definirla, categorizzarla, darle un nome. Lei era solo se stessa e purtroppo questa sua naturalezza le fu di ostacolo e non le permise di essere accettata da certi ambienti italiani, che fossero intellettuali, politici o artistici. 

 

«Non avrei mai creduto che la figlia di Maria Giudice potesse scrivere poesie come una qualsiasi figlia di famiglia borghese». Queste furono le parole di Mario Alicata, direttore della commissione culturale del PCI negli anni 50, quando lesse per la prima volta le poesie di Goliarda Sapienza. Per tanti aspetti questa frase è in grado di riassumere i motivi per cui non solo le poesie, ma tutte le opere di Goliarda non videro la luce se non dopo la sua morte. La sua storia apparteneva a un’aspettativa che non essendosi compiuta, lasciava il pubblico italiano insoddisfatto e di conseguenza indifferente di fronte alle testimonianze di un grande spirito letterario. 

 

L’Arte della Gioia

 

Nonostante le delusioni, le sconfitte e le critiche, completò il suo romanzo più lungo, L’arte della gioia. È un’opera matura ma mai troppo seria, rimane ingenua nel modo più realistico possibile, nel tentativo di mostrare l’errore umano come l’opposto di ciò che può essere considerato un fallimento. È un libro denso, irregolare, e con questo ritmo affronta gli argomenti e le emozioni più varie. Anche l’amore acquista dimensioni ancora nuove per la letteratura italiana, l’amore carnale non elimina quello sentimentale ed emotivo, quest’ultimo si interseca anche all’amore materno o puramente intellettuale. Tutto ciò non ruota soltanto attorno alla figura di Modesta ma è parte di una grossa vicenda a cui tanti altri personaggi prendono parte. L’autrice è quindi in grado di dare grande spessore anche ad altri elementi del romanzo, dimostrando il rapporto innegabile fra la protagonista e le persone che conosce durante la sua vita. Proprio come era stato per Goliarda stessa. 

Il libro è ambientato in Sicilia, l’isola a cui la scrittrice rimase sempre molto legata, proprio perché gli anni della sua infanzia nella città di Catania le mostrarono il mondo lasciandole un ricordo indelebile. Il romanzo però non dipende da ciò che sta intorno, supera i limiti dati dallo spazio, dalla lingua e dalle usanze di un determinato luogo. L’arte della gioia può essere considerato un romanzo universale proprio perché rappresenta una realtà comune, in cui la natura delle emozioni e delle idee che vengono esposte oltrepassa ogni barriera culturale. Il dolore raccontato da Goliarda Sapienza in queste pagine non rende L’arte della gioia un romanzo triste, è semmai, un inno alla vita. Porta con sé una particolare dicotomia fra passato e presente: se da un lato mostra una forte tensione verso l’accettazione dell’attimo presente, dall’altra, l’esperienza di Modesta si basa su una lunga e costante riflessione sul passato e i suoi insegnamenti. 

 

L’Arte della gioia ci permette di ripercorrere gran parte della storia del Novecento italiano, i suoi usi e costumi, le battaglie politiche, il fascismo e la prima repubblica. Sapienza mette la Storia a servizio della narrazione di tante piccole storie: non distoglie mai l’attenzione dai suoi personaggi, alterna i loro punti di vista e sviscera le loro emozioni. Gli avvenimenti politici di questo lungo Novecento non sono il motore della storia, ne sono il contorno. L’ambientazione in una Sicilia remota è utile in tal senso, così che i protagonisti rimangono per lo più protetti dalle grandi disgrazie degli anni in cui vivono. Nel romanzo i racconti di tante vite comuni – il socialista milanese, la balia che viene dalla campagna siciliana…  – si intersecano senza che una prevalga sulle altre, ma solo come tanti pezzi di un puzzle che compone la Storia. 



Perché parlare di lei?

 

È necessario parlare di Goliarda Sapienza in quanto scrittrice, senza semplificare la sua figura o ridurla a un singolo episodio della sua vita. 

Ricordata spesso come la donna incarcerata a Rebibbia, o la compagna del regista Citto Maselli, ma mai come l’autrice di uno dei romanzi più importanti della storia della letteratura italiana. Con questo chiaro giudizio sul romanzo non intendiamo dare per scontato che possa piacere a tutti: le opere che fanno parte della nostra esperienza letteraria non devono per forza piacere, ma essere riconosciute per l’apporto che hanno avuto nello sviluppo artistico del nostro paese. 

La sua esperienza di donna e scrittrice mostra le nostre debolezze, non solo individuali ma collettive. 

Le parole di Sapienza hanno spesso spaventato chi ne era estraneo, hanno sopraffatto chi le sfiorava con lo sguardo, perchè le sue parole smontavano castelli di divieti e tabù, creati da una cultura conformista che lei imparò a odiare negli anni che visse a Roma, in cui si sentì povera e giudicata, mai umiliata. 

Oggi più che mai le giovani generazioni hanno bisogno di esempi virtuosi di persone, di donne come Goliarda, che già cinquant’anni fa hanno avuto il coraggio e l’audacia di ribellarsi alle costrizioni sociali e politiche, anche a costo di rimanere isolate.

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