Il vuoto legislativo sulla prevenzione dei femminicidi

In Italia, ogni tre giorni una donna viene uccisa dal proprio partner o ex. Secondo i dati del Ministero dell'Interno, nel 2022 sono morte 104 donne, la maggior parte uccise in ambito familiare o affettivo.

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Il sistema giuridico italiano continua a non tutelare sufficientemente le donne vittime di violenza e a non riconoscere il femminicidio come degno di una specifica attenzione legislativa. E, malgrado le promesse del governo in merito alla violenza sulle donne, alcune settimane fa Fratelli d’Italia e Lega si sono astenuti all’Europarlamento nella votazione che ha approvato la ratifica della Convenzione di Istanbul, strumento della giustizia internazionale che serve a proteggere le donne dalla violenza.

Secondo i dati Istat, nel nostro Paese, almeno il 20% delle donne ha subito violenza fisica o sessuale. Le violenze sono esercitate nella maggior parte da partner, ex partner o parenti; due terzi degli stupri in Italia sono commessi dai partner delle vittime. Secondo un report Istat del 2017, più del 40% delle donne è inoltre vittima di violenza psicologica. Gli abusi e i meccanismi di controllo posti in essere dalle persone maltrattanti arrivano dopo una lunga serie di comportamenti subdoli che possono renderne difficile l’identificazione. La donna maltrattata spesso fatica a riconoscere la violenza anche a causa dei vincoli affettivi che spesso legano vittime e maltrattanti. Tenderà a minimizzare, sentirsi in colpa e nascondere l’accaduto vivendo in uno stato d’ansia e profondo disagio psicologico. Secondo Francesca Fantigrossi, operatrice del centro antiviolenza Lucha y Siesta, «nel corso della storia umana la violenza e  la discriminazione di genere è stata normalizzata nella costruzione dei sistemi sociali. Nelle relazioni intime questa costruzione è ancor più sottile ma salda, questo rende più difficile riconoscerla». 

Lorem ipsum dolor sit amet, Nel 2020, rispetto all’anno precedente, quasi l’80% in più di donne si sono messe in contatto con un centro antiviolenza. All’interno del sistema dei CAV (Centri Antiviolenza), dopo una fase di ascolto, «se non è una situazione di pericolo immediato, la donna può iniziare il percorso chiedendo una consulenza legale. Se vi è invece una condizione di pericolo, può chiedere di allontanarsi subito da casa con i figli; quindi parte l’iter per l’inserimento in casa rifugio» ha spiegato al Sole 24 Ore Nadia Somma, Consigliera dell’associazione D.i.Re, la Rete Nazionale Antiviolenza, e responsabile del CAV Demetra a Ravenna. Come sottolinea Francesca Fantigrossi, «nei percorsi di sostegno dei CAV le operatrici, le legali, le psicologhe e le educatrici sostengono le donne, lavorando anche sulla consapevolezza ed esplicitando ciò che un percorso legale comporta, dal punto di vista civile e penale, cercando di scardinare da una parte il timore delle istituzioni tout court, dall’altro mettendole al corrente delle difficoltà che persistono all’interno degli apparati che dovrebbero proteggerle». I CAV, sparsi in tutta Italia, sono fondamentali perché la donna vittima di violenza non è ancora sufficientemente tutelata dallo Stato e i numeri lo confermano: secondo l’associazione D.i.Re, le vittime che scelgono di denunciare rappresentano solo il 27%. Nell’ultimo decennio l’apparato normativo si è gradualmente ampliato provando a rispondere alle necessità di tutelare le donne e i loro diritti anche se i risultati ottenuti non sono ancora sufficienti per arginare il fenomeno.

L’introduzione del Codice Rosso

Tra le misure più recenti si trova il Codice Rosso, introdotto nel 2019, il quale modifica il Codice di Procedura Penale sulla tutela delle vittime di violenza di genere. 

Grazie a questo povvedimento nel momento in cui viene sporta una denuncia la polizia giudiziaria ha il dovere di comunicare immediatamente al magistrato le notizie di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori o lesioni aggravate avvenute in famiglia o tra conviventi e la vittima dovrà essere sentita dal Pubblico Ministero entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato. Questa velocità serve per individuare il responsabile nel minor tempo possibile e applicare una misura restrittiva (come per esempio arresti domiciliari).

Tuttavia sorgono varie criticità come quella di non riuscire ad estrapolare i casi più gravi visto l’incremento significativo di denunce arrivate dopo l’entrata in vigore del Codice Rosso – come denuncia il Capo della Procura di Milano Francesco Greco. Anche Lucia Annibali, ex deputata alla Camera con Italia Viva, ha contestato la riforma perché «la soluzione non è l’ipotesi di pena più severa se si decide che un aggressore viene messo ai domiciliari nella stessa casa della vittima»

Infatti, oggi, nel momento in cui il Pubblico Ministero chiede al Giudice l’emissione delle misure cautelari, anche in un ufficio senza grandi problemi organizzativi, «porta via 20-30 giorni» – secondo Fabio Roia, magistrato e Presidente Vicario del Tribunale di Milano. «E intanto la donna in pericolo dove va? Le vittime vengono messe in case protette, vengono accolte da parenti o amici o ricoverate in ospedale, se hanno particolari profili di criticità. Ma questo non va bene, diventa una forma di violenza secondaria, è la vittima che deve fuggire dal maltrattante». Secondo Francesca Fantigrossi il Codice Rosso «ha contribuito a velocizzare i tempi e ad inasprire la punibilità però non è ancora sufficiente perché la norma non basta se non si interviene sulla cultura di chi quelle norme le deve applicare»

Risulta dunque necessario continuare a chiedere alla politica ulteriori contributi, poiché il Codice Rosso non prevede nuovi fondi e le risorse attuali non bastano per poter potenziare i centri antiviolenza o la formazione sul tema del personale di polizia. ActionAid, per esempio, con la campagna del 2022 «libere dalla violenza, congelate dalla politica», ha chiesto strumenti concreti di supporto per fornire alle donne uscite dalla violenza di avere un reddito, un lavoro dignitoso e una casa sicura.

Con le elezioni politiche svoltasi a settembre 2022, all’interno del programma di Fratelli d’Italia, si dà spazio al desiderio di voler tutelare le donne vittime di violenza con l’aggiornamento del Codice Rosso. Si parla di «applicazione autonoma del braccialetto elettronico, indipendentemente da eventuali misure cautelari personali, consentendo sempre alla vittima di dotarsi di un dispositivo di allerta e richiesta d’aiuto in caso di violazione della distanza da parte dello stalker»

Eppure, durante la campagna elettorale di Giorgia Meloni è stato un tema secondario e poco discusso. Dopo aver vinto le elezioni, Meloni ne ha parlato per la prima volta il 25 novembre in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne con un videomessaggio postato sulla pagina del governo menzionando misure nettamente più articolate rispetto al programma elettorale. 

In tale occasione prometteva che il governo «rifinanzierà i Centri Antiviolenza e le Case Rifugio; ci impegneremo per attuare la legge 53 del 2022 sulla raccolta dei dati statistici sulla violenza contro donne. Investiremo sulla formazione degli operatori e sulla cooperazione tra le diverse figure professionali per trovare le soluzioni più adeguate al singolo caso concreto».

Dopo una intervista a Meloni pubblicata l’8 marzo su Grazia – in occasione della giornata internazionale della donna – e seguita da una valanga di critiche per delle affermazioni sull’identità di genere, la presidente della Rete nazionale antiviolenza D.i.Re Antonella Veltri, ha invitato il Presidente a «dare riscontri sulla violenza maschile, vera piaga delle donne, altro che la non meglio definita teoria gender». 

Il governo sembra confondere il tema della violenza sulle donne con le questioni di genere. Infatti, l’unica volta in cui si è parlato dell’argomento dalla vittoria delle scorse elezioni – fatte salve le dichiarazioni rese in occasione delle giornate dedicate alle donne – è stato alcune settimana fa al Parlamento Europeo. Fratelli d’’Italia e Lega si sono astenuti in maniera compatta durante le votazioni per l’adesione dell’Europarlamento alla Convenzione di Istanbul giustificandosi dichiarando «con la nostra astensione abbiamo voluto ribadire la nostra preoccupazione sulle tematiche legate al gender»

La Convenzione di Istanbul riguarda il tema del contrasto della violenza maschile contro le donne. Risulta difficile quindi individuare il legame con la cosiddetta “teoria gender” citata dai due partiti.

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