Adatta a chiunque viva in città e appena tornato dal lavoro non desidera altro che scappare in un luogo esotico lontano da tutte le sue preoccupazioni quotidiane, The White Lotus è la serie tv che sta facendo impazzire gli Stati Uniti. Nata dal genio di Mike White, che ne è autore, sceneggiatore e regista, la serie – prodotta da HBO – è ambientata all’interno dei resort di lusso della fittizia catena dal nome omonimo. Le due stagioni finora prodotte si svolgono rispettivamente alle Hawaii e a Taormina: in esse un gruppo selezionato di ospiti vedono le loro vicende intrecciarsi con lo staff delle strutture attorno a temi quali il privilegio, i soldi, l’amore, il sesso, la classe sociale. Punti di contatto tra le due stagioni sono l’incipit – entrambe iniziano con la scoperta da parte dello spettatore di un delitto, che verrà ripercorso nel corso di tutta la stagione – e la presenza di Tanya McQuoid, interpretata da Jennifer Coolidge. Si tratta del personaggio più interessante della serie: capace di scatenare nello spettatore un senso di repulsione da una parte e compassione dall’alta, non si può alla fine non provare pena per una donna che pur privilegiata com’è, soffre una irrimediabile solitudine.
La seconda stagione è ambientata a Taormina ed è stata girata all’interno del Four Seasons Hotel San Domenico Palace, uno dei resort di lusso più quotati della zona. Le vicende narrate vedono intrecciarsi le storie di due coppie di giovani sposi, in cui i mariti erano compagni di college, travolti da una competizione che si rivela psicologicamente ingestibile. Accanto a essi abbiamo l’improbabile trio nonno-figlio-nipote, di cognome Di Grasso, arrivati in Sicilia per provare a mettersi in contatto con dei loro lontani parenti. Tre uomini molto diversi tra loro che si troveranno ad avere a che fare con le escort Lucia e Mia. Tanya in questa stagione si troverà ad avere a che fare con quelli che definisce, nell’ultimo episodio, un gruppo di “evil gay”, con dei risvolti da criminaltià organizzata.
La natura contro la gentrificazione
La Sicilia dei resort, di Taormina e del superlusso è una vetrina che nell’immaginario degli americani ha sempre esercitato una grande forza attrattiva: già negli anni ‘60 le star di Hollywood sceglievano Taormina per le loro vacanze italiane all’insegna della celebrazione della bellezza. La prima parte della seconda stagione è ambientata totalmente in questo contesto. Taormina è un paese-gioiello, dove tutto sembra essere meraviglioso: la vista sull’Etna da una parte, l’Isola Bella dall’altra, la goffa gita in vespa di Tanya e suo marito sulla strada panoramica che porta da Recanati a Taormina, la passeggiata tra i negozi di lusso che vede Lucia desiderosa di possedere uno di quei negozi. Tutto sembra essere perfetto, non c’è nulla fuori posto. Nel corso del racconto però, di pari passo con il climax della narrazione, vediamo crescere il numero di rappresentazioni della natura: le inquadrature fondamentali sono due, la prima riguarda l’Etna, rappresentata ricoperta di neve e in eruzione. Il fuoco e la lava caratteristici dell’eruzione esplosiva fanno da contraltare alle vicende passionali che riguardano gli ospiti del resort. La seconda invece rappresenta il mare, con le onde che si infrangono sulla spiaggia oppure in un’inquadratura che lentamente si capovolge e va a finire sott’acqua. Il senso di angoscia accompagna l’elemento marino, con inquadrature che si ricollegano al cadavere trovato in acqua nei primi minuti del primo episodio e che vogliono rappresentare la potenza dell’elemento naturale contro la debolezza dell’essere umano, che non ha controllo sul proprio destino.
Nella seconda parte della seconda stagione inoltre vediamo gli ospiti spostarsi dal resort per avventurarsi in nuovi luoghi. Abbiamo quindi la volta verso Noto di Harper e Daphne, capitale del barocco siciliano, dove le due pernottano in una villa di lusso di epoca barocca. In questo frangente narrativo abbiamo una delle scene più significative nella rappresentazione stereotipata della Sicilia: Harper rimane per un momento sola nel centro di Noto e attorno a lei vediamo solamente uomini, che la fissano insistentemente mettendola a disagio. Una Sicilia che, appena allontanati dal lusso di Taormina, diventa un luogo dove una donna viene ridotta a preda e non può più camminare da sola, secondo questa visione.
Allo stesso modo la natura diventa elemento imprescindibile quando le due coppie decidono di svolgere il percorso enologico che dovrebbe presumibilmente essere la via dei vini dell’Etna. Vediamo quindi i quattro giovani partire alla volta di queste aziende agricole, circondati dal nulla se non da questi ruderi e palmenti che sono caratteristici dell’entroterra siciliano. Peccato però che, più che godersi il paesaggio e la narrazione che ne fanno gli enologi, l’esperienza diventa una scusa per buttare le proprie frustrazioni sull’alcool, perché evidentemente la bucolicità della situazione non basta a intrattenere i protagonisti.
La rappresentazione della Sicilia
Tra i temi che la serie di Mike White affronta c’è sicuramente quello della rappresentazione dell’isola italiana. Nell’arco dei sette episodi l’arco narrativo stravolge completamente l’ambientazione che però non manca di lasciar intendere quello che succederà grazie a un profondo simbolismo. Dopo una prima presentazione l’incantevole resort sulla spiaggia di Taormina, per esempio, le due coppie di neo-sposi vengono informati della leggenda della Testa di Moro, tipica ceramica siciliana presente in ogni stanza dell’hotel. In breve, la storia narra di un soldato moresco che si innamora di una fanciulla dell’isola; poco dopo, questa scopre che l’uomo ha nel suo paese moglie e figli e, in un impeto di rabbia, gli taglia la testa facendone un vaso.
Da questo punto in poi, le leggende suggestionano la vita degli ospiti, anticipandone elementi inquietanti come la morte e la vendetta. La testa di moro lascia intendere che il poco rispetto per i locali (e, per estensione, per l’intera isola) porta inevitabilmente ad un destino fatale, facilita la narrazione del tradimento. I personaggi scritti da Mike White non possono propriamente essere descritti come rispettosi da un punto di vista culturale. Anzi, il loro immaginario è forgiato esclusivamente dalla cultura pop: l’unico riferimento culturale che riescono a trovare, infatti, è “Il Padrino”. Tendono per la maggior parte del tempo a feticizzare il luogo e i costumi, con un atteggiamento quasi colonialista. È il caso della famiglia Di Grasso, composta da nonno, padre e figlio, arrivati in Sicilia per conoscere i loro lontani parenti. Lo scopo del viaggio era ritrovare l’unità attraverso la riscoperta delle proprie origini. Nell‘immaginario statunitense, l’identità emigrante d’origine è molto a cuore ai cittadini, pur non concretizzandosi spesso nel rispetto delle tradizioni di una cultura.
Man mano che il tempo passa, infatti, la conoscenza dei propri antenati si fa sempre più vaga e confusa, fino a ridursi ad un cognome che suona “esotico”, ma che non è in grado di raccontare nessuna storia. Le radici andrebbero coltivate, altrimenti i legami si spezzano. Così accade ciò che i Di Grasso non si aspettavano neanche lontanamente: invece di essere ospitati e accolti, vengono cacciati in malo modo, soprattutto a causa della pretesa, piuttosto irrealistica, di parlare in inglese con delle anziane donne siciliane.
La lingua di The White Lotus, così come gli spazi, è quasi inesistente. Le poche parole pronunciate in italiano, risultano storpiate e ripetitive. “Aperitivo” e “pizza” si alternano a “mafia” in un immaginario che composto quasi unicamente da una parte culinaria e una criminale. Anche i nomi dei luoghi vengono pronunciati con espressioni di meraviglia: “Isola Bella” e “Palermo” non sono più degli spazi fisici, ma delle idee esotiche. Poca attenzione è dimostrata anche nell’utilizzo del dialetto: le parole utilizzate sono italianizzate e la cadenza è poco credibile. Un dialetto che non rispetta la realtà, che sembra messo lì solamente perché non poteva essere omesso secondo la rappresentazione idealizzata e pop caratteristica della produzione cinematografica statunitense. E come non menzionare Tanya McQuoid, così impegnata a cercare di vivere l’immaginario del dolce far niente – di cui ignora gli aspetti poco dolci – da non accorgersi di essere entrata in contatto con la mafia locale. L’unico personaggio presente anche nella scorsa stagione della serie è anche il più sfortunato. Il futuro marito, incontrato appunto nella season one, non sembra disposto a farle vivere il sogno mediterraneo per cui Tanya ha riempito le valigie di caftani e assunto una segretaria.
Il suo personaggio, palesemente a disagio per le strette e scomode strade siciliane a bordo di una Vespa, afferma di essere Monica Vitti in “L’Avventura”. Quello di cui non si accorge, però, è di esserne la parodia.
Il piccolo capolavoro che è l’intro
Tra i meriti di The White Lotus c’è anche quello di avere un intro che è di per sé un piccolo capolavoro. Gabriella Picone, artista e designer siculo-americana, ha affermato che il suo stile incorpora l’iconografia come strumento di story-telling. Dal suo lavoro, unitamente alle musiche surreali di Cristobal Tapia de Veer, nasce un minuto e quaranta di opening theme che, una volta analizzato, fa pensare allo spettatore che tutto era lì sin dall’inizio.
Infatti, al comparire del nome di ogni attore sullo schermo, gli affreschi che lo accompagnano ne lasciano intravedere un pezzo del proprio destino. Tanya McQuoid, per esempio, è rappresentata da un donna che guarda malinconica una scimmia al guinzaglio, simbolo degli uomini vittima del proprio desiderio sessuale, spiegando così sia la necessità di validazione maschile sia la tendenza a lasciarsi andare alle follie edoniste dei locali appena conosciuti. Un’altra donna in compagnia di un animale dallo stesso significato, è la segretaria di Tanya, Portia.
Questa similitudine smonta completamente le lamentele di quest’ultima nei confronti della prima: la giovane Portia è molto più simile al suo capo di quanto le faccia piacere ammettere. E ancora, Daphne, una delle giovani spose, viene rappresentata da un affresco di due bambini. Non rappresentano, come si potrebbe pensare, l’istinto materno, quanto piuttosto il suo più grande segreto: aver avuto figli con un altro uomo, fatto che il marito sopporta dato che a sua volta la tradisce ripetutamente. Ma la grande lungimiranza sta nel mostrare un castello in fiamme con al largo una nave che subisce la stessa sorte: la sigla mostra il tragico e conclusivo incidente di cui il resort White Lotus fa da background sin dal primo momento.
Una serie dunque che ha sicuramente il pregio di mostrare dei personaggi innovativi e psicologicamente approfonditi, ma che purtroppo cade nell’errore di non prestare attenzione alla rappresentazione e alla narrazione del paesaggio narrato. Il filtro con cui viene raccontata la realtà siciliana è, ancora una volta, contaminato da superficialità e stereotipi.