La macchina della tristezza

Il problema dei maschi online

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Alla vigilia di Natale, mi sono imbattuto in questo post:

“Il Redpillatore” è una pagina che in realtà seguivo da un po’ di tempo, non perché condividessi i contenuti che portano sui social – in questo caso Facebook sopratutto, dato che ad esempio su Instagram consta di un numero di follower decisamente più esiguo – ma per un senso di curiosità e interesse verso una community così particolare e al tempo stesso problematica. Post del genere non sono nuovi alla pagina in realtà, ma scrollando si trovano decine di contenuti simili in cui vengono analizzate minuziosamente le caratteristiche estetiche di decine di personaggi famosi di ambo i generi, classificati secondo categorie quali altezza, peso, fenotipo accompagnati da una attenta descrizione di alcuni tratti somatici quali la forma e la grandezza della mandibola, il taglio degli occhi, la simmetria del volto e via discorrendo. 

Questo è Hyperfocus: il racconto fatto da un non-nerd di un fenomeno digitale visto troppo da vicino. Oggi si parla di Redpill, manosphere e modelli di mascolinità online.

Pillola rossa

Gli Incel non sono una novità nel panorama italiano: se ne parla già da un po’, anche su canali di informazione mainstream. Chi siano è abbastanza noto: il termine sta per “involuntary celibates” e serve a indicare tutte quelle persone che, non per propria volontà, non hanno partner e non intrattengono rapporti sessuali. Saltano all’occhio del grande pubblico quasi dieci anni fa, il 23 maggio del 2014 quando Elliot Rodger, uno studente di origini inglesi, uccide sei persone e ne ferisce altre 14 a Isla Vista, in California.

Poco prima dell’attentato aveva rivendicato le proprie motivazioni attraverso un video caricato su YouTube. Da quel momento il fenomeno ha assunto una certa popolarità, e negli ultimi anni si è cominciato a parlare in generale della questione della radicalizzazione delle persone online.

La parte di internet attorno a cui gravitano, e in cui rientra a pieno titolo anche “Il Redpillatore”, con le sue pagine social, i gruppi e i blog, è detta manosphere: un insieme di siti, dai social mainstream come Facebook e Instagram a portali comunque di massa ma meno pubblicizzati – e con linee guida e regolamenti molto meno stringenti relativamente ai contenuti pubblicati, e quindi meno soggetti a ban o rimozione di account – come Reddit o 4chan, arrivando a pagine anche minuscole o singoli forum, che raccoglie persone e contenuti di carattere maschile, tendenzialmente misogino e anti-femminista. 

Una galassia di collegamenti che contribuisce a ridefinire quotidianamente il maschile all’interno della società, attraverso lo scambio di opinioni ed esperienze che tracciano i confini dei modelli di mascolinità attraverso i quali le persone seguono poi a rapportarsi al mondo online ed offline.

La redpill è parte di questa galassia, ed è descritta come una visione “politicamente scorretta” della società, in particolar modo del rapporto tra i sessi. Una delle caratteristiche principali di queste teorie, e quindi anche delle community che generano, è proprio il loro esistere quasi esclusivamente online: è internet il mezzo attraverso cui si diffondono e lo spazio di condivisione privilegiato. 

Raramente, o quasi mai, si legge nei gruppi o nei forum di appuntamenti offline, di raduni o semplici incontri in un bar o in un parco; anche le conoscenze che si fanno e i rapporti instaurati, che si possono evincere dai commenti frequenti in cui due utenti dialogano in modo colloquiale, dimostrando di essere a conoscenza delle vicendevoli storie personali, si rivelano relazioni costruite e coltivate esclusivamente su internet. Sulla community e le persone che la compongono negli Stati Uniti è stato realizzato anche un documentario

I post all’interno dei gruppi ricalcano in linea di massima la ripartizione che troviamo sul sito del “Redpillatore” – che usiamo qui come riferimento perché tra le pagine e i gruppi più seguiti e partecipati in lingua italiana, oltre che per la mole di contenuti prodotti di facile accesso anche per un utente non avvezzo all’utilizzo di piattaforme come Reddit o i forum. Abbiamo, come si diceva all’inizio, valutazioni estetiche e discussioni sull’aspetto di personaggi famosi o degli utenti. 

In realtà, all’interno del gruppo Facebook i post di questo tipo sono stati ad un certo punto bloccati, come mi ha spiegato uno dei moderatori e tra gli utenti più attivi quando ho chiesto spiegazioni:

Post di questo genere sono comunque molto frequenti sui forum. Molto spesso generano accese discussioni, che vertono intorno alla grandezza dei polsi, lo spessore della mandibola o il taglio degli occhi. Nella teoria redpill – ma segnaliamo comunque che “Il forum dei brutti” non è un forum propriamente redpill – l’aspetto fisico è una delle tre colonne portanti nella valutazione di una persona, assieme alla ricchezza personale e lo status sociale; la combinazione delle tre, nello schema cosiddetto LMS (Look, Money, Status) restituisce il valore di una persone e pertanto le sue opportunità in ambito romantico e sessuale.

Il punto di riferimento, il vertice della scala di valori in ambito estetico è il cosiddetto “Chad”: non un uomo specifico, ma un prototipo ideale di maschio che attrarrebbe qualsiasi donna, il cui identikit corrisponde all’incirca al ‘maschio alpha’. Alto, muscoloso, dai forti caratteri virili come un volto squadrato e la mascella pronunciata, con molti capelli e una barba curata e folta. Lui, in termini di ‘look’, è un 10 ed è tendendo verso quell’immagine lì che alcuni utenti iniziano a ‘lookmaxare’, ovvero cercare di migliorare il proprio aspetto fisico per diventare più competitivi dentro al mercato sessuale.

C’è qualcosa, qui, che rende interessanti queste community e che spinge a parlarne, nonostante il rischio di dare visibilità a spazi e contenuti spesso carichi d’odio in primo luogo misogino ma anche, in alcuni casi, razzista

Maschi contro maschi

La maggior parte degli utenti che attraversano questa parte della manosphere – ma non tutti: anche un ‘chad’ può essere un ‘redpillato’ e non tutti i ‘redpillati’ sono incel, così come non tutti gli incel sono ‘redpillati’ – vivono un profondo disagio personale, che spesso nasce negli anni della adolescenza. Un esempio ne sono alcuni post:

Oltre alle valutazioni estetiche, che mostrano sottotraccia un bisogno di validazione da parte di persone che si ritengono vicine e stimabili, un’altra grande mole di contenuti è costituita da condivisione di esperienze personali attuali o pregresse. Ne abbiamo discusso con Annalisa Dordoni e Sveva Magaraggia, ricercatrici e professoresse in Sociologia dell’Università di Milano Bicocca che su queste community hanno condotto uno studio pubblicato sulla rivista AboutGender. «Tra le righe di questa comunità c’è una grande tristezza, solitudine, una difficoltà a confrontarsi con l’altro. Sono comunità di uomini e ragazzi soli che per situazioni di degrado emotivo trovano come unica via d’uscita la rabbia» sostiene Magaraggia.

Non è facile tracciare un’etnografia degli utenti di queste community, disegnare un identikit del suo fruitore medio, in particolar modo per la grande quantità di account fake che popola i gruppi Facebook e per l’anonimato garantito dai forum: «bisogna tenere presente che online è impossibile sapere se un account sia vero o meno. Quello che  si può fare è analizzarne i discorsi, per captarne i riferimenti culturali e generazionali: c’è una grossa fetta di ragazzi tra i 25 e 30, altri più giovani e altri più grandi, ma non è un dato strettamente quantificabile.

I riferimenti culturali vengono spesso dal mondo anglosassone, e lo stesso sistema LSM è un sistema di voti traslato da quello delle scuole superiori, quindi sistemi pur sempre giovanili. Raramente adulti tendono ad identificarsi con dei voti» racconta Dordoni che ha studiato i discorsi portati avanti nelle community, senza mai andare ad analizzare i singoli account. 

Il mosaico di esperienze che se ne ricava restituisce un quadro di solitudine, salute mentale precaria, isolamento più o meno accentuato e legami sociali rari e deboli. Problematiche reali, e sempre più frequenti nei giovani in particolar modo uomini, la cui responsabilità è attribuita alle donne e al sistema sociale che ne agevolerebbe la vita:

I gruppi in questo servono anche ad alleviare questa sensazione di solitudine, permettendo scambi e interazioni e fornendo appoggio e riparo: permettono di essere parte di una comunità, conoscere qualcun altro in una situazione simile, e contemporaneamente offrono una spiegazione ai problemi della vita. Una pillola rossa, appunto, per vedere quanto è profonda la tana del Bianconiglio

La teoria è circolare: si inizia da una critica di alcune strutture sociali e si arriva a una sorta di ineluttabilità che deresponsabilizza l’individuo per i suoi mali ma lo costringe ad adattarsi e migliorarsi per accrescere la propria posizione dentro quello stesso contesto che tanto disprezza. «Sono uomini giovani che aderiscono al modello tradizionale, e il fatto di non riuscire a raggiungerlo crea loro un disagio: un modello forte, virile, breadwinner. Lo idealizzano ma sanno che non potranno mai arrivare ad essere così.» spiega Dordoni. Si potrebbe dire patriarcato strikes back. Fa male due volte: quando si viene feriti perché non conformi alle aspettative degli altri come uomini e quando, anzichè rifiutare quelle stesse aspettative, le si insegue nell’incapacità di guardare altrove. E’ una mascolinità fragile che non riesce a uscire fuori da sé stessa:

I gruppi redpill sembrano, a tutti gli effetti, delle macchine della tristezza. Covano e accrescono sentimenti di rivalsa, vendetta senza però accompagnarvi una critica della società che sappia andare oltre lo status quo. Non c’è riscatto collettivo, ma solo vendetta personale:

Un passo avanti e due indietro

La redpill è un classico esempio di backlash, il contraccolpo: le trasformazioni sociali accelerano, cambiano modelli e riferimenti ma tuttavia non viene mantenuta la promessa di progresso per tutti e tutte, lasciando indietro la maggioranza. Si sviluppano così sacche di insofferenza che degenerano in opinioni e movimenti di carattere reazionario e conservatore che disprezzano sia nuove idee di cambiamento sia il sistema stesso da cui si sentono traditi. 

Come spiega Dordoni, rifacendosi al contesto americano e alle analisi del sociologo Michael Kimmel «Queste persone raccontano vissuti personali che possono essere inseriti nell’analisi di problemi strutturali, ma invece di rivendicare diritti o relazioni nuove violentano sé stessi idealizzando cose che non potranno mai avere: se lo facessero si aprirebbe una nuova stagione di lotte sociali». Di fronte all’incertezza l’ultima trincea per queste community sembra essere una sorta di sfrenato biologismo con cui sostenere le proprie posizioni: i cambiamenti sociali non solo sono sbagliati perché ci fanno stare male, ma contro di noi abbiamo anche un ordine naturale di per sè selettivo e predatorio che ci lascia indietro. 

Come se la competizione sfrenata e la capitalizzazione della propria immagine, la messa a valore del sé non fossero il risultato di logiche neoliberiste ma meccanismi naturali. Come si dice talvolta, il neoliberismo sostiene di essere l’uscita dallo stato di natura quando questo appare proprio il suo punto di arrivo. Per giustificare la teoria LMS, l’ipergamia e il resto della schiera di concetti che compongono una visione ‘redpillata’ della vita si chiamano in causa la psicologia evoluzionistica e vari studi che dimostrerebbero scientificamente alcuni assunti. Teorie spesso pseudoscientifiche

Solitudine che porta sconforto, che porta risentimento che se catturato e inserito nel vortice diventa odio e violenza. Il funzionamento algoritmico delle community accresce queste dinamiche e le accelera: «se vieni incluso in una spirale di discorsi violenti e aggressivi, i social ti continuano a proporre discorsi violenti e aggressivi, li riproducono. Inoltre c’è la questione delle ecochambers: alcuni gruppi o forum amplificano l’essere esposti ad alcuni discorsi, ancora di più con i discorsi d’odio per via della loro immediatezza.» spiega Dordoni; il funzionamento online, oltre al tema della polarizzazione, aumenta anche il carico d’odio dei discorsi attraverso il dispositivo dell’anonimato, come sottolinea Magaraggia «L’equivalente di questi posti prima erano i bar sport, dove si ritrovavano solo uomini ma la media dei discorsi era meno carica d’odio perché ci si metteva la faccia e ci si conosceva». 

A fronte di un quadro simile la risorsa più efficace è quella dell’empatia e della prevenzione. Non tutti sono violenti, ma al contrario molti sviluppano sentimenti del genere solo dopo essere venuti a contatto con simili community. Di questo si è occupata anche la Commissione Europea attraverso il proprio Radicalisation Awareness Network attraverso due documenti (questo e questo) in cui vengono tratteggiati alcuni aspetti del fenomeno e delineate alcune possibilità di prevenzione, che includono l’attenzione alla salute mentale nei giovani e la promozione di un’educazione sessuale e affettiva, rispetto soprattutto al tema del consenso (non a torto, come dimostra questo post che commenta le dichiarazioni di Bianca Balti al programma “Belve” in merito a una violenza subita a diciotto anni) e i rischi collegati alla mascolinità tossica. I primi soggetti messi in pericolo da queste community sono, infatti, gli utenti stessi: la forma di violenza fisica più diffusa non è infatti quella agita verso terzi, quanto quella  verso sé stessi in forme di autolesionismo e, in alcuni casi, suicidio. 

 

Hyperfocus è una rubrica di Scomodo che racconta quello che succede su internet: se hai un’idea o hai visto qualcosa di strano o interessante e pensi valga la pena vederlo troppo da vicino, contattaci per discuterne insieme. 

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