Intervista a Oiza Q. Obasuyi

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In un momento storico in cui la disoccupazione è tornata a crescere e il numero di persone costrette a vivere al di sotto della soglia di povertà continua ad aumentare, affrontare una discussione rispetto alle problematiche del mondo del lavoro non solo è attuale ma è anche necessario. Le tensioni di questo periodo e il dibattito sulle misure restrittive per il contenimento della pandemia hanno mostrato in maniera evidente quanto le condizioni lavorative di grossi settori della popolazione siano strettamente legate alle decisioni e agli svolgimenti della politica. E se ciò coinvolge la maggioranza dei cittadini in momenti di eccezionalità come quelli attuali, bisogna riconoscere che in Italia esistono categorie lavorativamente svantaggiate anche in tempi normali. Nel caso dei lavoratori non italiani, il discorso risulta piuttosto evidente. C’è infatti una responsabilità politica che si deve ricercare in anni e anni di immobilità istituzionale, che invece di individuare una soluzione al problema ha continuato a operare come se non ci fosse, optando per un approccio sempre più securitario delle frontiere e impedendo di fatto una immigrazione lavorativa legale.

 Il mondo del lavoro rimane fondamentale nel processo di integrazione per le persone di origini straniere che arrivano in Italia, tuttavia ancora oggi questo mondo è vittima di una serie di storture e problemi che impediscono di fatto un corretto servizio di accoglienza per queste persone. Problemi di carattere istituzionale rendono impossibile agli stranieri che vivono in Italia di poter svolgere in condizioni di legalità e sicurezza il proprio lavoro, creando situazioni di disagio sociale e stigma che avvelenano il dibattito pubblico relativo al tema.

Dalla legge Bossi Fini ai casi di sovra istruzione, passando per i problemi relativi alla segregazione occupazionale, la redazione di Scomodo ha avuto la fortuna di affrontare l’argomento insieme a Oiza Q. Obasuyi, studiosa di diritti umani e collaboratrice di The Vision e Internazionale.

 

Il mercato del lavoro italiano tende a mettere i lavoratori stranieri in una condizione peggiore rispetto ai corrispettivi italiani, secondo te per questo fatto esistono responsabilità politiche?

Secondo me sì, perché comunque sia tutto parte dalla legge bossi fini e lasciami fare una premessa, quando parliamo di situazione lavorativa di persone di origine straniera, viviamo in una situazione in cui ci troviamo in una piramide razzializzata in cui alla base troviamo soprattutto persone di origine straniera. Lavoratori e lavoratrici straniere che si trovano in una condizione di sfruttamento, spesso lavorano in nero e sono costretti spesso in una condizione di illegalità. Questo è dovuto proprio dal fatto che, a causa della Bossi Fini, non è facile comunque regolarizzarsi in Italia e lavorare in un modo legale nel nostro paese. 

La legge vincola il permesso di soggiorno alla condizione lavorativa della persona che lo richiede. In questo modo si crea un circolo vizioso che vede la persona impossibilitata a lavorare se non ha i documenti. Considerando il fatto che un datore di lavoro non può assumere una persona di origine straniera se non abbia dei documenti, tutto ciò determina in molti casi che alcuni datori di lavoro costringano le persone a lavorare in maniera irregolare. La Bossi Fini paradossalmente ha aumentato le situazioni in cui persistono condizioni di illegalità. 

Nonostante la sanatoria voluta dalla Ministra Bellanova che, se da un lato ha aiutato a migliorare le condizioni per questa emersione dei lavoratori in nero, dall’altro ha però lasciato senza copertura migliaia di lavoratori, ci sono tutt’ora braccianti che vivono in condizioni disumane, in veri e propri ghetti, soprattutto nel foggiano. C’è sicuramente una responsabilità di tipo politica, che si traduce con la mancanza di volontà di cambiare le cose in questo senso: sono anni e anni che si discutono questi argomenti ma non c’è mai stato un cambiamento radicale da questo punto di vista.

 

Visto gli effetti che ha avuto, secondo te per quali motivi la Bossi Fini è stata fatta?

Considerando il fatto che questa legge ha reso, alle persone di origini straniere, più difficile regolarizzarsi e entrare in modo regolare, io presumo ci sia stato di sicuro un intento securitario. Perché se si considerassero le leggi che regolano l’immigrazione in Italia si noterebbe che c’è sempre questo approccio in difesa delle frontiere nazionali che non favorisce la libera circolazione degli individui ma che invece tenta di alzare muri. È un modo che oltre a ridurre il flusso migratorio, costringe le persone che già si trovano sul territorio italiano a vivere in una condizione di illegalità e di esclusione sociale.

L’intento è stato, a mio avviso, quello di ridurre i flussi, oltre a ciò c’è stata sicuramente un’azione in ottica di non permettere l’inclusione sociale e di rendere le regole relative all’immigrazione securitarie. Due operazioni che vanno a ledere i diritti umani e che vanno a favorire solamente le dinamiche di politica interna italiana. In linea di massima, l’atteggiamento che hanno i partiti da destra a sinistra non sembra essere così diverso. Sicuramente c’è qualcuno che lotta per cambiare questa legge, però c’è sempre una barriera fatta di consensi che evita qualsiasi modifica. Ci sono sempre tante parole ma non si arriva mai ad una conclusione positiva e ad un superamento di questa legge. 

 

Quindi la classe politica non manca di consapevolezza.

 La consapevolezza c’è, quella che manca è la voglia. Se guardiamo i differenti politici se da un lato ci son quelli di destra che ti impediscono di cancellare una legge del genere perché fa comodo a loro, dall’altro c’è una timida sinistra che parla tanto ma non arriva mai ad una conclusione. Manca la voglia politica e dall’altro il prendere le decisioni per cambiare le cose.

 

Uno dei fenomeni più comuni è quello della sovra istruzione: una percentuale maggiore di persone straniere risulta sovra istruita rispetto al dato degli italiani. A cosa è dovuto?

 Questo è sicuramente un dato molto interessante. Si riferisce in modo particolare alla condizione di alcune persone di origine straniera con livelli di istruzione sovra qualificata rispetto al tipo di lavori che andranno poi a svolgere una volta arrivati in Italia. In questo caso trovare una risposta unica è molto difficile, perché ci possono essere migranti che arrivano da condizioni di assoluta povertà mentre in altri casi si tratta di persone che vogliono appunto usufruire della loro libertà di movimento, che è un diritto, che però non avendo la via legale e disposizione, si trovano ad affrontare il viaggio nel mediterraneo, e questo è dovuto anche alla chiusura delle vie legali per entrare in Italia. 

Ci sono casi in cui persone  fanno l’università in Nigeria, che sono costretti ad interrompere gli studi e quando arrivano in Italia non li possono proseguire. Sicuramente ci sono problemi linguistici, ma come ho potuto osservare in alcuni casi, non ci sono politiche che incentivino la continuazione degli studi dal paese di origine al paese di arrivo. Per esempio, all’università degli studi di Palermo è stato presentato il progetto “Pass accademico delle qualifiche dei rifugiati”, che permette alle persone di origine straniera arrivate in Italia, di proseguire gli studi e recuperare il percorso che avevano iniziato nel loro paese di origine. Ecco, partire da un’idea simile potrebbe anche essere utile, ci vogliono, tuttavia, politiche che portino non solo un’inclusione dal punto di vista lavorativo ma anche da quello sociale che favoriscano la continuazione  degli studi di migranti e rifugiati. Una soluzione potrebbe essere questa, partire da questa idea e non farla diventare un progetto isolato ma fare in modo che diventi una garanzia di cui i migranti possano usufruire. 

 

L’altro grande fattore che si riscontra è quello della specializzazione etnica. Cioè che persone provenienti da determinati Paesi finiscono a fare determinati tipi di lavoro. Questo fatto è stato da un lato visto come il sintomo di una forte rete informale che permette a chi arriva in Italia di trovare lavoro, dall’altro però si rischia di relegare certe nazionalità a certe mansioni senza facili vie d’uscita – un fenomeno chiamato “segregazione occupazionale”. Per te, quale delle due interpretazioni è più valida?

 Sicuramente c’è il problema della segregazione occupazionale che è un sintomo di quello che dicevamo prima. Se c’è infatti qualcuno nella condizione di non poter proseguire gli studi e che magari non conosce neanche la lingua, conoscere un’altra persona della propria appartenenza etnica che fa quello specifico lavoro fa in modo che sia sicuramente più portato a conoscere gente che opera in quel settore e che magari può fornire agganci per un’eventuale occupazione. Ma questo è quello a cui si arriva proprio a causa della segregazione occupazionale: una divisione dei lavori in comparti etnici.

Io penso che questo particolare fenomeno sia conseguenza di una bassa inclusione sociale. Nel senso che la struttura sociale è basata su l’accezione che lo straniero andrà a fare solo un tipo di lavoro, e questo stereotipo è dato dal fatto che non ci sono opportunità date allo straniero, non ci sono politiche giuste per l’inclusione sociale o volte all’incentivazione al proseguimento degli studi. Il problema sono sempre le opportunità. Per non parlare del caso in cui sono presenti anche bambini piccoli o minori a carico. In quel caso uno si arrangia come può: come faccio a proseguire gli studi con dei figli? Quali politiche ci sono per persone straniere che hanno questo tipo di problematiche? Anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad una barriera. 

 

Dalla situazione che descrivi sembra esserci un circolo vizioso in cui si intrecciano diversi problemi, se si volesse davvero cercare di interrompere questo processo quale dovrebbe essere la prima cosa da fare?

 Per quanto riguarda i flussi migratori un’idea potrebbe essere  la liberalizzazione dei visti lavorativi. È di fondamentale importanza garantire canali legali. Chiudendoli, come abbiamo fatto fino ad ora, abbiamo fatto sì che si creassero modalità illegali e pericolose che tutt’ora causano morti nel Mediterraneo. In secondo luogo, e questo è ciò che dicono gli esperti di diritto dell’immigrazione, bisognerebbe svincolare i permessi di soggiorno dai contratti di lavoro; ; in questo modo le persone avrebbero maggiori possibilità di regolarizzarsi. Bisogna cercare di superare quei meccanismi che portano alla regolarizzazione temporanea. Sono 30 anni che stiamo facendo sanatorie, il problema è che manca una legge che renda legale questo processo. Bisogna creare una legge che garantisca i diritti umani dei migranti e che porti a una legittimazione definitiva.

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