In un anno in cui il lockdown ha influito molto sull’e-commerce, settore che vedrà solo in Italia, secondo la stima dell’Osservatorio e-commerce B2c, un incremento annuale degli acquisti di prodotti di circa 5,5€ miliardi, alcuni report stimano che il Black Friday del 2020 sarà il più partecipato di sempre. La settimana di sconti e shopping intensivo, comporterà, secondo alcuni studi inglesi, l’emissione nell’atmosfera nel solo Regno Unito, di 429mila tonnellate di CO2. Un impatto considerevole se si calcola la poca consapevolezza pubblica di questo aspetto. Sempre secondo un sondaggio inglese, realizzato proprio alla vigilia del Black Friday, delle 2000 persone intervistate, solo l’11,7% si sofferma a considerare il proprio impatto ambientale durante questo periodo. La schiacciante maggioranza, composta dal 72% degli intervistati, non ritiene importante le implicazioni che consegna gratuita, produzione e packaging potrebbero avere a livello ambientale.
Aspettando i dati definitivi dell’effetto, in termini ambientali e sociali, che questa settimana avrà, abbiamo posto alcune domande a Celia Ojeda Martínez, responsabile strategico di GreenPeace e Project Leader del progetto Hack Your City, riguardo a come sensibilizzare il pubblico su questo problema.
Nell’ultimo anno ci sono state molte iniziative per sensibilizzare la popolazione rispetto alla spesa di prossimità, dalla “città dei 15 minuti” di Parigi, al #NatalesenzaAmazon che sta trovando consensi in tutta Europa. Una delle cose positive della pandemia è che ci ha resi più consapevoli del nostro consumismo? O è una risposta dettata dal periodo di crisi economica?
Entrambi gli aspetti hanno contribuito. Se per un verso le persone che durante il lockdown si sono trovate costrette a stare a casa hanno rivalutato le loro priorità ed hanno potuto vedere come, nella loro vita, ci siano molte cose superflue di gli cui sembra aver bisogno, ma che in realtà sono irrilevanti. Dall’altro, la crisi economica derivata dalla pandemia ha fatto in modo che le famiglie siano più inclini a risparmiare. Ci sono paesi, come la Spagna, in cui si stima che la crisi economica causata dalla pandemia anche nel 2021 avrà un impatto pesante sulla vita dei cittadini.
Tuttavia, i governi stanno incoraggiando il consumo come uno dei modi per salvare l’economia. Ciò potrebbe avere effetti positivi, se l’economia o il consumo che viene promosso è basato sul locale e sostenibile, attraverso la promozione di politiche pubbliche.
Da qui nascono questi boicottaggi di Amazon, che a mio avviso derivano più dal voler aiutare gli altri, il vicino, gli affari del vicinato, che la fede contro il consumo e il suo impatto ambientale. L’ideale sarebbe che le persone fossero in grado di mantenere questa mentalità critica nei confronti del consumismo quando si tornerà alla “normalità”.
Che impatto potrebbe avere dal punto di vista ambientale e per le PMI, estromettere Amazon dallo shopping natalizio?
Sicuramente escludere grandi aziende come Amazon, ma anche altre che promuovono un’attività che ha un forte impatto ambientale avrebbe un effetto positivo sull’ambiente. In primis una riduzione delle emissioni di CO2 e dell’effetto serra, ma anche una riduzione della plastica monouso e di tutto ciò che è connesso a questo tipo di economia. Sicuramente, comunque, un impatto positivo.
Il consumo è un atto politico.
Attraverso i tuoi consumi decidi quali tipi di aziende o attività commerciali guidano il pianeta. Si può scegliere tra aziende altamente inquinanti, che ci incoraggiano a consumare, inquinando e utilizzando più risorse naturali ed energetiche del normale. Oppure, se preferiamo consumare meno, si può scegliere l’alternativa locale o ecologica, socialmente responsabile. Vogliamo città vivaci o grandi centri commerciali in periferia?
Il Natale senza Amazon può generare solidarietà nei quartieri e nelle città, influenzando positivamente le questioni sociali e rafforzando le economie locali. Tuttavia, questo è solo l’inizio. Anche il locale non è sempre sostenibile. Bisogna aiutare queste aziende ad adottare misure per migliorare la propria sostenibilità.
Per quanto grande, Amazon non è l’unica piattaforma a beneficiare di questo periodo di crisi. L’esplosione dell’e-commerce rischia di aumentare ancora di più le disuguaglianze e di creare maggiori problemi in ambito ambientale. Una maggiore regolamentazione in questa situazione sembra necessaria, come si stanno muovendo le istituzioni in quest’ottica?
L’e-commerce non è da considerare il male a priori, si tratta di un modello economico che attualmente sta avendo grande fortuna e per questo abbiamo davvero bisogno di regolamentarlo per tentare di trasformarlo in sostenibile. Tuttavia, la prima cosa da fare è smettere di promuovere il consumo. Se dovessimo rendere l’e-commerce sostenibile, continuando a consumare ancora così tanti articoli, il problema non verrebbe risolto.
Per cambiare l’e-commerce noi di Greenpeace suggeriamo questo:
- Acquista locale. Bisogna dare la priorità ai negozi del tuo quartiere.
- Quando possibile, scegli prodotti ecologici senza imballaggio.
- Evita imballaggi non necessari. Prima di acquistare, chiedi al negozio che tipo di confezione offre.
- Se non puoi riutilizzarlo o restituirlo, trova il modo di riciclarlo, ma fai attenzione alle false soluzioni.
- Quando non è possibile evitare l’imballaggio, riutilizzalo: una scatola può avere più vite.
- Sii consapevole delle dimensioni della scatola. La dimensione della confezione dovrebbe essere in base alla dimensione del prodotto che va all’interno.
- Acquista prodotti di seconda mano o cambia. Anche se è online, dai una maggiore durata ai prodotti
- Scegli negozi che hanno punti di ritiro o il ritiro presso il negozio per evitare le emissioni di effetto serra generate dal trasporto e l’eccesso di imballaggi.
- Quando le consegne sono completamente necessarie, scegli sistemi sostenibili (es: biciclette).
- Evita di tornare in negozio. Poniti le domande necessarie per acquistare la taglia o il modello appropriato.
Abbandonare la comodità è sempre difficile. Rispetto a questo, come si sensibilizzano le persone su questi temi? Come si convincono le persone a rinunciare al proprio comfort?
È un atto che non avviene dall’oggi al domani, è una transizione. Ci sarà sempre un punto di partenza. Può essere che tu ti sia interessato all’inquinamento causato plastica, o che all’improvviso inizi a pedalare per andare al lavoro o al negozio. Da quel momento inizi a sperimentare e comprendi che uno stile di vita alternativo è possibile.
Il cambiamento nasce quando prendi una decisione su un fatto intangibile e inizi a cambiare. Ci hanno venduto un sistema in cui, ad esempio, ci dicono che guidare in macchina è più comodo, ma non ci mostrano le conseguenze sull’ambiente e sulla salute. L’industria ci ha venduto un modello. Ma la domanda è: vogliamo davvero quel modello? Ci sono già molte persone che si stanno iniziando a fare questa domande e che stanno iniziando a cercare un modo per cambiare le cose.
Ovviamente, se venissero stabilite politiche obbligatorie per le aziende che incoraggino o aiutino questo cambiamento, sarebbe più veloce e più facile per le persone trovare le alternative.
Ad esempio, se riparare una scarpa è più costoso che acquistarne una nuova, la decisione di riparare è coraggiosa. Se non fosse così, la cosa più semplice e diffusa sarebbe quella di ripararla e prolungarne la durata. 20 anni fa la riparazione era più facile ed economica oggi è più semplice comprarne una nuova. Ci è stato imposto un modello a vantaggio delle aziende, non delle persone né dell’ambiente.
Limitare il consumo è sempre un’azione svolta a posteriori, è possibile risolvere il problema al principio? Quanto la pubblicità contribuisce ad annullare il vostro impegno su questo punto?
È possibile ed è una somma di diversi fattori. Sembra che non ci sia volontà politica. Né sembra essere il modello di business che le aziende stanno cercando, da qui la loro riluttanza a farlo. E la pubblicità sembra voler continuare a vendere un greenwashing di prodotti non sostenibili.
Dovrebbero essere stabilite leggi sia a livello statale, sia a livello europeo, che regolino la produzione dei beni. D’altra parte, un cambiamento nel modello di business è necessario per promuovere riparabilità, scambio e seconda mano.
Tutto ciò darebbe luogo a regolamentare e modificare la pubblicità. Se non siamo costantemente bombardati da annunci, compreremo solo il necessario. Occorrono regole che regolamentino il greenwashing da un lato e dall’altro che riducano le fonti di pubblicità. Questo spazio dovrebbe essere dato ai cittadini in modo che possano comunicare le loro iniziative.