Fra le rovine di Lützi

Al 14 gennaio restano in piedi ancora forse un fienile e le strutture sopraelevate.
Tuttavia, negli ultimi 50 anni si è piano piano smesso di chiamarla «Land von Kohle und Stahl», «Terra di carbone e acciaio». Molte miniere di carbone si sono esaurite e sono state chiuse, come quella di Zollverein, ad Essen, che è ora patrimonio UNESCO. In altre, invece, si continua a scavare, senza intenzione di fermarsi per un altro decennio.




La cava è così grande che scompare all’orizzonte. A sinistra, un enorme e profondo buco nel terreno, totalmente deserto se non per qualche camionetta della polizia e l’altrettanto enorme macchina escavatrice. A destra, una striscia di terreno puntellata dalle forze dell’ordine e, in fondo, quel che rimane della frazione di Lützerath. Una ragazza dice che un giorno questo sarà un lago vastissimo, ma non il più grande della zona. Al momento, la miniera misura circa quarantotto chilometri quadrati, praticamente due volte la grandezza del primo municipio di Roma. La miniera di Hambach, anch’essa un futuro lago, raggiunge gli ottantacinque chilometri quadrati.
Arba ha iniziato il suo attivismo con Fridays for the Future e ha preso parte, qualche anno fa, a un Climate Camp a Wurzburg. «FFF è considerato fra i più moderati nell’ambiente dei movimenti ambientalisti», spiega, «ma con il peggiorare della situazione climatica capisco l’approccio più radicale che gruppi come Last Generation e Extinction Rebellion hanno». Arba illustra il punto di vista dell’attivismo contro il carbone della RWE. La lettera degli scienziati per il clima, come anche i comunicati degli altri movimenti, espongono il parere di vari studi (come questo dell’Istituto Tedesco per la Ricerca Economica) secondo cui la quantità di carbone estraibile da lì sotto sarebbe così grande da rendere impossibile, per la Germania, il rispetto dei limiti di emissioni previsti dall’Accordo di Parigi, ovvero i limiti che permetterebbero alla temperatura globale di innalzarsi non più di un grado e mezzo. Il governo tedesco sostiene invece che permettere alla RWE di scavare quel carbone sia un patto con il diavolo necessario all’attuale politica energetica: in cambio di questa concessione la compagnia chiuderà le centrali a carbone entro il 2030 e non il 203. Arba, come molti altri, non è d’accordo: un cambiamento nel Sistema europeo per lo scambio delle quote di emissione (ETS) renderebbe le centrali a carbone economicamente insostenibili entro il 2030 in ogni caso.
Il permesso finale di scavare a Lützerath, quindi, viene considerato un regalo frutto del lobbismo della RWE.
Acqua e cemento

Lo Stato ha messo a disposizione di questi grandi agricoltori il progetto e le risorse economiche necessarie: i privati della cooperativa si difendono dalle accuse dicendo che loro hanno semplicemente posto al governo il problema della siccità, e che la soluzione proposta, le mega-bassines, dipende esclusivamente dalla politica agroindustriale governativa. Secondo le organizzazioni si tratta di «accaparramento» e di «guerra» dell’acqua come risposta dello Stato francese alla crisi climatica, che per i livelli di gravità raggiunti mette seriamente in dubbio l’accesso alle risorse idriche nel cuore d’Europa.
In seguito al lancio della mobilitazione per l’ultimo weekend di ottobre, venerdì 28 la polizia ha cercato di bloccare le principali strade per Sainte-Soline nel tentativo di intercettare i militanti e impedirgli di raggiungere il sito, dove il dispositivo schierato era di 1700 agenti e 6 elicotteri secondo le stime dei partecipanti «Siamo dovuti passare per strade sterrate e sentieri di campagna» raccontano altri militanti presenti, ventenni fuoriusciti dal Comitato antifascista di Poitiers, capoluogo della regione. «Quando siamo arrivati, verso ora di cena, abbiamo trovato un’atmosfera calorosa e piena di energia. Abbiamo fatto una riunione logistica per preparare lo svolgimento dell’incursione, eravamo già qualche migliaio». Nonostante la zona fosse stata interdetta ai non residenti il pomeriggio del giorno dopo, sabato 29 ottobre, 7000 persone (4000 per la prefettura) tra cui vari deputati della NUPES si sono addentrati nelle campagne intorno al cantiere, una fossa di 16 ettari. Divisi in tre cortei hanno attraversato i terreni circostanti con l’aiuto dei residenti, mentre la polizia cercava di interrompere l’avvicinamento ai terreni impiegati alla costruzione dell’infrastruttura. «Tutti i piccoli coltivatori locali che non manifestavano erano dalla nostra: ci hanno fatto entrare nelle loro case e ci hanno dato viveri e medicinali». Dopo tre ore uno dei tre cortei è riuscito per primo a penetrare nel cantiere, raggiunto poi dagli altri due.
Gli impianti in costruzione sono stati parzialmente danneggiati, e il giorno dopo si contavano 61 feriti tra i ranghi della polizia e 50 in quelli dei militanti. «Abbiamo vinto noi, per una volta», commenta convinto un militante. «O almeno subito dopo gli scontri e una volta finita la manifestazione avevamo l’impressione che i numeri fossero di gran lunga a nostro favore». Sono seguiti gli arresti di 40 persone, identificate e già note al Ministero dell’Interno, ha dichiarato il Ministro Darmanin, che oltre a qualificare i manifestanti come ecoterroristi ha denunciato la «provocazione di alcuni deputati», facendo riferimento ai parlamentari di sinistra che hanno partecipato alla manifestazione. I deputati presenti invece hanno denunciato di essere stati vittime di repressione violenta da parte delle forze dell’ordine.





In effetti il movimento ecologista francese si è storicamente caratterizzato per una grande determinazione: le ZAD, territori a statuto giuridico speciale, scelti come zone dove aprire cantieri per la costruzione di grandi opere, spesso sono stati occupati e ribattezzati Zones à défendre (zone da difendere) per impedire la realizzazione di infrastrutture dannose per l’ambiente. Alla base c’è la stessa idea di difesa del territorio e degli ecosistemi del movimento No Tav italiano. A Notre-Dame-des-Landes dove nel 2008 era stata prevista la costruzione di un aeroporto, l’occupazione ha resistito alla repressione e il progetto governativo è stato abbandonato definitivamente nel 2018.
Sia in Francia che in Germania, sono sempre più comuni le iniziative radicali che scelgono di colpire bersagli direttamente responsabili della crisi climatica. Come sottolineato dalle organizzazioni e dai partiti coinvolti, il deterioramento della situazione ambientale costringe gli attivisti ad assumere linguaggi di lotta sempre più pesanti, e l’accettazione di un confronto violento, non più mediabile, con lo Stato. Il fallimento delle ultime Cop per il clima ne è una prova, sostengono i Soulèvements de la terre. In Francia, è stato chiamato un altro weekend di mobilitazione a fine marzo, nel Poitou-Charentes.
Foto di Philipp Gehrhardt per Lützerath e Choupette per Sainte-Soline