Sviluppare politiche urbane non è mai un compito facile. Per renderle efficaci bisogna tenere a mente gli interessi e i bisogni di tutti gli abitanti della città, e spesso i provvedimenti che migliorano la vita di alcuni tendono a peggiorare quella di altri. L’esperimento torinese, della sindaca Appendino, relativo alla pedonalizzazione alcune vie a Torino, in diverse circoscrizioni, dovrebbe esaurirsi con lo scadere dell’anno solare, con lo scopo di rendere la città più sostenibile adattandola ai bisogni emersi durante il periodo di lockdown. Chissà se la politica urbana messa in atto aiuterà a rendere la città meno inquinata e più vivibile per i residenti torinesi.

La pedonalizzazione nella storia urbana e torinese

La pedonalizzazione intesa come politica urbana nasce già nei primi anni del secolo scorso, quando ancora le automobili non costituivano alcun tipo di problema e precisamente, nel 1926, nella città di Essen, situata nella parte orientale della Germania, venne intrapreso il primo vero progetto di pedonalizzazione. L’idea cominciò ad essere apprezzata e imitata a partire dal secondo dopoguerra, quando iniziative simili cominciarono ad apparire in tutta Europa. Oggi troviamo aree pedonali ovunque in giro per il mondo e, come dimostrano i casi di Amsterdam, Venezia, Dubrovnik o Miami, possono spesso diventare vere e proprie attrazioni turistiche delineando l’immagine della città. È, però, importante soffermarsi sul fatto che, come dimostrano i casi delle città sopra citate, una volta effettuata la pedonalizzazione di un’area il suo destino possa essere duplice: quello di diventare un luogo d’attrazione turistica o quello di diventare una triste e ripetitiva area di shopping, tipicamente piena di grandi negozi franchising che vanno spesso a “cancellare” le botteghe di artigiani locali che, da sempre, hanno reso unico ed iconico il fascino delle vie cittadine, basti pensare a Strøget a Copenaghen o a via Roma a Torino.  Vi è però un principio alle spalle della creazione del cosiddetto “turismo culturale” per una zona pedonale: c’é bisogno che l’area sottesa abbia un qualche interesse artistico o architettonico, che sia “catchy” dal punto di vista commerciale e che, soprattutto, sia di passaggio e facilmente raggiungibile. Questo potrebbe spiegare perché a Torino esistano, secondo i dati della pubblicazione “Torino Atlas” di Urban Lab solo tre isole pedonali di una rilevante dimensione esterne dal centro città e da Crocetta. Non fu un caso che proprio in Crocetta, nel 1974, il sindaco democristiano Picco, desideroso di aumentare le aree verdi della città e di proteggere il patrimonio Liberty della zona, creò la prima isola pedonale di Torino: oggi considerata una perla urbana, “raffinata” e residenziale. Successivamente a questo provvedimento, le operazioni di chiusura al traffico torinese sono diventate piuttosto frequenti. Negli anni successivi e con le successive amministrazioni  furono pedonalizzate rilevanti vie del centro come via Garibaldi -la prima- nel 1979, via Roma, via Lagrange e via Carlo Alberto fino ad arrivare all’anno 2018 quando con l’amministrazione Appendino fu chiusa via Monferrato, la via che fiancheggia la Gran Madre. Secondo una ricerca di Holidu (un motore di ricerca per case-vacanze) basata sui dati di Open Street Map del 2018, Torino è la quinta città più pedonale d’Italia. 

La conseguenza urbana del lockdown: Torino e la pedonalizzazione

Il 14 luglio di questo turbolento anno è stata approvata una delibera che ha portato ad un esperimento di pedonalizzazione lungo dodici mesi che coinvolge undici vie in cinque circoscrizioni diverse di Torino. Durante il lockdown primaverile è diventata sempre più evidente per tutti l’importanza di avere uno “spazietto di vivibilità” a due passi da casa, che dia sfogo al “bisogno di muoversi, riversarsi nelle strade e respirare aria diversa”, come ha spiegato l’assessore alla viabilità Lapietra. La pedonalizzazione della parte orientale di Borgo Dora, realizzata poco prima dell’emanazione della delibera su richiesta della Circoscrizione e di alcuni residenti, ha dato la spinta giusta al progetto che ad oggi vede chiuse al traffico con l’utilizzo di fioriere alcuni isolati in altre quattro aree: Centro, Campidoglio, Borgo Vittoria e San Salvario. Gli spazi pedonali in quest’ultima sono aumentati, nel mese di settembre, con l’avvio del progetto Torino Mobility Lab, creato dal Comune di Torino già da diverso tempo ma operativo sul territorio di San Salvario dall’inizio dell’anno. Il progetto nasce come conseguenza del Programma Sperimentale Nazionale di mobilità sostenibile casa-lavoro casa-scuola del Ministero dell’Ambiente e co-sviluppato con l’Agenzia per lo Sviluppo locale di San Salvario e di Torino Urban Lab. Esso ha come scopo la promozione della “mobilità dolce” intendendo tutti quegli spostamenti effettuati a piedi, in bici o con il monopattino (diversamente, invece,  dalla “mobilità sostenibile” che comprende anche veicoli elettrici privati e mezzi pubblici) nella zona ed ha colto l’occasione per proporre la pedonalizzazione di altri due isolati: davanti alla Casa del Quartiere e davanti alla sede dell’ASAI, un’associazione di volontariato rilevante per il quartiere che propone iniziative educative e culturali rivolte soprattutto ai bambini; un “gesto che ha lo scopo di conciliare l’incrementazione della mobilità dolce con il coinvolgimento delle diverse comunità locali creando uno spazio libero di gioco rivolto ai ragazzi e ai bambini che frequentano questi luoghi”, come ha spiegato la referente del progetto Chiara Marabisso.

L’esempio francese

Dietro alle politiche urbane spesso si celano lotte per il potere e per l’accesso al suolo pubblico: di fatto, uno scontro di interessi diversi che devono convivere all’interno della stessa città. Pianificare spazi urbani dunque non è un lavoro privo di conseguenze e allo stesso tempo la pedonalizzazione viene spesso presentata come politica ambientale per combattere i livelli di inquinamento atmosferico. Tuttavia, una diminuzione della circolazione delle macchine in centro non significa automaticamente che aumenterà la qualità dell’aria urbana.

Rigenerare centri urbani con lo scopo di migliorare la qualità dell’aria non è nulla di nuovo e nel febbraio di quest’anno Anne Hidalgo, sindaca di Parigi dal 2014, ha annunciato il nuovo programma per la capitale francese: la citta’ verde dei 15 minuti. Per agire sull’urbanistica di Parigi, Hidalgo si è appoggiata ad un team di esperti tra cui Carlos Moreno, professore ed esperto di urbanistica alla Sorbonne Université, che l’hanno coinvolta nei dibattiti sull’accesso e sulla riqualificazione urbana. Insieme, Hidalgo e Moreno hanno sviluppato un piano che parta prima dai quartieri e che si estenda a tutta la città. Il loro scopo è quello di arricchire tutti i singoli arrondissement di Parigi, assicurandosi che ciascuno abbia sufficienti scuole, parchi, supermercati, bar e negozi permettendo ad ogni cittadino di condurre una piena ed appagante vita di quartiere, muovendosi a piedi e conoscendo meglio i residenti della propria zona. Precisamente, questo piano urbano ebbe lo scopo di creare molti piccoli villaggi all’interno della città, diminuendo sia l’inquinamento che lo stress urbano e permettendo così ai cittadini di accedere a molti servizi senza il bisogno di utilizzare l’automobile. Non solo: il piano della città verde dei “15 minuti” non si focalizza solo sulla riqualificazione del centro, ma sul miglioramento dell’intera città evitando di aumentare le differenze sociali tra quartieri centrali e succursali, integrando tutti i cittadini al suo interno.

 

Ambiente + Politiche Urbane = non sempre è Pedonalizzazione

Diversamente è stato fatto a Torino, dove i piani di pedonalizzazione hanno preso spunto da capitali europee come Amsterdam senza realmente considerare la fisicità di Torino stessa. Pedonalizzare le vie del centro non è il miglior modo per migliorare la qualità dell’aria: a dirlo sono i dati raccolti da Urban Labs, un’associazione indipendente di comunicazione il cui scopo è quello di spiegare le politiche urbane ai cittadini. Le mappe create con i dati di Urban Labs mostrano i livelli di particelle inquinanti come l’ozono e le micro polveri nell’aria di alcune località torinesi. In particolare, i livelli di benzopirene, un inquinante cancerogeno che proviene prevalentemente dallo scarico delle macchine, sono più alti in zone limitrofe come Settimo e Borgaro piuttosto che in vie centrali come via Monti (che verrà presto pedonalizzata) e via Consolata (che si trova all’interno della zona ZTL).

Nella seconda mappa si possono invece osservare i livelli di traffico, che attualmente sono molto bassi in centro dove é concesso transitare a molte meno macchine rispetto alle aree circostanti. Se l’accesso al centro venisse del tutto vietato si otterrebbe come risultato il congestionamento delle zone limitrofe dove si creerebbe più intasamento e di conseguenza più inquinamento. Valentina Campana, la general manager di Urban Labs, ribadisce: “le politiche vanno costruite sui dati e non sui preconcetti” alludendo al fatto che pedonalizzare alcune zone centrali della città non diminuirà in maniera significativa i livelli di inquinamento. Oltre ad aver consultato la start-up, la redazione di Scomodo Torino ha intervistato anche Tommaso Bassetti, un consulente associato di 25 anni che lavora per CAPSUS, una società specializzata in sostenibilità urbana. Nel suo ultimo progetto si è occupato della creazione di una strategia per migliorare la qualità dell’aria di Città del Messico, che nel 1992 l’ONU definì la capitale più inquinata del mondo. Il planning urbano condotto da Tommaso Bassetti non si è occupato esclusivamente di diminuire la circolazione dei veicoli, ma anche di ridurre consumi di energia, migliorare lo smaltimento dei rifiuti, riforestare le zone circostanti, creare zone verdi e migliorare il trasporto pubblico sostenibile: “una strategia ambientale deve essere immaginata e basata su un approccio olistico che parte indubbiamente da un’analisi di dati accurata” dimostrando che per migliorare la qualità dell’aria di una città non basta diminuire lo scorrimento delle macchine nelle vie del centro. Dunque, non sempre la pedonalizzazione è la politica migliore per minimizzare l’inquinamento urbano; sia Valentina Campana che Tommaso Bassetti confermano: per condurre una buona pianificazione va tenuto conto della particolarità di ogni città e vanno studiati approfonditamente i dati per garantire una pianificazione che rende la città accessibile e vivibile a tutti i suoi abitanti.

L’approccio alla pedonalizzazione di Torino rispecchia una visione “top-down” dove il governo e le aziende con più disponibilità di capitale sono la forza motrice dietro la pianificazione urbana: sono loro gli interessi che guidano lo sviluppo la città, piuttosto che quelli dei cittadini stessi. Il geografo economico David Harvey afferma: “viviamo in un mondo in cui i diritti di proprietà privata e il tasso di profitto prevalgono su tutte le altre nozioni di diritti” soprattutto quelli degli abitanti della città. Le priorità dell’urbanistica moderna troppo spesso sono politiche economiche piuttosto che sociali, e uno studio realizzato dal CRESME evidenzia come a Milano nelle zone pedonalizzate il valore degli immobili è aumentato tra il 20 e il 35%, portando all’innalzamento dei prezzi degli affitti nella zona nel lungo termine.

Maggiormente colpiti sono famiglie che vivono in affitto e commercianti che non possiedono le mura per ospitare le loro attività, che a lungo andare vengono allontanati da i costi restrittivi. Guardando all’esempio Torinese al posto delle piccole botteghe nelle vie del centro sono gradualmente comparsi negozi come Zara, Bershka, Paul&Bear, Stradivarius: brand tutti posseduti da Inditex un’unica impresa multinazionale internazionale che, insieme a poche altre, ha monopolizzato il centro della città . Di conseguenza il divieto di accesso per le macchine tout cour e non accompagnato da altri provvedimenti di transizione rischia di provocare più esclusione sociale che minimizzare l’inquinamento atmosferico. Al contrario, con uno sviluppo “bottom-up” per cui i progetti vengono pianificati e realizzati con la partecipazione delle comunità locali, tenendo conto anche dei loro interessi. La Parigi dei 15 minuti forse non sarà un piano urbanistico perfetto, ma in qualche modo evita di aggiungere alla ghettizzazione delle zone limitrofe, la chiusura del centro città. Dove, nel piano torinese, c’è il rischio che passi dall’essere un luogo aperto a tutti, all’essere uno spazio chiuso e attraversabile solo da chi ha le risorse economiche per farlo.

L’impatto disomogeneo della pedonalizzazione tra i quartieristazione

La redazione di Scomodo Torino ha intervistato i commercianti di alcune aree soggette agli esperimenti di pedonalizzazione in corso da luglio 2020. La prima area oggetto di analisi è stata la zona di Borgo Dora, dove ogni sabato mattina ha luogo il mercato storico del Balon. Le prime domande sono state rivolte ai proprietari di due bar lungo via Borgo Dora; entrambi hanno dichiarato di non essere stati avvisati dal Comune circa l’esperimento di pedonalizzazione ed, in questo modo, è aumentato anche il loro malcontento a riguardo: “la gente non passando in macchina non ha nessun motivo di attraversare a piedi quelle strade” causando un minor flusso di persone nei bar e nei ristoranti della strada.

Altro “angolo urbano” rilevante della zona è quello costellato dai negozi di antiquariato ed anche tra loro il dissenso è univoco, con l’eccezione di uno solo. L’opinione della maggioranza di essi verteva sull’idea che  Borgo Dora, non essendo turistica ne centrale, non è un luogo dove molta gente “passeggia” e che quindi l’afferenza ai locali è dovuta in primis al passaggio degli automobilisti. L’unico negoziante contrario all’idea comune, sostiene ed afferma che “i clienti non c’erano nemmeno prima di quell’esperimento e che l’area del Borgo, se pedonalizzata, avrebbe costituito un’unica area pedonale insieme al Mercato di Porta Palazzo”. Quest’ultimo spera dunque di aggreggarsi all’ondata di turismo, già modesta in periodo pre pandemia, generata dalla soppressione di una parte del mercato della vicina Porta Palazzo che, in un piano di riqualificazione per il quartiere, è stato trasformato nel Mercato centrale tanto più caro e redditizio quanto poco accessibile.

Poco più avanti di Borgo Dora, ci si ritrova nel quartiere del Quadrilatero Romano, un’area in cui le limitazioni della ZTL si combinano con strade interamente pedonali ed i commercianti intervistati erano tutti favorevoli all’esperimento urbano. Il quartiere è attraversato soprattutto da pedoni e ciclisti e di notte si apre agli aperitivi più costosi e raffinati della città. Rappresenta il quartiere obiettivo, chi investe a Torino li sogna probabilmente quasi tutti cosí.

Le interviste svolte nel quartiere di San Salvario, da via Principe Tommaso seguono la linea di pensiero di Borgo Dora. L’isolato è stato pedonalizzato, a seguito della delibera di luglio, per facilitare la gestione dello spazio dell’asilo Bay. Due commercianti, a titolo di esempio per l’opinione espressa, sostengono che essendo l’isola pedonale priva di bar o ristoranti, hanno tratto di fatto uno svantaggio dalla pedonalizzazione. Ad altri negozianti è stato anche chiesto cosa pensassero di un eventuale pedonalizzazione di tutto il centro ed a fronte di questa domanda, la maggior parte si è dichiarata dubbiosa poichè ”renderebbe il centro troppo difficile da raggiungere per chi non ci abita”. In conclusione, i proprietari di negozi, bar e ristoranti della zona di via Po e del Quadrilatero sono favorevoli alla pedonalizzazione ed informati preventivamente a riguardo. Al contrario gli esercenti delle zone di Borgo Dora e San Salvario hanno criticato soprattutto la realizzazione degli esperimenti e l’inefficace comunicazione con il Comune. Per tentare di giustificare almeno in parte questo panorama di risposte, è rilevante riflettere sul fatto che le aree del centro e del Quadrilatero sono ricche di attività commerciali mentre Borgo Dora e alcuni isolati di San Salvario, oltre ad essere più decentrati hanno un minor numero di attrattive per i clienti.

Pedonalizzando solamente alcune vie senza pensare alle conseguenze si limita l’ingresso al centro città sia fisicamente, impedendo la circolazione delle macchine, che in termini di accesso, a causa del continuo elevarsi dei prezzi. La pedonalizzazione come politica urbana, non solo ha avuto ripercussioni negative per i cittadini meno abbienti che vengono allontanati dal centro, ma ha anche portato a una omologazione dei centri città di tutto il mondo, eliminando la personalità distinta delle stesse. Il problema pero’ non e’ la pedonalizzazione di per sé quanto piuttosto la mancanza di regolamentazione che la accompagna: se nel futuro riusciremo a mantenere i prezzi delle zone pedonalizzate accessibili a tutti, forse riusciremo a proteggere i cittadini da alcune delle sue conseguenze negative.

In conclusione in questo periodo di mobilità e assembramenti ridotti nel quale sembra possibile uscire di casa e sostare all’aperto solo nel momento in cui si consuma qualcosa in un locale chiuso e controllato, in cui uscire sta diventando un privilegio, il miraggio di una pedonalizzazione sotto casa priva di conseguenze socio economiche è condiviso, ma la concretizzazione di questo sogno non può di certo essere un provvedimento proposto con un, solo apparentemente indolore e a basso costo, approccio top-down.