A fine marzo il governo Meloni ha approvato il nuovo codice degli appalti, suscitando molte perplessità nel dibattito pubblico. Il ministero delle Infrastrutture Matteo Salvini si è intestato fin da subito la riforma, ma in realtà le nuove norme sono state scritte in buona parte dal Consiglio di Stato su delega del governo Draghi. Dietro le modifiche apportate ci sarebbe la necessità di accelerare i cantieri delle opere pubbliche per l’attuazione del Pnrr. Il nuovo codice prevede l’affidamento diretto alle imprese per gli appalti fino a 150 mila euro, che nel 2021 sono stati quasi la metà dei contratti pubblici. Per gli appalti fino a un milione di euro invece è prevista la procedura negoziata senza bando con almeno cinque imprese invitate, che diventano dieci per quelli inferiori a 5,4 milioni di euro. Il governo Meloni ha anche introdotto per i piccoli comuni la possibilità dell’affidamento diretto per appalti fino a 500mila euro. Torna l’istituzione dell’appalto integrato, ovvero l’impresa che riceve l’appalto può occuparsi sia della fase di progettazione sia della fase di esecuzione. Diventa legge anche il subappalto a cascata, permettendo all’impresa in subappalto di cedere a sua volta il lavoro a un’altra impresa.
Il testo di legge è stato aspramente criticato dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Giuseppe Busia, che in merito agli affidamenti senza gara ha dichiarato: «Sotto i 150mila euro va benissimo il cugino o anche chi mi ha votato e questo è un problema, soprattutto nei piccoli centri». Dopo le parole di Busia, la Lega ha chiesto (invano) le sue dimissioni. Posizioni simili anche da parte di associazioni antimafia, sindacati e opposizioni. In Italia appalti e concessioni hanno sempre rappresentato un grande problema per la lotta alle mafie e alla corruzione. La gara d’appalto complica la vita a corrotti e corruttori, costringendoli a considerare il concorso degli altri partecipanti. Gli affidamenti diretti, invece, danno più discrezionalità alla politica, ma presentano anche maggiori rischi per la qualità di servizi e opere pubbliche.
Lo stallo sulla gestione del trasporto pubblico
Cosa succede quando procedure pubbliche disattese da anni vengono normalizzate dalla legge? Succede che imprenditori e politici non devono più nascondere le loro alleanze. E l’Italia è piena di storie simili. Come nella piccola regione italiana che ha dato i natali a uno dei protagonisti di Tangentopoli: il Molise. Penultima regione per abitanti e superficie, il Molise è fatto di piccole realtà che favoriscono l’emergere e il radicarsi di centri di potere quasi feudali. I molisani andranno a votare per le elezioni regionali i prossimi 25 e 26 giugno, e l’occasione potrebbe vedere il ritorno di vecchi volti della politica locale. Storicamente, i governi della regione sono stati democristiani durante la Prima Repubblica, mentre la Seconda è stata segnata perlopiù dalla presidenza di Michele Iorio e da sprechi, scandali e inchieste giudiziarie. È su questo sfondo che si inserisce il caso Atm, una storia di gare d’appalto saltate e gestione opaca di concessioni pubbliche.
Tutto parte dalla disputa tra la Regione Molise e l’Azienda di Trasporti Molisana e, soprattutto, dalle condizioni lavorative degli autisti, fra stipendi non pagati e contributi non versati dall’azienda. A peggiorare questa ingiustizia è l’estenuante ping pong che va avanti da anni. La Regione eroga fondi ad Atm per la gestione del trasporto su gomma – che da parte sua invece sostiene di non riceverli –, vantando un credito milionario verso l’ente regionale che non gli permetterebbe di pagare i dipendenti. Questa presunta mancanza di liquidità ha generato negli anni una situazione molto tesa, fra una busta con dentro un proiettile recapitata nella sede della ditta e un’interrogazione parlamentare di gennaio 2023 al Ministro del Lavoro per fare chiarezza sulla vicenda.
Per superare l’empasse, alcuni dipendenti hanno deciso di reclamare dalla Regione ciò che gli spetta, ricorrendo allo strumento del decreto ingiuntivo. A dicembre scorso, per la prima volta, la Regione Molise ha pagato i dipendenti al posto di Atm. Questa diatriba potrebbe sembrare un problema di ordinaria amministrazione. Eppure, testimonia come affidamenti diretti e servizi dati in concessione possano generare dinamiche dannose per le casse dello Stato.
Una gestione opaca
Nel 1997 il trasporto pubblico in Italia subisce un’importante riforma e diventa competenza delle regioni. Tre anni dopo, la Regione Molise si adegua alla riforma, e stabilisce le norme per la gestione del trasporto pubblico con una legge regionale, che impone gare d’appalto per scegliere i gestori e concessioni temporanee per il periodo di transizione. Concessioni talmente temporanee che durano da più di vent’anni. Finalmente, a ottobre 2022 viene pubblicato il bando di gara in Gazzetta Ufficiale: sembra essere la via d’uscita dallo storico scontro con l’Atm che va avanti da più di un decennio. A gennaio di quest’anno, però, un colpo di scena: il Tar del Molise annulla il bando a seguito del ricorso fatto dall’Atm. Con le elezioni regionali quasi alle porte, si torna al regime delle concessioni.
Queste dispute burocratiche hanno un volto, noto da anni nei palazzi regionali. Si tratta dell’imprenditore molisano Giuseppe Larivera, amministratore delegato di Atm. Opera principalmente nell’ambito dei trasporti e dell’edilizia e le sue imprese sono controllate dalla Emi Holding spa. Diversi edifici della zona industriale di Campobasso sono stati costruiti dalla Larivera Immobiliare spa, che ha sede a Milano: centri commerciali, rotonde, la sede stessa dell’Atm.
Giuseppe Larivera ha più volte attaccato pubblicamente la giunta regionale di turno per il contenzioso con la sua Atm. Le sue accuse sono molto gravi e mettono in dubbio la buonafede di tutto l’ente regionale: in una lettera scritta a febbraio e indirizzata al governo, l’imprenditore molisano parla di un «accanimento verso la società Atm» da parte della Regione Molise, la quale avrebbe messo in piedi un vero e proprio sistema per «l’operazione distruzione» dell’azienda. Ad avvalorare la sua tesi, un documento allegato dall’imprenditore in risposta ad alcune dichiarazioni dell’assessore ai trasporti, Quintino Pallante, nelle quali negava la versione di Atm. Il documento in questione è uno stralcio di una relazione della Corte dei Conti in cui è riportato nero su bianco il debito di più di 7 milioni di euro che la Regione Molise ha nei confronti di Atm. Nell’allegato di Larivera, sfortunatamente, non sono presenti pagine molto importanti per comprendere il reale contenuto del documento.
Si tratta delle pagine precedenti alla tabella dei debiti, nelle quali la Corte dei Conti sottolinea come i bilanci aziendali delle imprese che ricevono i fondi regionali non siano soggetti ad alcun controllo da parte della Regione. La delibera su cui si basano le concessioni prevede infatti che le imprese affidatarie presentino i loro bilanci, affinché i fondi regionali possano essere erogati con precisione e non a mo’ di pagamenti «a piè di lista». A novembre 2022 il bilancio dell’Atm non risultava ancora verificato dall’ente regionale: si parla di una fase di verifica in corso, ma a dire il vero non è una novità il fatto che le imprese affidatarie non rendono conto delle loro gestioni. Con il rischio di erogare più soldi del dovuto e generare sovracompensazioni. La relazione parla chiaro: i fondi regionali non devono agire come un aiuto di Stato, ma devono essere proporzionati al servizio svolto dall’azienda. Di conseguenza, la Regione Molise ha sì dei debiti milionari verso l’Atm, ma in una gestione dei fondi regionali decisamente opaca.
La concessione all’Atm presenta anche un secondo dato problematico: le irregolarità dell’azienda con l’Agenzia delle Entrate, che le impedirebbero di vincere un’eventuale gara d’appalto. Situazione verificatasi già nel 2011, quando la giunta regionale presieduta da Paolo Di Laura Frattura pubblica un bando di gara per la gestione del trasporto pubblico. L’Atm risponde al bando ma la gara viene in seguito annullata dalla Regione. L’azienda decide di fare ricorso al Consiglio di Stato, che però non accoglie l’appello. La ditta di trasporti targata Larivera, per partecipare alla gara d’appalto, aveva dichiarato di avere tutte le carte in regola per il bando, ma in realtà aveva un debito con l’Inps di quasi un milione di euro e non aveva ancora approvato il bilancio societario.
Quando invece è la giunta del forzista Donato Toma a indire la gara d’appalto nel 2022, l’Atm non partecipa, ma decide di fare ricorso al Tar che, come già visto, reputa invalido il bando e lo annulla. La Regione Molise, in sua difesa, sostiene che l’Atm non abbia diritto a fare ricorso, sia perché non ha partecipato alla gara sia perché non è in regola con l’Agenzia delle Entrate. Il Tar però è di tutt’altra opinione e dà ragione all’Atm quando da parte sua sostiene che «un’eventuale situazione di irregolarità contributiva e fiscale […] avrebbe avuto rilievo solo qualora quest’ultima avesse preso parte alla gara».
Singolare invece è il caso della Gtm srl, che partecipa alla gara d’appalto trovandosi a competere con le aziende Sati e Trotta. Nulla di strano, se non fosse che la Gtm srl è la seconda ditta di trasporti del gruppo Larivera. Il paradosso è quello di un imprenditore che, di fronte a un bando di gara, si trova a fare ricorso con un’azienda e a partecipare con l’altra. Entrambi gli esiti sarebbero andati a favore del gruppo Larivera: nel primo caso, l’annullamento della gara d’appalto avrebbe costretto la Regione a erogare altri fondi alle aziende concessionarie, tra cui l’Atm; nel secondo caso, la Gtm avrebbe allargato il suo servizio dal solo comune di Termoli a un lotto territoriale più ampio.
Visto il fallimento della gara d’appalto, a febbraio il consiglio regionale approva una mozione del M5S che proponeva una società in-house di trasporto pubblico al posto dell’affidamento a privati. I voti alla mozione sono quasi tutti a favore, tranne un astenuto e un contrario. Il voto contrario è del consigliere Angelo Michele Iorio, ex presidente della regione. Il fatto che sia stato l’unico a votare contro è emblematico, visto lo scandalo pubblico che lo lega a Larivera. Per capire meglio occorre tornare indietro nel tempo, quando nelle colonne dei giornali molisani il Termoli Jet solcava l’orizzonte degli sprechi.
La giunta Iorio e il naufragio dei fondi regionali
Dopo il terremoto del 2002, che segna l’opinione pubblica con la tragedia di San Giuliano di Puglia, il secondo governo Berlusconi dichiara lo stato di emergenza in Molise e decide di nominare un commissario per i lavori di ricostruzione e sviluppo del territorio: Angelo Michele Iorio, che all’epoca è anche presidente della regione. Da commissario ha il compito di definire in che modo sarebbero stati spesi i fondi del governo con la formulazione di un programma di interventi. La giunta regionale approva il suddetto programma, tra le cui misure sbuca anche la proposta di creare un sistema di collegamento marittimo dal porto di Termoli ai porti croati di Spalato, Ploce e Dubrovnik. Oltre ad altre spese essenziali per la ripresa del territorio: 300mila euro per il Museo della Zampogna, 330mila per l’Officina del Gusto e 220mila per il festival della lirica. Il progetto di collegamento marittimo sarebbe stato realizzato da una società pubblico-privata tra la Regione Molise e il vincitore di una gara d’appalto indetta per l’occasione. Questo non avviene, perché la giunta Iorio affida l’incarico direttamente alla Larivera Spa, sia per l’urgenza nel procedere sia per l’impossibilità di trovare altri possibili partner. Così viene costituita la Ltm spa, partecipata dalle società Larivera e Finmolise, la finanziaria della Regione, con la prima come socio principale.
A gennaio del 2006 la Ltm spa acquista il catamarano “Termoli Jet”, una nave costruita nel 2002 da un cantiere norvegese e adibita al trasporto di persone. Ma le gite in Croazia finiscono presto: a giugno dello stesso anno il Tar Molise annulla l’atto di costituzione della Ltm. Secondo la sentenza, non ci sarebbe stata nessuna urgenza nella realizzazione del collegamento con la Croazia, non avendo quest’ultimo niente a che fare con la ricostruzione post-sisma. E poi sarebbe stato possibile eccome trovare altri soci per il progetto, come la Aliscafi Snav spa. La cui scelta, tra l’altro, avrebbe fatto risparmiare molti quattrini alla Regione: l’azienda infatti disponeva già di alcune imbarcazioni, la Larivera spa no. Dopo la decisione del Tar, la Larivera spa esce dalla società, lasciando la Ltm scoperta del partner privato. La Regione cerca altri soci ma il bando è deserto, e nel frattempo il catamarano rimane ormeggiato al porto di Termoli. Fino al 2016, quando alla sua terza asta il Termoli Jet viene venduto alla società coreana Ks Shopping, con un prezzo nettamente inferiore a quello d’acquisto.
Lo scandalo del Termoli Jet è costato alla Regione Molise la bellezza di 8 milioni di euro. Nel 2013 l’ex governatore Iorio, la sua giunta e Larivera sono stati assolti dal Tribunale di Campobasso nel processo che li vedeva accusati di truffa aggravata ai danni dello Stato. La Corte dei Conti però ha comunque riconosciuto il danno erariale, e nel 2020 ha condannato la giunta Iorio a pagare un risarcimento da 3 milioni e mezzo di euro. Antonio Chieffo, ex assessore ai trasporti e amico di vecchia data di Giuseppe Larivera, è stato condannato a pagare una somma superiore rispetto agli altri, essendo stato considerato il promotore dell’operazione.
Gli intoccabili
Già all’epoca appariva singolare il fatto che la Regione Molise avesse deciso di affidare proprio ai fratelli Larivera un appalto così costoso, visto che Giuseppe Larivera nel 1990 ha patteggiato una pena per truffa ai danni della Regione Molise. L’ad di Atm è anche primo firmatario di una petizione di un elenco di imprenditori che intendono realizzare un’aviosuperficie in Molise, più precisamente a San Giuliano del Sannio. In una lettera aperta si parla addirittura della realizzazione di cinque vertiporti per il servizio di aerotaxi. In una regione dove, va precisato, l’autostrada Termoli-San Vittore non è mai stata realizzata e dove attualmente non partono più treni diretti da Campobasso per Roma.
Fatto sta che a marzo del 2022 la giunta Toma ha inserito l’aviosuperficie negli obiettivi del piano regionale dei trasporti. Investimento previsto: 18 milioni di euro. A dare il lasciapassare c’è anche la delibera del Comune di San Giuliano del Sannio: il sindaco, Rosario De Matteis, aveva già tenuto un incontro in Regione con il governatore Toma e l’assessore Pallante per parlare dell’aviosuperficie. La Regione Molise ha preso in considerazione un investimento a sei cifre per un progetto che ha tra i suoi volti chiave due nomi coinvolti nello scandalo del Termoli Jet: Giuseppe Larivera e Rosario De Matteis, all’epoca dei fatti assessore nella giunta Iorio. L’attuale sindaco di San Giuliano del Sannio è stato condannato dalla Corte dei Conti a pagare un risarcimento di 350 mila euro.
Dal decennio Iorio, al periodo Frattura fino all’attuale giunta Toma: Giuseppe Larivera è sopravvissuto a tutte e tre le ere, mantenendo concessioni e chiedendo appalti nonostante la sua incompatibile «moralità professionale» dichiarata dalla magistratura. Il radicamento dell’imprenditore negli affari regionali viene confermato anche dall’assessore Quintino Pallante, che in risposta alle accuse di Larivera dichiara: «[Giuseppe Larivera, ndr] dovrebbe ricordare che è un imprenditore monomandatario da quarant’anni e dovrebbe avere rispetto per la Regione che in quarant’anni gli ha dato milioni e milioni di euro».
In tutti questi anni si sono viste tante scene di autisti dell’Atm che manifestano sotto le sedi degli enti regionali. Dall’altro lato, i politici, che puntualmente rassicurano i lavoratori rimandando all’esito della prossima vertenza. La mitologica prossima vertenza, quella decisiva. Con quel poco di fede rimasta verso le istituzioni, i dipendenti di Atm possono provare a sperare nel governo della prossima giunta regionale. Ma il punto qui è un altro. Si tratta di dinamiche che prescindono dal voto dei molisani, veri e propri gruppi di potere che hanno rapporti consolidati con l’imprenditoria e la politica locali. Gruppi che di fronte al nuovo codice appalti si rimboccano le maniche e festeggiano il fatto che adesso sono ancora più intoccabili.