I riders non restano a casa

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“Non si può scioperare nella gig-economy, a maggior ragione adesso che non puoi fare nessuna manifestazione rischio assembramento”. A parlare è A., del sindacato autonomo Deliverance Milano, tra i tanti che in Italia rappresentano i riders. Lavoratori in questi giorni di chiusura (quasi) totale continuano nella loro attività e che, al contrario di altre categorie, non hanno la possibilità di protestare per le scarse condizioni di emergenza garantite dalle aziende di food delivery. “Anche se riesci a bloccare una zona piuttosto che una parte di città, e Milano ha molte zone ed è molto ampio il territorio, iniziano ad assumere il giorno dopo. Allargano la flotta, così tanto che qualcuno lavorerà sempre”.

Da una parte con il decreto Cura Italia è emersa la volontà di ridurre la dicotomia tra lavoratori autonomi e lavoratori subordinati difronte all’emergenza nazionale che stiamo vivendo; dall’altra, però, è venuta a galla la situazione di enorme precarietà in cui vertono alcune categorie di lavoratori rimaste escluse dal piano di tutela.
Tra i dimenticati vi sono proprio migliaia di riders che lavorano per le aziende dell’Assodelivery (tra cui Deliveroo, Glovo, Just Eat, Uber Eats), non ancora ufficialmente lavoratori subordinati. Infatti, malgrado nel decreto ‘crisi aziendali’ del 3 novembre siano stati riconosciuti ai riders alcuni dei diritti dei subordinati (come una paga base, tutele assicurative, ferie e permessi retribuiti) è stato lasciato un anno di tempo alle aziende per contrattare con i lavoratori; l’unico obbligo attivo dall’1 febbraio è quello di iscrizione all’INAIL per l’assicurazione sul lavoro.

 

La situazione contrattuale

Ad oggi, quindi, i riders hanno ancora per lo più contratti a prestazione occasionale e a zero ore. Con questo tipo di contratto non viene riconosciuto al lavoratore uno stipendio minimo di base, mantenendo un sistema di lavoro a cottimo che li costringe a continuare a lavorare malgrado l’emergenza. Infatti, ad accedere ai 600€ garantiti dal decreto Cura Italia sono solo i riders che sono riusciti ad aprire la partita IVA, quella minoranza che usa scooter o auto e i pochi che sono riusciti ad ottenere un contratto co.co.co. (Collaboratori Coordinati e Continuativi), un ‘privilegio’ di chi lavora per piccole aziende italiane e realtà territoriali, ossia una fetta relativamente piccola di questo mercato del lavoro.
Inizialmente anche aziende come Foodora (poi confluita in Glovo) e Just Eat utilizzavano contratti co.co.co. Opzione poi abbandonata, dal momento che il rider avrebbe potuto richiedere un rapporto di tipo subordinato, con tutto ciò che ne consegue rispetto a diritti salariali e previdenziali: a quel punto le aziende food delivery hanno deciso di limitare il problema tramite l’uso di contratti a prestazione occasionale, lasciando come unica alternativa l’apertura della partita IVA.

Proprio in conseguenza di ciò moltissimi riders oggi stanno continuando a lavorare, dato che per alcuni di loro questa è l’unica fonte di sostentamento per sé o per la propria famiglia. Nel XVII rapporto annuale dell’INPS (2018) sono stati riportati alcuni dati dei sondaggi interni di Deliveroo in cui risulta che per oltre un terzo (34%) dei riders lavorare per l’azienda è la fonte principale di
guadagno, percentuale più alta rispetto a coloro che lo considerano un “lavoretto” da svolgere durante gli studi.
Smettere di lavorare significherebbe non avere alcuna entrata e perdere ore di lavoro in futuro: le piattaforme seguono infatti un sistema di ranking basato su velocità, disponibilità e numero di consegne che permette a chi è più alto in classifica di prenotare prima le ore di lavoro, quindi scegliere anche orari in cui la richiesta è più alta.

Le misure di sicurezza

La questione diventa ancora più problematica se si considera che a un mese dall’inizio dell’emergenza a dotare i lavoratori dei dispositivi di protezione individuale (DPI) erano state solamente quelle piccole realtà che garantiscono un contratto co.co.co. Infatti, Deliveroo e Uber Eats si sono limitate a mettere a disposizione 25€ al mese di rimborso spese per guanti e mascherine, una cifra assolutamente insufficiente se si considera che le mascherine FFP2 e FFP3 hanno una durata limitata, e una mossa problematica pensando alla difficile reperibilità delle stesse. Glovo, invece, sta progressivamente fornendo i riders di guanti, mascherine e gel igienizzante mani, mentre Just Eat ha iniziato a distribuire i DPI a domicilio solo da pochi giorni. La poca tempestività di queste aziende non resta però senza conseguenza: a Firenze, infatti, un rider ha messo in mora proprio Just Eat, arrivando ad un riconoscimento ufficiale, da parte del giudice, degli obblighi dell’azienda nei confronti dei suoi lavoratori, ponendo così l’attenzione proprio su quei diritti dei subordinati che l’Assodelivery fatica ancora a rispettare.

Alcuni riders hanno cercato autonomamente e con risultati esigui una soluzione, lavorando solo nelle fasce orarie con più richiesta (ora quelle diurne), soprattutto per la consegna negli uffici in cui non è possibile accedere al servizio mensa per ragioni di sicurezza e la consegna della spesa a domicilio (offerta da Uber Eats e Glovo). Essendo i tempi di attesa all’interno e all’esterno del supermercato molto lunghi, il numero di consegne è limitato e il guadagno minimo, mentre il rischio di contagio per i riders sforniti di DPI e per i clienti si alza esponenzialmente.

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Rider Unions

Come fa notare A., “lasciare la protezione a titolo esclusivamente individuale è un problema sociale che riguarda il rider, il cliente, e le aziende”, pronte a costringere il lavoratore a scegliere tra lavoro e salute. Le sopracitate Unions, i sindacati indipendenti dei riders, si stanno muovendo per poter assicurare innanzitutto la salute dei lavoratori, riconoscendo come né i 25€ di cui sopra, né i 35€ al giorno promessi (per un massimo di 21 giorni) nel caso in cui un rider si ammali di coronavirus, né tantomeno i video tutorial su come fare una consegna contactless, siano delle misure efficaci.
La prima ad aver ottenuto un risultato importante è stata la Pirate Union di Napoli con il divieto di consegna di trasporto alimentare emanato dalla Regione Campania, tramite cui sono riusciti a bloccare le consegne take away (decisamente pericolose, con i riders costretti ad aspettare nel ristorante o subito fuori, a distanza ravvicinata e per ore a causa della necessaria riduzione di
personale). Eppure, come ci racconta Antonio Prisco della Pirate Union, la loro lotta non può dirsi conclusa, soprattutto perché i riders rimasti senza lavoro non hanno alcun sostegno economico né dallo Stato né dalle aziende.

Intanto anche le altre Unions italiane si stanno muovendo per un confronto con la Regione, con l’obiettivo di arrivare a sancire lo stesso divieto e fare un primo passo verso la tutela della salute del lavoratore. Deliverance Milano ha chiesto il blocco delle consegne, ma per ora l’unico provvedimento in materia della Regione Lombardia è una sentenza emanata per cui i riders rischiano fino a 5000€ di multa nel caso di assembramento davanti ai ristoranti. L’obiettivo finale delle Unions resta però quello di raggiungere una vera e propria modifica del contratto, che riconosca il rider come lavoratore subordinato.
Il coronavirus e la mancanza di risposte del decreto Cura Italia hanno solo posto l’attenzione su una problematicità già presente. Se i riders si trovano oggi in una condizione di totale mancanza di sicurezza e stabilità è a causa da una situazione di precarietà lavorativa precedente. Ciò che adesso sta emergendo è l’importanza della tutela per tutti i lavoratori, siano essi dipendenti o autonomi.

Si fa dunque necessario trovare una soluzione per far sì che anche i riders che hanno necessità di lavorare possano permettersi di essere protetti economicamente. In questo senso una via possibile potrebbe essere nell’articolo 44 del decreto, in cui si fa riferimento a un fondo di 300 milioni di euro che le Unions, in collaborazione con i sindacati confederali, chiedono di poter
spendere per i lavoratori occasionali, come spiega Deliverance Milano. In questo senso si muove anche la Pirate Union di Napoli, la quale però, come i collettivi di Rider non legati ad alcun sindacato, sostiene una misura di emergenza che si avvicina maggiormente a un reddito di quarantena. D’altronde, come ci dice A., “sushi e patatine non possono rappresentare un diritto,
mentre la salute e il reddito lo sono”.

 

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