Venerdì 2 Dicembre, Parigi. Oltre 100 tende vengono installate di fronte al Conseil d’État, a Place du Palais Royale. Qui hanno vissuto e dormito circa 300 ragazzi minorenni, rifugiati e migranti, che non hanno fissa dimora. Siamo in una delle piazze della capitale francese più frequentate sia da turisti che da parigini. Da un lato l’ingresso del Louvre, dall’altro il Consiglio di Stato di Francia. Le tende dei rifugiati al Consiglio di Stato rappresentano una protesta pacifica organizzata dalle ONG umanitarie Medici Senza Frontiere, Utopia 56, Timmy e Les Midis du Mie. La collocazione dell’evento di fronte all’istituzione che si pone come il “Garant du Droit” (Garante dei Diritti) è un atto simbolico, che serve a richiamare l’attenzione pubblica sulla crisi dell’accoglienza che colpisce la Francia.

Normalmente questi ragazzi sopravvivono, assieme a migliaia di altri richiedenti asilo, in tende sotto i ponti delle periferie parigine. La maggioranza si trova in questa condizione da oltre 6 mesi. Con le temperature che si avvicinano ai 0 gradi, il rischio di ipotermia rende la situazione estremamente precaria.
Al passante distratto che fa acquisti per le feste, le tende disposte ordinatamente e rivestite dalle coperte isotermiche dorate possono sembrare un’installazione natalizia, che ricorda impacchettamenti di regali e cioccolatini. Invece, avvicinandosi, si vedono gli sguardi dei ragazzi esausti, tristi e confusi che sbucano dalle aperture delle tende.
Al passante distratto che fa acquisti per le feste, le tende disposte ordinatamente e rivestite dalle coperte isotermiche dorate possono sembrare un’installazione natalizia, che ricorda impacchettamenti di regali e cioccolatini. Invece, avvicinandosi, si vedono gli sguardi dei ragazzi esausti, tristi e confusi che sbucano dalle aperture delle tende.

Come ci spiega Serena Colagrande, responsabile della comunicazione francese di Medici Senza Frontiere, nell’Île de France ci sono ben oltre 300 minorenni stranieri non accompagnati che vivono per le strade, al freddo, perché vittime di uno stallo legale.
Secondo la Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia, un testo giuridicamente vincolante, il minorenne ha diritto a essere tutelato e protetto. Di conseguenza, la Francia, così come l’Italia e tutti gli altri paesi UE, ha l’obbligo di fornire un rifugio di accoglienza ai minori non accompagnati che arrivano sul proprio territorio – che siano richiedenti asilo o meno.
Tuttavia, al momento dell’arrivo, questi ragazzi spesso non hanno modo di dimostrare la loro minore età. Le ragioni sono varie, ma comunemente il problema riguarda l’incompatibilità dei documenti forniti agli uffici di registrazione, o la loro assenza. Spesso viene chiesto ai minorenni di reperire un certificato di nascita, a loro carico.
Trovarlo è un processo tortuoso, come racconta a Scomodo Ayu (16 anni, in Francia da 5 mesi). «Sono venuto in Francia perché i miei genitori non ci sono più, e ho paura di contattare le autorità del mio Paese. Se non ci fosse stata l’ONG ad aiutarmi, da solo non avrei saputo cosa fare». Ayu è riuscito a farsi spedire il documento, ma tra un appuntamento con lo sportello d’immigrazione e l’altro passano lunghe settimane, se non mesi. In attesa del certificato, secondo la legge le autorità dovrebbero presumere la minore età del richiedente, fornendogli un rifugio dove sistemarsi temporaneamente. Invece, Ayu, come altre centinaia di ragazzi, non viene preso in considerazione e deve arrangiarsi senza assistenza.
Per combattere il freddo, alcuni giocano a pallone e altri ballano al ritmo di canzoni che cercano di scaldare il cuore prima che il corpo. Altrimenti, i ragazzi fanno a gara per cercare scatoloni di carta da appiattire sotto le tende in modo da isolarle dal freddo. I sacchi a pelo e le coperte vengono distribuite dalle ONG. Le numerose donazioni, per quanto generose, non sono sufficienti.
Al sesto e ultimo giorno della protesta, mercoledì 7 dicembre, 12 i ragazzi sono stati portati al pronto soccorso per malori legati all’ipotermia. Un gruppo di volontari controlla costantemente gli interni delle tende, una ad una, per verificare che non ci siano ragazzi svenuti, con problemi polmonari o principi di congelamento.
Secondo la Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia, un testo giuridicamente vincolante, il minorenne ha diritto a essere tutelato e protetto. Di conseguenza, la Francia, così come l’Italia e tutti gli altri paesi UE, ha l’obbligo di fornire un rifugio di accoglienza ai minori non accompagnati che arrivano sul proprio territorio – che siano richiedenti asilo o meno.
Tuttavia, al momento dell’arrivo, questi ragazzi spesso non hanno modo di dimostrare la loro minore età. Le ragioni sono varie, ma comunemente il problema riguarda l’incompatibilità dei documenti forniti agli uffici di registrazione, o la loro assenza. Spesso viene chiesto ai minorenni di reperire un certificato di nascita, a loro carico.
Trovarlo è un processo tortuoso, come racconta a Scomodo Ayu (16 anni, in Francia da 5 mesi). «Sono venuto in Francia perché i miei genitori non ci sono più, e ho paura di contattare le autorità del mio Paese. Se non ci fosse stata l’ONG ad aiutarmi, da solo non avrei saputo cosa fare». Ayu è riuscito a farsi spedire il documento, ma tra un appuntamento con lo sportello d’immigrazione e l’altro passano lunghe settimane, se non mesi. In attesa del certificato, secondo la legge le autorità dovrebbero presumere la minore età del richiedente, fornendogli un rifugio dove sistemarsi temporaneamente. Invece, Ayu, come altre centinaia di ragazzi, non viene preso in considerazione e deve arrangiarsi senza assistenza.
Per combattere il freddo, alcuni giocano a pallone e altri ballano al ritmo di canzoni che cercano di scaldare il cuore prima che il corpo. Altrimenti, i ragazzi fanno a gara per cercare scatoloni di carta da appiattire sotto le tende in modo da isolarle dal freddo. I sacchi a pelo e le coperte vengono distribuite dalle ONG. Le numerose donazioni, per quanto generose, non sono sufficienti.
Al sesto e ultimo giorno della protesta, mercoledì 7 dicembre, 12 i ragazzi sono stati portati al pronto soccorso per malori legati all’ipotermia. Un gruppo di volontari controlla costantemente gli interni delle tende, una ad una, per verificare che non ci siano ragazzi svenuti, con problemi polmonari o principi di congelamento.

Questi ragazzi hanno sofferto già molto, hanno già rischiato la morte e non hanno nemmeno 18 anni. Molti sono stati a lungo nei centri di detenzione libici, luoghi di annullamento dei diritti umani e dove la violenza è arbitraria e all’ordine del giorno.
Ce lo spiega Lamin, 16 anni, che ci racconta come la cicatrice che gli segna la guancia destra dall’occhio alla mascella sia stata causata dalla frustata di una guardia libica. Allora aveva 13 anni e la sua colpa era stata quella di proteggere un suo amico, che era stato aggredito. Mohammed, 15 anni, in Francia da 8 mesi, ci parla dei sogni che aveva dell’Europa prima di partire, che si sono infranti contro la realtà a cui non riesce a far fronte. «Sono cresciuto idealizzando la Francia e la lingua francese. Credevo veramente a quegli scrittori e politici che parlano della fraternità, dell’uguaglianza. Ora sono di fronte al Conseil d’État e non li vedo, non li sento». Al quinto giorno della manifestazione, nessun rappresentante dello Stato aveva ancora espresso alcuna opinione, né di solidarietà, né di denuncia, sulla situazione.
«Vorrei andare a scuola, studiare bene il francese e integrarmi con i ragazzi che hanno la mia età. Ma con ogni giorno che passa divento sempre più invisibile». Mohammed dorme in una tenda con altri due ragazzi che ha conosciuto il venerdì stesso. Tutti e tre ci dicono che i loro genitori non sanno niente della situazione.
Ce lo spiega Lamin, 16 anni, che ci racconta come la cicatrice che gli segna la guancia destra dall’occhio alla mascella sia stata causata dalla frustata di una guardia libica. Allora aveva 13 anni e la sua colpa era stata quella di proteggere un suo amico, che era stato aggredito. Mohammed, 15 anni, in Francia da 8 mesi, ci parla dei sogni che aveva dell’Europa prima di partire, che si sono infranti contro la realtà a cui non riesce a far fronte. «Sono cresciuto idealizzando la Francia e la lingua francese. Credevo veramente a quegli scrittori e politici che parlano della fraternità, dell’uguaglianza. Ora sono di fronte al Conseil d’État e non li vedo, non li sento». Al quinto giorno della manifestazione, nessun rappresentante dello Stato aveva ancora espresso alcuna opinione, né di solidarietà, né di denuncia, sulla situazione.
«Vorrei andare a scuola, studiare bene il francese e integrarmi con i ragazzi che hanno la mia età. Ma con ogni giorno che passa divento sempre più invisibile». Mohammed dorme in una tenda con altri due ragazzi che ha conosciuto il venerdì stesso. Tutti e tre ci dicono che i loro genitori non sanno niente della situazione.
La punta dell’iceberg
Dopo 5 notti insonni e 6 giorni passati al freddo, il tribunale amministrativo di Parigi ha ordinato alla prefettura regionale di assegnare un rifugio a tutti questi ragazzi minorenni non accompagnati. Crisi come questa, con centinaia di minorenni accampati davanti a un palazzo istituzionale a pochi metri dal Louvre, sono la punta dell’iceberg delle situazioni di marginalità dei migranti in Francia. Sono il prodotto delle politica migratoria macronista, che risponde a una pressione interna da parte delle destre, e esterna, dovuta alla crisi migratoria globale ed europea.
Martedì 6 dicembre, all’Assemblée Nationale si è tenuto un primo dibattito senza voto su una legge voluta dal ministro dell’interno Gérard Darmanin. L’ultimo testo in materia migratoria risale al 2018. Questa nuova legge, che Macron ha descritto come «umanitaria nella fermezza» in un’intervista a Le Parisien, ha come fulcro un incremento delle regolarizzazioni dei migranti e una stretta delle condizioni di rimpatrio, ovvero un’accelerazione dei procedimenti di espulsione e un inasprimento delle condizioni. «Vogliamo chi lavora, non chi rapina» ha dichiarato Darmanin in apertura al dibattito.
Il testo non è ancora stato presentato, ma la discussione è stata accesa e le polemiche si sono fatte sentire da destra e da sinistra. Dalle destre, Les Républicains (centrodestra) ma soprattutto il Rassemblement National di Marine Le Pen hanno protestato, trovando la legge troppo morbida e «immigrazionista», e chiamando sarcasticamente Darmanin «Ministro dell’esterno». La coalizione di sinistra Nupes (Nuova unione Popolare Ecologica e Sociale), invece, ha evidenziato l’ipocrisia della retorica governativa che dipinge il testo come «equilibrato».
Se ci sarà un inasprimento esplicito delle condizioni e dei tempi di rimpatrio, l’apertura sulle regolarizzazioni coinvolgerà solo settori in cui l’irregolarità dei lavoratori permette dinamiche al limite del contraddittorio: molti sans papiers (clandestini) a cui viene contestata la presenza sul territorio francese operano nel servizio pubblico, dai cantieri per le Olimpiadi di Parigi 2024 fino al settore ospedaliero.
La discussione del testo si terrà a gennaio, e il voto a marzo-aprile, mentre il 13 dicembre c’è stato un altro dibattito al Senato. La figura di Darmanin era già molto contestata per vari motivi: dalla gestione muscolare dell’ordine pubblico fino alle accuse di violenze sessuali, passando per la sua vicinanza ideologica all’estrema destra. Proprio difendendo la nuova legge sull’immigrazione in un talk show, il ministro ha citato una frase di Jacques Bainvilles, storico antisemita dell’Action Française, importante organizzazione dell’estrema destra monarchica nata nel 1899. L’atmosfera è tesa all’Esagono, particolarmente tra i banchi del parlamento.
A novembre, durante la crisi Ocean Viking il deputato Grégoire de Fournas del gruppo RN ha rivolto insulti razzisti («Qu’ils retournent en Afrique!») a Carlos Martens Bilongo, deputato nero della France Insoumise, suscitando grande polemica e causando la sospensione del parlamentare lepenista.
Parallelamente alla legge Darmanin sull’immigrazione, la maggioranza, con l’appoggio delle destre d’opposizione, sta lavorando a una legge contro le occupazioni abusive, che coinvolge anche gli affittuari morosi. Il provvedimento colpisce soprattutto i sans-papiers: le pene saranno triplicate, fino a 3 anni di carcere e 45.000 euro di sanzioni.
Lo strumento principale del rimpatrio, al centro del progetto legislativo sui migranti del ministro Darmanin, sono i CRA (Centre de rétention administrative), centri di detenzione amministrativa, analoghi dei CPR italiani. Questi centri si occupano della detenzione previa espulsione degli immigrati clandestini, ai quali viene contestata la mancanza del permesso di soggiorno o, se regolari, l’aver commesso reati. In questi casi scatta l’obbligo di lasciare il territorio francese, dopo il vaglio del Giudice di Libertà e Detenzione, che valuta i termini dell’espulsione, gestiti dalla polizia nazionale. In teoria il tempo massimo di detenzione è di 90 giorni, ma i detenuti cercano di prolungarla il più possibile. Secondo il collettivo à bas les CRA, i centri contengono 50.000 persone in tutto l’Esagono, mentre secondo un report dell’associazione France terre d’asile, e altre come la Cimade, più di 42.000 nel 2021. I centri sono 25 in tutto il territorio francese (contro 10 CPR italiani) e i più grandi sono quelli di Mesnil-Amelot e di Vincennes nel l’Ile de France.
Martedì 6 dicembre, all’Assemblée Nationale si è tenuto un primo dibattito senza voto su una legge voluta dal ministro dell’interno Gérard Darmanin. L’ultimo testo in materia migratoria risale al 2018. Questa nuova legge, che Macron ha descritto come «umanitaria nella fermezza» in un’intervista a Le Parisien, ha come fulcro un incremento delle regolarizzazioni dei migranti e una stretta delle condizioni di rimpatrio, ovvero un’accelerazione dei procedimenti di espulsione e un inasprimento delle condizioni. «Vogliamo chi lavora, non chi rapina» ha dichiarato Darmanin in apertura al dibattito.
Il testo non è ancora stato presentato, ma la discussione è stata accesa e le polemiche si sono fatte sentire da destra e da sinistra. Dalle destre, Les Républicains (centrodestra) ma soprattutto il Rassemblement National di Marine Le Pen hanno protestato, trovando la legge troppo morbida e «immigrazionista», e chiamando sarcasticamente Darmanin «Ministro dell’esterno». La coalizione di sinistra Nupes (Nuova unione Popolare Ecologica e Sociale), invece, ha evidenziato l’ipocrisia della retorica governativa che dipinge il testo come «equilibrato».
Se ci sarà un inasprimento esplicito delle condizioni e dei tempi di rimpatrio, l’apertura sulle regolarizzazioni coinvolgerà solo settori in cui l’irregolarità dei lavoratori permette dinamiche al limite del contraddittorio: molti sans papiers (clandestini) a cui viene contestata la presenza sul territorio francese operano nel servizio pubblico, dai cantieri per le Olimpiadi di Parigi 2024 fino al settore ospedaliero.
La discussione del testo si terrà a gennaio, e il voto a marzo-aprile, mentre il 13 dicembre c’è stato un altro dibattito al Senato. La figura di Darmanin era già molto contestata per vari motivi: dalla gestione muscolare dell’ordine pubblico fino alle accuse di violenze sessuali, passando per la sua vicinanza ideologica all’estrema destra. Proprio difendendo la nuova legge sull’immigrazione in un talk show, il ministro ha citato una frase di Jacques Bainvilles, storico antisemita dell’Action Française, importante organizzazione dell’estrema destra monarchica nata nel 1899. L’atmosfera è tesa all’Esagono, particolarmente tra i banchi del parlamento.
A novembre, durante la crisi Ocean Viking il deputato Grégoire de Fournas del gruppo RN ha rivolto insulti razzisti («Qu’ils retournent en Afrique!») a Carlos Martens Bilongo, deputato nero della France Insoumise, suscitando grande polemica e causando la sospensione del parlamentare lepenista.
Parallelamente alla legge Darmanin sull’immigrazione, la maggioranza, con l’appoggio delle destre d’opposizione, sta lavorando a una legge contro le occupazioni abusive, che coinvolge anche gli affittuari morosi. Il provvedimento colpisce soprattutto i sans-papiers: le pene saranno triplicate, fino a 3 anni di carcere e 45.000 euro di sanzioni.
Lo strumento principale del rimpatrio, al centro del progetto legislativo sui migranti del ministro Darmanin, sono i CRA (Centre de rétention administrative), centri di detenzione amministrativa, analoghi dei CPR italiani. Questi centri si occupano della detenzione previa espulsione degli immigrati clandestini, ai quali viene contestata la mancanza del permesso di soggiorno o, se regolari, l’aver commesso reati. In questi casi scatta l’obbligo di lasciare il territorio francese, dopo il vaglio del Giudice di Libertà e Detenzione, che valuta i termini dell’espulsione, gestiti dalla polizia nazionale. In teoria il tempo massimo di detenzione è di 90 giorni, ma i detenuti cercano di prolungarla il più possibile. Secondo il collettivo à bas les CRA, i centri contengono 50.000 persone in tutto l’Esagono, mentre secondo un report dell’associazione France terre d’asile, e altre come la Cimade, più di 42.000 nel 2021. I centri sono 25 in tutto il territorio francese (contro 10 CPR italiani) e i più grandi sono quelli di Mesnil-Amelot e di Vincennes nel l’Ile de France.
Sulla carta gli internati hanno diritto a medici, a avvocati e comunicazione con l’esterno. Nei fatti, a dire dei detenuti e dalle associazioni di solidarietà, no. In buona parte hanno problemi col francese, i medici passano sporadicamente per ogni centro, le condizioni igieniche sono deprecabili. Il tutto nella violenza e nel razzismo diffusi da parte della polizia, attenendosi alle dichiarazioni dei detenuti raccolte e diffuse da collettivi e associazioni. I colloqui tra esterni e detenuti, più o meno come in carcere, sono aperti e consentiti con appuntamento. Abbiamo parlato con due di loro, Moussa e Karim. Nel CRA di Vincennes, a una ventina di minuti dalla Parigi turistica, nella stanza dei colloqui, Moussa spiega che è preoccupato per il rimpatrio imminente. Deve essere rimpatriato in Mauritania tra due giorni, ma proverà a non farsi portare in aeroporto, rifiutandosi di sottomettersi al test COVID obbligatorio. Frequenti, raccontano Moussa e Karim, i voli nascosti: i rimpatri a sorpresa che i detenuti qualificano come “rapimenti” prima dell’alba. Un membro del collettivo à bas les CRA spiega che il numero e la frequenza dei rimpatri dipende dalla congiuntura internazionale e dalle esigenze diplomatiche del governo francese. Karim, invece, è in Francia da quando ha sei mesi ma non ha la cittadinanza. Maliano, 44 anni, è stato internato nel CRA di Vincennes perché sorpreso mentre vendeva abusivamente frutta e sigarette di contrabbando per strada. E così gli è stato ritirato il permesso di soggiorno. Provvedimenti simili verso persone residenti in Francia da così a lungo sono presentati come estremamente rari dalla legislazione francese, ancor di più per stranieri con famiglia. Ma in caso di recidiva, come per Karim, scatta l’obbligo di espulsione. Karim lunedì 4 dicembre è stato prelevato dalla sua cella alle 4 e mezza del mattino e portato all’aeroporto Charles de Gaulle per essere rimpatriato. Visto che ha dichiarato di non essere ancora stato sottoposto al riesame del Giudice di Libertà e Detenzione (Juge de Liberté et Rétention) fissato per venerdì 9 dicembre, è riuscito a prolungare la permanenza nel CRA. Per comunicare con l’esterno gli vengono dati smartphone con la fotocamera rotta. Possono telefonare, ma dicono che gli è vietato fare foto perché non denuncino le condizioni di detenzione. Per quanto riguarda la situazione sanitaria, invece, i due raccontano che i detenuti spesso commettono atti di autolesionismo estremo per posticipare il rimpatrio (ingoiano lame, viti ecc.). Lo stato critico della salute psichica dei detenuti porta anche a numerosi tentativi di suicidio: «vogliono ucciderci mentalmente» dice Moussa. Spesso, spiegano, il personale medico omette assistenza per evitare prolungamenti illeciti: «sono complici delle guardie», dicono. Per quanto riguarda i rapporti con i carcerieri, oltre alle provocazioni e agli insulti razzisti, denunciano un clima di violenza generale. La crisi migratoria, come è chiaro dalla protesta davanti al Consiglio di Stato, è fortemente legata alla questione abitativa. Il collettivo La chapelle debout quest’estate ha occupato un edificio pubblico nel X arrondissement (pieno centro turistico), palazzo che è stato rinominato rinominato “L’ambassade des immigré.es” per alloggiare un centinaio di immigrati, spesso irregolari e tutti senza fissa dimora, tra cui bambini e donne incinta, chiedendo alloggi e regolarizzazioni. Secondo il Samu di Parigi, servizio municipale di assistenza alle emergenze umanitarie, questo autunno erano 6.300 gli stranieri senza alloggio in Francia, di cui il 30% minori, ma i dati sono parziali e nel mondo dell’attivismo non istituzionale si è certi di numeri molto più alti. Il collettivo La chapelle debout ha ottenuto un tavolo con la sindaca di Parigi Anne Hidalgo a ottobre, solo dopo aver occupato il cortile dell’Hotel de Ville. L’amministrazione comunale ha trovato un collocamento agli immigrati senza alloggio. I militanti e gli attivisti bocciano la legge Darmanin, muovendo in parte le stesse critiche della Nupes. Il testo non è stato ancora scritto, si conoscono solo le linee generali. Il governo con questo provvedimento risponde alle congiunture internazionali e alle pressioni dell’estrema destra. Il fatto che sarebbe una legge “umanitaria” si basa sul criterio del lavoro, ma gli immigrati irregolari che lavorano in Francia spesso lo fanno in nero e in situazioni di sfruttamento estremo, condizioni di marginalità in cui la regolarità è molto rara. Il governo è ipocrita a parlare di solidarietà, spiegano membri di à bas les cra. Macron sta lasciando campo libero all’ala destra del governo rappresentata da Darmanin, che ammicca a Les Républicains e al Rassemblement National. E le condizioni disumane dei CRA, non-luoghi sconosciuti all’opinione pubblica, isolati dall’esterno, non faranno che peggiorare, secondo il mondo dell’associazionismo solidale francese, che il 18 dicembre, giornata internazionale dei migranti è sceso in piazza in tutto il paese per la manifestazione “Contro Darmanin e il suo mondo”, contestando la nuova proposta di legge e il suo ispiratore Gérard Darmanin.
Foto di Lorenzo Levi
Foto di Lorenzo Levi