CORPI E SESSUALITÀ
Nel sistema sociale in cui tutto è subordinato alla produzione, la riappropriazione del proprio corpo, dell’uso che ne facciamo e del piacere che sentiamo, diventa il primo gesto rivoluzionario da compiere. Il clubbing diventa l’occasione per riscoprirsi e imparare ad ascoltarsi. Come ci suggerisce la docente universitaria Caterina Tomeo, la natura della festa è nella jouissance e nel carpe diem, ovvero in ciò che Octavio Paz chiama “esaltazione dei valori orgiastici”, quei momenti dionisiaci in cui si esprimono le sensazioni, le emozioni e le passioni suscitate dall’istante. «Sia che si considerino i Baccanali – i primi movimenti di protesta a Roma nel II secolo d. C – sia che si esaminino i primi rave party – le feste con musica elettronica nella Manchester degli anni Ottanta – si può osservare come la peculiarità di entrambi i fenomeni fosse proprio nella stessa forma di possessione rituale e di trascendenza, raggiunta attraverso ritmo totalizzante della musica». La festa diventa un momento di deragliamento dalle regole dell’ordine costituito ed esaudisce la promessa della consapevolezza ritrovata: si attua su questo sfondo di danza sfrenata, luci al neon e musica martellante, la riappropriazione della propria identità corporea e sessuale, una nuova presa di consapevolezza: io sento, dunque sono.


È qui che anche chi non ha un corpo conforme al canone bianco cis-etero, sempre stato escluso e marginalizzato all’interno della nostra società occidentale, si riscopre. Il bisogno di uno spazio dove non solo poter mostrare i propri corpi senza paure, ma anche dove poterli celebrare, è alla base della nascita della Ballroom community. Crystal LaBeija, drag queen afrodiscendente e donna transgender, stufa della costanti discriminazioni subite anche all’interno della stessa comunità LGBTQ+, fonda negli anni ‘60 a New York la House of LaBeija, dando forma alla Ballroom Scene come la conosciamo oggi. Durante gli anni ‘70 e ‘80, nelle ball, persone queer Afro e Latino Americane competevano tra di loro in categorie come Face, Runway, Performance e Executive Realness, ovvero il cercare di passare il più possibile per l’archetipo dell’uomo e della donna etero in carriera, pieni di soldi e a capo di grosse aziende. Un modo per avvicinarsi alle realtà che la società gli precludeva: nella Ballroom, anche se solo per una notte, puoi essere chiunque tu voglia.
Con gli anni le categorie sono aumentate e cambiate, ma anche nelle ball contemporanee si compete nelle categorie Realness. Per le persone transgender categorie come Transmale Realness o Femme Queen Realness continuano a essere spazi dove poter celebrare i propri corpi e affermare la propria identità di genere. Per conoscere meglio questa realtà siamo stati al Milan is Burning. Come ci racconta l’organizzatrice dell’evento, La B. Fujiko, non si tratta di una vera e propria ball. Si ispira ad alcune realtà newyorkesi come Vogue Knights e OTA: l’idea è quella di creare un’occasione di ritrovo per le persone della comunità Ballroom, per poter ballare e competere, ma con un livello agonistico molto inferiore rispetto a una ball. Per citare l’organizzatrice dell’evento, La B. Fujiko, «non si vince un cazzo, si vince un drink». L’obiettivo è quello di creare, oltre che un momento di ritrovo, un’occasione di training per chi è nuovo e vuole approcciare alla Ballroom. È un segnale che parte già dal prezzo del biglietto, più accessibile rispetto agli standard di Milano, ma pensati da B. Fujiko per poter permettere a tutte e tutti di partecipare alla serata. Realtà come queste sono l’esempio lampante di momenti di aggregazione notturna che – tra musica e movimenti – permettono non solo di imparare a divertirsi, ma soprattutto di conoscersi e esprimere la propria sessualità.






