Ex oleificio

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Sul panorama della vecchia Roma industriale del quadrante sud, all’altezza del viadotto della Magliana, si staglia il colosso bruno dell’ex oleificio. Lo stabile, oramai abbandonato, fino a poco più di trent’anni fa era adibito alla produzione meccanica di olio di semi e di soia. Poco distante sorgeva un ulteriore edificio che si occupava del trattamento degli scarti alimentari, quali grasso animale, ossa e frattaglie. L’azienda, fiorente fino a quasi tutta la seconda metà del secolo scorso, si occupava di ricevere la materia prima, di chiarificarla e poi di lasciarla decantare. Per gestire una lavorazione tanto eterogenea, il complesso era organizzato su vari livelli; le dimensioni dell’intero stabile, infatti, non sono certo trascurabili: ben 20.000 metri quadri. Una volta chiuso, è stato vittima della sorte che spesso grava sugli edifici in disuso della capitale, sia pubblici che privati: trasformatosi nell’ennesimo monumento all’incuria, è diventato una discarica a cielo aperto. Nel 2007 Polizia e Carabinieri hanno sgomberato la zona che in quel momento era occupata da più di trecento persone. Ma come testimoniò all’epoca dei fatti il consigliere comunale Augusto Santori (Alleanza Nazionale), “dopo lo sgombero dell’Ex Oleificio di Borgata Petrelli, i nomadi stanziati in via dell’Imbarco alla Magliana Vecchia, sotto il cavalcavia della Roma-Fiumicino, hanno raggiunto quota 1500 unità. Quindi l’emergenza sociale si è spostata di soli pochi metri”. Gli abitanti del quartiere avevano addirittura richiesto l’abbattimento dello stabile per evitare il ripresentarsi di occupanti abusivi, in un clima di tensione sociale molto teso. In una delle numerose ricognizioni sul posto, sono state rinvenute anche molteplici guaine di cavi elettrici. In un articolo del “Diario romano”, viene suggerito che potessero appartenere alla refurtiva delle bande criminali che nel 2015 si appropriarono del rame sulla Roma-Fiumicino, danneggiando l’illuminazione stradale. Non ci sono fonti ulteriori che confermano questa ipotesi.

 

Una riqualifica mancata

La bonifica del luogo risale al 2007 insieme allo sgombero ma, da quel momento in poi, la situazione dello stabile è rimasta stagnante nella sua trascuratezza. Nel caso di ex impianti industriali, risanare l’area è un’azione fondamentale ed urgente. I rifiuti tossici potrebbero danneggiare gravemente le condizioni del terreno e delle falde acquifere: basti pensare alle ingenti quantità di amianto spesso rinvenute durante questo tipo di procedura. In Italia si tratta di un’operazione tassativa ai sensi degli articoli 239 e seguenti del “Codice Ambientale”. Secondo quanto viene scritto in un post su Facebook pubblicato nel settembre del 2016 dal comitato “Magliana Viva”, il proprietario dello stabile aveva presentato intorno al 2006 una proposta di riqualificazione commerciale della zona, poi decaduta per la non fattibilità del progetto. Non esistono informazioni su chi sia il proprietario, la redazione ha tentato di contattare sia il Municipio XI che la stessa associazione “Magliana Viva”, senza ottenere risposta.

Una possibilità di dare nuova vita allo stabile si sarebbe potuta aprire nel 2018, quando la consigliera comunale Cristina Grancio presentò in Campidoglio una delibera ispirata alle iniziative avviate positivamente nel resto d’Italia (vedi Scomodo n.16, “La città inamministrabile II: la battaglia pubblica”). In particolare, si voleva fare riferimento alla città di Napoli che, negli ultimi anni, ha saputo vincere diverse battaglie contro l’abbandono e la decadenza di strutture che, se tutelate in maniera opportuna, potrebbero rappresentare una risorsa preziosa per la città. Proprio per questo motivo, il primo cittadino partenopeo, Luigi De Magistris, si era presentato a favore dell’iniziativa della Grancio, affiancandola nel progetto. La delibera avrebbe concesso al sindaco i mezzi per poter intervenire sulle proprietà fatiscenti quando queste si ritrovano a mancare degli interventi di manutenzione ordinaria. In caso di inadempienza, la delibera prevedeva che la cura fosse attribuita ai servizi pubblici a livello locale. L’attuazione di questo programma era prevista per immobili il cui stato di abbandono fosse stato accertato da almeno cinque anni e avrebbe potuto prendere in considerazione oltre 440 aree, i cosiddetti “orribili non luoghi di Roma”.  La proposta però è finita nel dimenticatoio, contrariamente a ciò che è accaduto a Napoli, dove la giunta partenopea ha aderito alla delibera. Nonostante il grande trambusto di due anni fa, al momento i due ettari occupati dalla proprietà sono abbandonati a loro stessi. Il 9 luglio 2019 la struttura è andata in fiamme, allarmando non poco gli abitanti della borgata Petrelli.  Ma negli ultimi anni l’ex oleificio ha cominciato letteralmente a riprendere colore. Il luogo, spazioso e lontano dal centro, ha tutte le caratteristiche necessarie per attirare moltissimi giovani writers che hanno visto in questo stabile inselvatichito una nuova meta. Scritte, tag e colori animano le pareti e i soffitti dell’edificio, quelle stesse pareti che per anni erano state considerate morte e oramai perdute. Le leggende che pesano sui luoghi abbandonati della capitale relative al traffico di droga e alla malavita hanno un evidente fondo di verità, ma al momento ciò che maggiormente imperversa fra i desolati corridoi dell’ex oleificio, è in realtà una comunità di giovani artisti di ogni estrazione sociale, alcuni dei quali sfruttano la decadenza colorata di questo mostro urbano come sfondo e protagonista dei loro book fotografici. Sfortunatamente però, questa realtà creativa e spontanea, non è la sola che anima ciò che resta dell’oleificio. Il punto della riqualificazione di questo tipo di aree è finalizzato proprio ad evitare l’insorgere delle attività criminali che, a ondate più o meno pesanti, si presentano e ripresentano sul suolo romano.

Roma bifronte

In un’ottica propria di società occidentali sempre più sviluppate e meno dipendenti dal settore industriale, trovare un nuovo destino per l’archeologia industriale è un processo inevitabile e necessario che la maggior parte delle città europee ha già intrapreso, spesso con successo. A Roma, una tendenza in questo senso è presente ma si fa portatrice di numerose contraddizioni. Da un lato il caso dell’oleificio non è isolato: sempre nella stessa zona esistono numerosi complessi industriali abbandonati, tra cui anche l’ex tipografia Buffetti, in mezzo ad una polemica a causa della possibile presenza di amianto.

Dall’altro, in maniera quasi antitetica, a poca distanza esistono esempi virtuosi, come il museo nella Centrale Montemartini o molti degli edifici dell’università di RomaTre. A conti fatti, Roma si trova a essere combattuta tra l’impulso di una rinascita post-industriale possibile e sussistente e quello di un’immobilità corrosiva che, tuttora, la contraddistingue e le rema contro.

La delibera avrebbe concesso al sindaco i mezzi per poter intervenire sulle proprietà fatiscenti quando queste si ritrovano a mancare degli interventi di manutenzione ordinaria.

Roma si trova a essere combattuta tra l’impulso di una rinascita post-industriale possibile e sussistente e quello di un’immobilità corrosiva che, tuttora, la contraddistingue e le rema contro.

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