L’epoca della crisi climatica è iniziata. È sempre più faticoso contrastare argomentazioni che tendono a inibire le azioni per limitare i danni di questo fenomeno immane e globale. Secondo uno schema già visto in pandemia si sovrappongono tesi negazioniste, complottiste o anche solo riduzioniste comunque volte a ridimensionare un fenomeno.
In un momento storico è normale, ci insegna il noto filosofo Foucault, che su un determinato tema si intreccino diversi “discorsi” intesi come sintesi della produzione culturale su un certo argomento. L’elaborazione dunque, di un efficace discorso che parli dell’ambiente e per l’ambiente non può prescindere il fattore cultura.
Il concetto di ecologia, non risponde solo una branca del sapere, ma è una vera e propria struttura di senso costituita sia da dati scientifici che da rappresentazioni letterarie, artistiche, cinematografiche; tutte in grado di entrare nella nostra vita comune e generare immaginari collettivi. La stessa idea di “ambiente” si è evoluta nel tempo grazie alle arti sviluppando temi ricorrenti, dall’evasione all’idealizzazione della natura fino alle più recenti questioni sulla sua conservazione.
La cultura, dunque, proprio attraverso le storie, i personaggi, le poesie e le raffigurazioni, può essere un mezzo utile per capire quanto la crisi ecologica ci riguardi e possa incidere sulle nostre vite.
Immaginare cattedrali: l’ecologia letteraria.
“Se si insegnasse la bellezza alla gente la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione e la paura” con questa frase di Peppino Impastato potremmo riassumere il senso attuale del (ri)scoprire i rapporti fra ecologia e letteratura.
La natura è sempre entrata nel mondo della parola scritta in diversi modi: ora come luogo solitario dove riscoprire la propria autenticità, ora come avversaria da sfidare, la famosa Matrigna.
È solo dopo la fine della Seconda guerra mondiale – quando l’illusione della tecnologia come mezzo per raggiungere il progresso umano si infrange di fronte agli orrori della distruzione di massa – che emerge il tema centrale della salvaguardia degli ecosistemi. Proprio dall’analisi delle opere in questa prospettiva alla fine degli anni ‘70 nasce da alcuni critici letterari inglesi la cosiddetta Eco-critica o Greencritic, volta a dimostrare come il discorso ecologico sia sempre ricorso a costruzioni letterarie e narrative, diversi autori sono stati portati dallo sviluppo delle scienze climatiche e dall’emergente degrado ambientale, a interrogarsi in senso critico sul rapporto fra uomo e natura.
Anche il panorama culturale italiano presenta figure – anche tra i grandi nomi della nostra letteratura – che si sono confrontate con la dimensione ambientale applicando anche uno sguardo che oggi diremmo ecologista. A partire dal secondo dopoguerra infatti, quando il degrado degli habitat naturali diventa sempre più evidente, diversi scrittori si fecero portavoce di una critica a quel modello economico-sociale che aveva reso possibili simili scempi.
Basti pensare a Pierpaolo Pasolini: autore che ha fatto della feroce critica al consumismo uno dei suoi temi principali. Nel racconto “La scomparsa delle Lucciole” utilizza una metafora ecologica, appunto la sparizione dovuta all’inquinamento di questi romantici insetti, per denunciare non solo un modello di sviluppo alienante sia per la natura che per l’uomo, ma soprattutto l’assenza di valori che lo alimenta.
Sull’allontanamento fra l’essere umano e la natura ritorna un altro importante scrittore, Italo Calvino. Nei suoi “Racconti” i temi ambientali tornano spesso: storie come “La nuvola di smog” o “La speculazione edilizia” indagano il nostro rapporto alienato con gli habitat, ristretto alla sola dimensione urbana. Calvino non si limita a descrivere la realtà delle cose, ma la trasfigura e la riutilizza anche nei suoi mondi immaginari, come avviene ne “Le Città invisibili”. Nel libro la città di Leonia sommersa dalla sua mole di rifiuti diviene un monito distopico al culto dell’usa e getta.
Tra gli autori che possono essere inseriti in questo filone ci sono i fautori di un ambientalismo letterario che potremmo definire “alpino” poiché strettamente collegata all’esperienza della montagna protagonista stessa delle opere intrecciate alle vicende umane. Autori come Alexander Langer e Mario Rigoni Stern oltre alle tematiche della tutela e salvaguardia della natura, si pongono come costruttori di uno stile di vita “lento” oggi diremmo sostenibile. Un genere attuale che forse per questo ha prodotto ancora di recente il successo di Paolo Cognetti “Le otto montagne” e altri delicati capolavori come “La manutenzione dei sensi” di Franco Faggiani.
Una nuova etica a cui ha contribuito anche la poesia. Potenti e quasi profetici risultano i “Versetti quasi ecologici” del poeta ligure Giorgio Caproni dove in una prospettiva radicale, è immaginata l’ipotetica bellezza di un mondo senza la razza umana. Un monito all’avidità e al degrado dei sentimenti che accompagna quello degli ecosistemi se è vero che “l’amore finisce quando muore l’erba”.
Se la scrittura può trovare spunti di riflessione nell’ecologia, anche questa può trovare nella letteratura un valido strumento di divulgazione. Importante è la figura dei saggi “narrativi” veri capolavori di informazione scientifica come “Primavera Silenziosa” di Racheal Carson o “Gli anelli di Saturno” di Seabald.
Nel suo spettacolo “La fabbrica del Mondo” l’attore Marco Paolini ha imputato l’apparente passività con cui reagiamo alla crisi in corso a una mancanza da parte dei divulgatori di far vedere chiaramente le alternative “la cattedrale”, Che si deve costruire per cambiare. Ebbene forse nelle mani di educatori le ibridazioni fra letteratura ed ecologia possono essere lo strumento per riuscire a immaginarla.
Ecopedagogia: se Dora l’esploratrice non basta
«Non ci sono più i campi di fragole e i boschetti di arance, scrive Greta Gaard in un suo articolo.
Scrittrice, attivista e regista di documentari, dice di far parte degli «artisti del cambiamento sociale»: in altri termini, ricercatori e ricercatrici, ma anche insegnanti, scrittori e scrittrici uniti nell’impegno per l’ecopedagogia, l’ambientalismo applicato all’istruzione.
Il concetto è meno recente di quello che si potrebbe pensare. L’ecopedagogia nasce dallo sviluppo dell’ecocritica, lo studio delle relazioni tra letteratura e ambiente condotto da una comunità di ricercatori prevalentemente bianchi, di classe media ed eterosessuali. Di fronte alle critiche mosse nei confronti di una concezione dell’ambientalismo di fatto monopolizzata, l’ecocritica inizia ad abbracciare prospettive femministe, offrendo una visione in parallelo tra ingiustizia sociale – composta non solo da sessismo ma anche razzismo, colonialismo, abilismo e altro – e aggressione alla natura da parte della cultura occidentale. Questa interconnessione, presentata sin dal secolo scorso attraverso la letteratura, opere artistiche e azioni dimostrative, ha come obiettivo l’orientamento verso un’equità sociale che ricalchi un modello di ambientalismo libero dalla radicata dialettica oppressore-oppresso. Ma gli ecocritici si rendono presto conto che la letteratura per adulti non basta: è così che dagli anni novanta i libri illustrati per bambini iniziano a cambiare.
È la nascita dell’ecopedagogia.
L’ecopedagogia si distingue dall’educazione ambientale più comune su un’osservazione di base: è impossibile crescere per sempre. Il cosiddetto “sviluppo sostenibile” non esiste, perché supporta un’idea di per sé insostenibile, che è quello della crescita economica infinita.
Da qui la necessità di focalizzare l’attenzione sulla giustizia sociale. Da un’alfabetizzazione ambientale di base l’ecopedagogia sviluppa la critica degli effetti antiecologici del capitalismo industriale e della cultura di classe dominante, la stessa che pone al primo posto l’essere umano relegando tutto in secondo piano. E il femminismo ne è uno strumento essenziale. Come ciò si traduca in atti pratici lo dimostra il piccolo libro “The Giving Tree”, dove un bambino chiede al suo albero un’altalena, poi sempre di più fino a che non rimane più nulla. Nella rappresentazione di un rapporto dispotico tra uomo e natura, l’albero non è che la madre sopraffatta da una cultura etero-patriarcale.
L’essenza della letteratura ecopedagogica si coglie nella ricerca di un metodo: no all’allarmismo e al sentimentalismo, sì alla strategia. Piccole dimostrazioni pratiche e illustrate atte a dimostrare che alla distruzione esistono alternative più realistiche di Dora l’esploratrice. I racconti si offrono – oltre all’intrattenimento – come manuali d’istruzione per una visione dell’ambiente non più quale realtà distinta e venerabile, ma come parte integrante di un sistema di cui tutte le componenti interagiscono come eguali, e che solo grazie a questo presupposto può davvero funzionare.
Non è inverosimile pensare che una storia raccontata poco prima di andare a letto possa contribuire a tutto questo. «Facciamolo adesso», sono le parole di Gaard in conclusione del suo articolo. Incitazione giustificata dalla consapevolezza, tra l’altro, che “adesso” potrebbe essere davvero l’ultima occasione possibile.
Rifare una foresta: ecoarte e land art
Tra il 1992 e il 1996 11.000 persone hanno piantato 11.000 alberi su una collina artificiale costruita a Ylöjärvi, Finlandia. Il sito su cui è sorta prima la collina e poi una foresta era stato quello di una miniera, a quel punto in disuso. La foresta è il risultato dell’opera “Tree Mountain—A Living Time Capsule—11,000 Trees, 11,000 People, 400 Years” dell’artista Agnes Denes. Il progetto è stato presentato all’Earth Summit di Rio 1992 ed è stato finanziato dalle Nazioni Unite e dal governo finlandese, misura 420 metri di lunghezza, 270 di larghezza e 38 di altezza. L’opera è stata realizzata da 11.000 volontari provenienti da diversi paesi, ognuno di loro è ora proprietario dell’albero che ha piantato e i suoi eredi continueranno a possederlo per 400 anni.
L’opera di Agnes Denes cerca di porre rimedio agli effetti della presenza umana sul territorio – la miniera aveva danneggiato l’ambiente circostante – mentre ricrea un rapporto uomo-natura.
La foresta di Denes si posiziona nell’ambito dell’arte ambientale, all’intersezione tra arte ecologica e land art. L’arte ambientale è tutta l’arte che si confronta con il concetto di natura, a partire dai paesaggisti fino alle installazioni in aree naturali, mentre la “land art” include opere che modificano in qualche modo un ambiente naturale o un paesaggio. L’arte ecologica è arte che prova a preservare e rivitalizzare forme di vita, risorse e l’ecologia terrestre, sia attraverso gesti concreti come l’opera di Agnes Denes sia attraverso la sensibilizzazione.

Non tutte le opere di land art hanno un sottotesto ecologista. L’opera “Doppio Negativo” di Michael Hezier, che consiste di una lunga fossa artificiale profonda 15 metri, è stata criticata per il suo intervento antropico sul paesaggio. Nonostante alcuni artisti, come Nancy Holt, abbiano sostenuto che la land art potesse rinforzare il rapporto uomo-natura, altri ne hanno criticato l’approccio utilitaristico. La ricercatrice Estelle Zhong ha fatto notare come il tema principale della maggior parte delle opere del filone “fosse la tensione tra la capacità umana di trasformare la materia e l’indifferenza di quella materia rispetto alle trasformazioni umane”. Lavorare in un paesaggio naturale non significa necessariamente trattarlo con rispetto e cercare di rimediare al rapporto uomo-natura per come è strutturato in questo momento, cioè principalmente come rapporto di sfruttamento delle risorse naturali.
Estelle Zhong identifica la crisi ecologica come una crisi di sensibilità, la cui origine si trova nella reificazione della natura. Il termine reificazione indica il trattare un concetto astratto alla stregua di una cosa materiale, qui è usato per indicare la trasformazione della natura in un insieme di risorse materiali che possono essere utilizzate con uno scopo produttivo. La ricercatrice ha anche fatto una distinzione basata sugli effetti dell’opera d’arte su un individuo o una comunità: alcune opere d’arte creano coscienza di un problema, altre riescono invece a ricostruire il rapporto di una comunità umana con il paesaggio circostante.

Un esempio di questo secondo genere è il complesso di sculture Leonhardt Lagoon di Patricia Johanson, l’artista aveva avuto il compito di riabilitare il lago di un parco di Dallas nel 1985. Le sculture erano state studiate perché potessero fare da microhabitat per la fauna locale, che aveva quasi abbandonato l’area, e allo stesso tempo attirare la popolazione della città. Ad oggi, il lago è un ecosistema funzionante, di nuovo abitato da piante e animali e visitato dalla popolazione umana.

“Avanguardie Verdi”, progetto nato in Italia nel 2022, punta a risolvere quel problema di sensibilità identificato da Estelle Zhong attraverso il linguaggio universale dell’arte. L’obiettivo è di supportare artisti e artigiani con una visione che supporti “un futuro ecologicamente, socialmente ed economicamente sostenibile”. Il primo obiettivo che il progetto si da nel suo manifesto è la rivalutazione della materia organica e inorganica, al di là del suo valore funzionale. “Avanguardie Verdi” punta a invertire il processo di reificazione, facendoci guardare alla natura non come a una risorsa che acquisisce valore quando viene sfruttata ma come a un’entità con un valore intrinseco. Un esempio è “Origine” di Raffaele Vitto, uno dei pezzi esposti nella mostra organizzata da Avanguardie Verdi nell’autunno del 2022. L’opera è costituita da una zolla di terra con una fessura che ricorda una vulva e mette in luce il nostro rapporto disequilibrato con la natura: nonostante essa sia l’origine di noi e della vita, l’abbiamo ridotta a merce.
Il modo in cui un concetto è raccontato influenza il modo in cui ci relazioniamo a quel concetto nella realtà. In questo senso, le narrazioni di ogni tipo posseggono un potenziale straordinario.
Nel contesto del rapporto uomo-natura, le narrazioni possono essere il mezzo per ricostruire, per creare una relazione che non sia più basata solo sullo sfruttamento della natura come risorsa materiale.
L’arte visuale, la ricerca, la letteratura, e la critica che la segue, possono tutti essere mezzi per cambiare la nostra percezione della natura e quindi per risolvere quella crisi di sensibilità che secondo Esthelle Zong è la crisi climatica. L’ecopedagogia, in particolare, immagina di correggere quel problema di sensibilità all’origine, immagina di insegnare la natura in maniera diversa, immagina generazioni che concepiscono la natura in maniera diversa.
I tentativi di cambiare le narrazioni legate alla natura e al cambiamento climatico sono un invito a guardare al futuro con voglia di cambiamento ed entusiasmo. Con quell’entusiasmo ci uniamo a Greta Gaard quando dice: “Creiamo comunità intergenerazionali, interculturali e inter-specie, che vivono e leggono storie di resistenza, storie di giustizia sociale e ambientale.”