I ragazzi cresciuti fuori famiglia devono lasciare tutto una volta compiuti 18 anni. É un processo molto problematico di cui in Italia non si sa quasi nulla.
Se hai passato i tuoi anni da minorenne lontano dalla tua famiglia d’origine – in affidamento familiare o in servizi residenziali – a 18 anni o al massimo a 21 dovrai abbandonare tutti i percorsi di assistenza in cui sei stato finora. Se tornare nella tua famiglia d’origine non è un’opzione, iniziare da zero una vita in autonomia può essere molto difficile. Quella appena descritta è la condizione dei “Care Leavers”, anche chiamati “neomaggiorenni”. É una situazione molto particolare, specialmente nel nostro Paese: per avere un termine di paragone, i dati Eurostat dicono che in Italia nel 2020 i giovani hanno lasciato mediamente il proprio nucleo familiare a 30,2 anni. Eppure esistono pochissime informazioni sul tema. Come abbiamo già spiegato in un altro articolo, di loro si sa solo che hanno molte più probabilità di finire ai margini della società rispetto ai propri coetanei. In Italia non esistono leggi nazionali a loro tutela. E diversi dati indicano che anche nel resto d’Europa non se la passano molto meglio.
In Italia
In Italia, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha dato il via nel 2019 a un progetto sperimentale della durata di 3 anni a sostegno dei neomaggiorenni. Come si legge nella presentazione ufficiale del progetto, l’obiettivo è quello di creare «misure di supporto alla loro [dei care leavers, ndr] quotidianità e alle scelte verso il completamento degli studi secondari superiori ovvero la formazione universitaria, la formazione professionale o l’accesso al mercato del lavoro». In sostanza, questo si traduce in una serie di aiuti economici e nell’istituzione di un “tutor”, una figura professionale che ha il compito di seguire il neomaggiorenne nel suo percorso verso l’autonomia. Il progetto è finanziato attraverso il Fondo Povertà, che tra il 2021 e il 2023 ha riservato e riserverà alle misure a sostegno dei care leavers 5 milioni di euro all’anno.
Nonostante si tratti di un intervento di ampiezza nazionale, la sua applicazione poi passa attraverso le diverse istituzioni e associazioni locali: le Regioni, i Comuni e infine le singole associazioni o enti pubblici che materialmente si occupano di mettere in pratica le diverse misure di sostegno – nel Lazio a farlo è Asilo Savoia. Questo ovviamente comporta anche una certa disomogeneità territoriale del programma del Ministero. A dirlo è l’ultimo report ufficiale del progetto, secondo cui «sono rilevabili, tuttavia, differenze tra i diversi territori coinvolti nella progettualità ed è quindi fondamentale continuare a promuovere momenti di scambio di buone pratiche fra i soggetti coinvolti ai vari livelli per rendere omogenea su tutto il territorio nazionale la realizzazione degli interventi».
Ci stiamo avviando alla conclusione del primo triennio di sperimentazione e, successivamente – a seguito dei necessari adempimenti amministrativi – si procedererà al coinvolgimento delle coorti della seconda triennalità di sperimentazione, con modifiche e integrazioni al progetto originario rese necessarie a seguito di interventi normativi o adattamenti al piano di lavoro.
Quadro europeo
Il fatto che non ci sia una legge nazionale sulla questione in realtà non è un’eccezione nel panorama legislativo europeo. In Portogallo, ad esempio, a presentare un quadro molto simile a quello italiano è APDES. Questa è un’organizzazione non governativa impegnata in molte attività e progetti differenti, tra cui anche il supporto alla salute e al benessere delle fasce più vulnerabili, come appunto i care leavers. Alla richiesta di un commento sul quadro legislativo portoghese, APDES ha spiegato che «In Portogallo la situazione è simile [all’Italia, ndr]. C’è un’omissione legislativa per quanto riguarda i care leavers. L’intervento è garantito dalle istituzioni della società civile e con scarso sostegno da parte dello Stato».
Anche delle ricerche quantitative mostrano come siano molti i Paesi in Europa a non avere una legislazione completa a riguardo. In uno studio del 2020, una squadra di ricercatori di diverse università ha analizzato le leggi a tutela dei care leavers in 36 nazioni differenti sparse per il globo. Diciassette di queste sono Paesi europei (l’Italia non è tra questi). Gli autori hanno somministrato un questionario online a un campione selezionato di persone esperte del settore, che si sono espresse sul livello della legislazione del proprio Paese. In particolare vengono analizzati due aspetti. Da un lato vengono valutate le leggi a tutela dei ragazzi minorenni che vivono fuori dalla propria famiglia d’origine («legislation on care»). Dall’altro, vengono valutate le leggi a tutela dei care leavers («legislation aftercare»).
Per quanto riguarda l’Europa, si nota subito lo scarto che c’è tra i due aspetti. Quindici nazioni hanno una «legislazione ben sviluppata» a tutela dei minorenni fuori famiglia e due ne hanno una «rudimentale». Appena queste stesse persone compiono 18 anni però le loro tutele legislative calano drasticamente: sono solo quattro i Paesi con una «legislazione ben sviluppata» in materia di care-leaving, altri cinque hanno quadri legali «rudimentali» e otto addirittura non ne hanno alcuno. Le mancanze di tutele per i care leavers sembrano quindi essere una costante nella stragrande maggioranza dei Paesi europei.
Non basta una legge
E anche quando queste tutele esistono, non è detto che i possibili beneficiari ne siano al corrente. «Fino a qualche mese fa, c’erano molti ragazzi che a 18 anni uscivano dai percorsi di assistenza senza che nessuno li avesse mai informati sulla possibilità di prolungare le misure a proprio sostegno fino ai 21 anni». A parlare è Dalila Abbar, delegata generale dell’Association d’Accès aux Droits des Jeunes et d’Accompagnement vers la Majorité (AADJAM), di cui è anche la fondatrice. Questa associazione si occupa di seguire i neomaggiorenni in Francia nella loro transizione verso l’autonomia: li aiutano a conoscere i propri diritti, a portare avanti il proprio percorso educativo e anche a procedere per vie legali nel caso ci siano state delle irregolarità o negligenze da parte delle istituzioni. In particolare, l’AADJAM lavora con i minori stranieri non accompagnati che, spiega Abbar, «in teoria hanno gli stessi identici diritti dei minori francesi fuori famiglia. Nei fatti però i primi sono molto più a rischio di ritrovarsi isolati e da soli rispetto ai propri corrispettivi francesi». Adesso però le cose sono recentemente cambiate nel Paese d’oltralpe. A febbraio del 2022 è stata approvata una legge volta a migliorare la situazione dei giovani vissuti fuori famiglia. Adesso, i care leavers senza stabilità economica e saldi legami familiari dovrebbero poter accedere automaticamente al contrat jeune majeur, una serie di misure che permettono ai neomaggiorenni di continuare a ricevere assistenza fino ai 21 anni per diventare autonomi. Anche qui però esiste uno scarto tra la teoria e la pratica. «All’AADJAM abbiamo visto molti ragazzi con meno di 18 anni che seguono dei percorsi di formazione professionale – dice Abbar – e che quindi ricevono anche un piccolo stipendio, tra i 400 e 800 euro al mese in base a vari fattori. Solo che poi il consiglio di dipartimento [l’organo che deve esaminare le richieste di contrat jeune majeur, ndr] considera questi soldi come sufficienti per vivere in autonomia. E quindi non permette a questi giovani di accedere ai contrat jeune majeur».
Il caso irlandese
Il problema dell’incapacità degli Stati di riuscire a provvedere interamente alle necessità dei care leavers sembra quindi rimanere anche all’interno di sistemi legislativi abbastanza sviluppati. Uno dei casi più emblematici è sicuramente l’Irlanda. Nel 2013 viene approvato definitivamente dal Parlamento irlandese il Child and Family Agency Act, che prevede lo smembramento di alcune vecchie istituzioni per creare un ente ufficiale dedicato al benessere dei bambini e ragazzi, la Child and Family Agency, anche detta Tusla. Due anni dopo, il Parlamento irlandese approva un’altra legge che dà a Tusla lo specifico compito di occuparsi della transizione dei ragazzi vissuti fuori famiglia verso una vita autonoma.
Così, dal 2017 i ragazzi con un passato fuori famiglia che soddisfano certi criteri hanno la possibilità di accedere ad un «aftercare plan». La sostanza è molto simile al programma del Ministero italiano: Tusla mette a disposizione una serie di figure professionali che seguono un ragazzo o una ragazza nel suo percorso verso l’autonomia. Così il neomaggiorenne può essere aiutato nella ricerca di un lavoro, nel proseguimento della propria formazione e così via. Oltre a questo, vengono forniti alcuni aiuti economici. Per quanto non esistano studi approfonditi e completi sulle legislazioni di tutti i Paesi europei sui care leavers, il sistema Irlandese sembra essere uno dei più sviluppati e approfonditi in materia.
Nonostante questo alcune persone restano ingiustamente escluse, almeno secondo ciò che si legge in un documento intitolato Current situation of Care Leavers and needs analysis report, in cui una rete europea di associazioni per i care leavers analizza la situazione di vari Paesi europei. Anche qui si nota come l’Irlanda sia una delle nazioni con la legislazione più avanzata sul tema. Tuttavia, gli autori criticano la selettività dei programmi irlandesi. In particolare si legge che «ad alcuni giovani che hanno passato meno di 12 mesi fuori famiglia viene rifiutata la possibilità di accedere ad un aftercare plan». Questo porta all’esclusione di ragazze e ragazzi «molto vulnerabili per delle ragioni amministrative più che sulla base di una valutazione dei loro bisogni».
Appunti per il prossimo Parlamento
I neomaggiorenni sembrano essere quindi una categoria molto svantaggiata in tutta Europa. In alcuni casi semplicemente non esiste una legislazione su di loro, quindi sostanzialmente vengono ignorati dalle istituzioni oppure diventano beneficiari di progetti che, per quanto virtuosi, hanno una durata limitata nel tempo, come in Italia. In altri, nonostante un quadro legislativo più o meno sviluppato che riconosce la necessità di interventi mirati su di loro, sono facilmente vittime di esclusioni ingiuste dai programmi di assistenza, come in Francia o in Irlanda. Tuttavia, la presenza di una legge statale sul tema garantisce una stabilità che i singoli progetti ministeriali difficilmente possono assicurare. È lecito quindi sperare che nel nostro Paese il prossimo parlamento si confronti con le problematiche dei care leavers e che legiferi per risolverle.