Cultura e sostenibilità: la formula vincente del Festival dei due Mondi

Giunto alla sua sessantaseiesima edizione, il Festival dei Due Mondi continua ad affermarsi come uno dei maggiori eventi culturali del panorama europeo. La sua capacità di durare nel corso del tempo è connessa alla sua abilità di saper cogliere le sensibilità e le esigenze del presente, come la necessità di eventi a impatto zero.

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È il 1958 quando il compositore Gian Carlo Menotti decide di creare il Festival dei due Mondi. L’idea è semplice, l’intuizione folgorante: dare vita a una manifestazione dal taglio artistico-culturale capace di unire Europa e America. C’è solo da scegliere il posto. In un’intervista al giornale “L’Arena” di Verona, viene scritto «Menotti ha posto gli occhi su Spoleto, una cittadina tranquilla che ha già una tradizione teatrale». Piccolo comune umbro circondato dal verde, che ha mantenuto nel tempo la sua architettura medievale, Spoleto diviene il luogo prescelto per il Festival. La decisione però, va oltre la bellezza del borgo: Spoleto ha un centro storico raccolto, a misura d’uomo; ma è anche il luogo ideale per ospitare il programma immaginato dal musicista. La presenza di due teatri all’italiana, l’antico teatro romano e soprattutto la presenza della piazza del Duomo – architettonicamente un teatro all’aperto immutato nel tempo – sono l’ideale per quel ricco programma da lui immaginato. Così, la sera del 5 giugno 1958, ha inizio il primo Festival dei Due Mondi con il Macbeth di Giuseppe Verdi per la regia di Luchino Visconti, scene e costumi di Piero Tosi, direttore d’orchestra Thomas Schippers. 

 

Il successo fu clamoroso: Menotti diventa cittadino onorario del comune e la stampa lo proclama addirittura “Duca di Spoleto”. Da quel momento, si occuperà del Festival per circa cinquant’anni, permettendo al Festival di fiorire e affermarsi nel tempo come una delle più importanti manifestazioni culturali europee. Il suo programma è da sempre ricchissimo, capace di spaziare dal balletto al cinema, dalla musica classica alle arti figurative. L’abilità di offrire ogni anno proposte artistiche originali è ciò che contraddistingue questo evento, oggi arrivato alla sua sessantaseiesima edizione. 

La direzione quest’anno è affidata a Monique Veaute, che nell’introdurre la programmazione scelta per il 2023, afferma che il fil rouge è «l’attrazione per le idee che si spingono oltre i confini delle categorie, alla scoperta di nuovi mondi espressivi e di nuovi spazi di contaminazione».

 

Non è solo l’occhio critico capace di proporre programmi puntuali e precisi a rendere questo Festival un prodotto di qualità unico, ma anche la capacità di adattamento ai nuovi bisogni. 

La Fondazione Festival dei Due Mondi si è impegnata ad aderire ad alcuni degli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda ONU 2030 e a promuovere presso l’opinione pubblica le tematiche ESG (Environment, Social, Governance) con l’obiettivo di diventare un’eccellenza e un punto di riferimento anche in questo campo. Tra le iniziative già avviate negli ultimi due anni – tra le quali spiccano incontri con partner impegnati sulle specifiche tematiche e percorsi di ottimizzazione in chiave sostenibile dei processi operativi – ce n’è una che colpisce più delle altre. Se già con Gian Carlo Menotti il Festival fungeva da “isola felice” per il mondo della cultura, nell’ultimo periodo – pienamente in linea con le esigenze della nostra contemporaneità – questa terra di contatto comune agli artisti del mondo, un locus amoenus nel cuore dell’Italia, è tanto grande da essere diventata “un pianeta”. 

 

Nasce così Il Pianeta Redenta, un progetto nato dall’incontro con Terraforma, festival musicale milanese all’insegna della sostenibilità ambientale e della ricerca sonora, con nomi di punta della migliore elettronica sperimentale. Il binomio tra questi due progetti ha permesso di creare una dimensione avulsa dallo spazio e dal tempo cittadini: si tratta di tre giorni di immersione totale nei suoni degli artisti e della natura. I giardini di Villa Redenta, dal 30 giugno al 2 luglio, ospitano un “campeggio creativo”, creato in collaborazione con Parasite 2.0 – collettivo che crea habitat umani attraverso architettura, design e arte. Sono loro ad aver ideato un luogo che non solo svolge a pieno la sua tipica funzione di ospitalità, essendo la villa un ostello, ma anche un processo di riqualificazione dell’area. Da percorsi di ascolto, talk e workshop, fino alla musica dal vivo: tutto concorre a intrattenere chi popolerà questo nuovo pianeta verde a impatto zero. Si assiste così alla nascita di uno spazio nuovo, grazie a interventi installativi e visivi, pensati per adattarsi all’ambiente circostante, non solo rispettandolo ma anche esaltandolo. Il rapporto tra il Festival e Terraforma diventa così il migliore esempio di come si possa pensare e organizzare una manifestazione del genere nel pieno dei temi della sostenibilità ambientale e sociale, diventando un punto di riferimento per il panorama odierno. 

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