Cuba, viaggio fra quelli che restano

Nel mezzo di una profonda crisi economica e politica, Cuba sta vivendo una delle emigrazioni più grandi della sua storia. Mentre la vita quotidiana di chi decide di rimanere si fa sempre più dura. Un reportage internazionale racconta le loro storie.

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Quando l’orologio segna le 9 del mattino, Carlos Alonso tira una lunga boccata dalla sua prima sigaretta della giornata e getta uno sguardo malinconico sulle sedie vuote intorno a lui. Il bar che gestisce dal 2016 sembra una casa abbandonata nella città vecchia di Trinidad, sulla costa meridionale di Cuba. Mentre osserva lo spazio vuoto intorno a sé, Carlos inizia a vedere i fantasmi del suo passato, quelli dei suoi ex dipendenti che non ci sono più. Riesce quasi a sentire Diana che prepara con maestria i suoi caratteristici mojito in cucina e la voce dolce di Ysabel che accoglie i clienti all’ingresso.

«Una volta scherzavano sul fatto che il bar è come un consolato, chiunque lavori qui ottiene un visto», ricorda Carlos sorridendo. L’immagine è agrodolce, perché ora deve fare i conti con i nuovi dipendenti, che spera diventeranno suoi amici. Per lui, il suo bar è sempre stato un luogo in cui gli amici gestiscono un’attività insieme.

Carlos riesce a entrare in sintonia con chi lo circonda senza sforzo. Ma questo talento è un’arma a doppio taglio. La vera sfida sta nel dire addio. I suoi compagni più cari hanno inevitabilmente lasciato il Paese, lasciando dietro di sé vuoti emotivi e professionali difficili da colmare. Queste assenze sono un fardello per Carlos e per altri giovani cubani, costretti a sopportare il peso della separazione dai loro cari e la sensazione di essere bloccati all’interno di una nazione che sta perdendo i suoi migliori e più brillanti per il richiamo di opportunità altrove.

«Mi dà un tremendo senso di depressione, sai?» dice Carlos tono demotivato. «Ero solito riversare anima e cuore in questo bar, accogliendo personalmente i clienti, facendo amicizia con loro e assicurandomi che tutto fosse perfetto: la musica, il servizio, il mio staff – il più cool della città. Vedere così tante persone andarsene ha portato a un declino emotivo, soprattutto nei confronti dell’attività. Ho perso la passione, l’amore per questo lavoro. Non so, è triste». 

Carlos crede che questa tristezza sia un’esperienza condivisa dai suoi connazionali. Con le opportunità limitate e la costante lotta per i beni di prima necessità, la generazione più giovane ha meno motivi per frequentare il suo bar. Il calo del turismo ha ulteriormente aggravato le sue difficoltà finanziarie. Il bar di Carlos era originariamente destinato alla comunità studentesca e intellettuale, un gruppo che, dice, è particolarmente incline all’emigrazione.

Nel 2022, 224.000 cubani hanno attraversato il confine con gli Stati Uniti, un numero superiore a quello degli anni ’80 e ’90, secondo quanto riportato dalla BBC. Un esodo, nel contesto di una profonda crisi economica e politica, che ha scosso le fondamenta della nazione. L’inflazione è alle stelle – battendo record storici -, il cibo e il carburante sono diventati scarsi, prosciugando la motivazione dei cittadini. Per coloro che sono rimasti, la vita continua con l’incertezza di doversi guadagnarsi da vivere, l’angoscia di essere separati dai propri cari e le prospettive di un futuro che non sembra promettere miglioramenti.

Mentre Carlos accende la sigaretta e fa un respiro profondo, sa che un giorno arriverà il suo turno. Si rende conto che anche lui potrebbe essere costretto a lasciarsi tutto alle spalle per un viaggio di sola andata. Anche se non sa come fare, perché le risorse e le opportunità sono scarse, il desiderio è lì.

Sistemare il casino

Yadira Álvarez, professoressa di 43 anni dell’Università di Scienze Pedagogiche dell’Avana, è stata vicina a lasciare Cuba in quattro diverse occasioni. Dall’addio alla sua migliore amica che stava intraprendendo un viaggio illegale, all’essere bloccata in Messico durante un trasferimento aereo, fino a ricevere la proposta di un amico di attraversare gli Stati Uniti. Le è stata persino presentata l’opportunità di sposare un amico residente in Norvegia o di rimanere in Colombia con alcuni parenti.

Ma lei ha detto di no: «per paura, per amore e per responsabilità verso il mio popolo», mi scrive con un tono che mi fa immaginare il suo sospiro. La decisione di rimanere a Cuba è stata impegnativa. Si è rifiutata di rischiare la vita attraversando lo Stretto della Florida su un barchino, o di navigare attraverso le insidiose giungle nordamericane che avrebbero potuto lasciare suo figlio senza una madre. Un destino subito da oltre 120 cubani dal 2021, secondo il media indipendente El Toque.

Non voleva mettere a repentaglio la sua vita contraendo un finto matrimonio. Né affrontare le sanzioni dell’immigrazione cubana, che potrebbero impedirle di tornare per una visita, come è stato imposto a molti cubani che viaggiano per lavoro con passaporti ufficiali. Coloro che rimangono all’estero sono considerati «disertori», col divieto di entrare nel Paese per un periodo che va dai cinque agli otto anni.

Non emigrare può essere scoraggiante. Molti ritengono che sia un segno di fallimento e i cubani sono spesso giudicati duramente per questo. «Mi rattrista sapere che quando mi trovo di fronte ai miei studenti, la maggior parte di loro ha l’obiettivo di lasciare Cuba», dice. Per questo motivo pensa che rimanendo e lavorando per un futuro migliore per Cuba, sta aiutando coloro che potrebbero emigrare in futuro. «Se non posso andarmene io e non possono farlo nemmeno gli altri, qualcuno deve lavorare per rendere tutto questo vivibile», mi dice con determinazione. «Voglio vedere cosa posso fare per aiutare a sistemare il casino che abbiamo qui».

Famiglie separate

È l’ora di pranzo quando Jorge* riceve una telefonata dagli Stati Uniti. È suo fratello, appena arrivato nel Paese per inseguire il sogno americano. Mette via le posate e alza la mano sulla fronte. È raggelato. Il suo amato fratello aveva comprato un biglietto aereo per il Nicaragua e aveva pagato un contrabbandiere per portarlo al confine tra Messico e Stati Uniti, scegliendo di mantenere il segreto. «Era una cosa normale da fare quando si decide di intraprendere un viaggio illegale», riflette ora.

«La partenza di mio fratello è stato il momento più difficile che abbia vissuto. Eravamo troppo legati», ricorda. «Se non parto è perché capisco cosa significherebbe per la mia famiglia. I miei genitori sono troppo vecchi per ricominciare da un’altra parte e non posso sopportare di fargli vivere un altro doloroso addio», spiega Jorge. Quando pensa alla partenza di suo fratello, Jorge vede la tristezza e la solitudine negli occhi di suo padre. «Mio fratello era il collante che ci teneva uniti, organizzava sempre riunioni di famiglia e ci aiutava in ogni modo possibile. Anche da lontano, mi ha aiutato a pagare l’affitto», racconta. 

La questione della migrazione a Cuba non è recente, né legata solo all’attuale crisi economica e politica. Si tratta di una realtà storica che persiste da decenni. Durante l’era socialista, si sono verificate diverse ondate migratorie. La società cubana è stata a lungo definita da un senso di separazione e perdita, con famiglie e comunità lacerate dall’emigrazione.

Nel 2015, nonostante il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Cuba e gli Stati Uniti e la conseguente ripresa economica e politica, un numero significativo di cubani ha ancora espresso il desiderio di lasciare il Paese. Un sondaggio condotto da Univision Noticias, che ha intervistato 1.500 residenti sull’isola, ha rilevato che il 55% degli intervistati ha espresso il desiderio di emigrare. Questa statistica testimonia le continue sfide che molti cubani devono affrontare, nonostante gli sforzi per migliorare la situazione economica del paese.

Carlos, Yadira e Jorge sono tra i molti cubani che stanno lottando contro l’attuale crisi economica, aggravata dall’impatto della pandemia di Covid-19, dall’embargo commerciale imposto dagli Stati Uniti e dalle contraddizioni intrinseche del sistema politico di Cuba. «La mia situazione economica è buona, ma sono consapevole del fatto che, anche se ho i soldi, non so se sono in grado di poter acquistare le cose in negozio», dice Jorge. «Poi l’inflazione è terribile: a nessuno piace pagare 10 volte di più il prezzo reale di un bene di prima necessità. E altre cose come il carburante, l’elettricità, i trasporti… bisogna essere ciechi per non vedere i problemi».

Un rapporto del Ministero degli Affari Esteri spagnolo rivela che il PIL cubano è crollato di circa il 10% negli ultimi due anni. Fonti ufficiali indicano che l’inflazione ha raggiunto il 77% nel 2021, un valore sette volte superiore all’aumento salariale annunciato dal presidente Miguel Diaz-Canel nello stesso periodo. Di conseguenza, molte persone scelgono di lasciare il Paese in cerca di migliori opportunità, peggiorando la situazione di chi resta. L’attuale ondata migratoria ha portato a uno straordinario deficit di forza lavoro, secondo Ernesto González, ex professore dell’Università Centrale “Marta Abreu” di Las Villas. Molti di coloro che se ne vanno sono altamente qualificati e ben istruiti, dice l’esperto.

Anche Ernesto González, che ha conseguito un master in Studi sulla Popolazione e ha svolto numerose ricerche sulle migrazioni a Cuba, ha visto la maggior parte dei suoi compagni di classe e amici partire per sempre. Ora gestisce una fattoria con il padre. Come Carlos, Yadira e Jorge, anche lui fa del suo meglio per “sistemare” il paese.

*Per motivi di sicurezza, il nome di questa fonte è stato cambiato. L’intervistato teme che i suoi datori di lavoro possano compiere rappresaglie nei suoi confronti per aver rilasciato dichiarazioni a un media straniero.

Luis Orlando León Carpio è un giornalista cubano che vive tra Danimarca e Repubblica Ceca. Per Scomodo ha raccontato la delicata condizione in cui si trova la parte di popolazione cubana che ha deciso di restare sull’isola, nonostante un esodo che ha scosso le fondamenta della nazione. Il primo articolo di una serie di Scomodo che raccoglierà contributi e reportage di giornalisti under 30 da tutto il mondo.

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