Prendiamo il 77, il pullman che da piazzale Lodi porta davanti a Cascina Carpana, tra Chiaravalle e Corvetto, un luogo surreale che sembra fermatosi nel tempo. Solo a partire dall’anno scorso, grazie al progetto di rigenerazione urbana “Ri-Nascita”, la Cascina ha ripreso a vivere, con l’ambizione di diventare un ambiente aperto a tutte e a tutti.
Quando arriviamo di fronte all’edificio, non sappiamo bene cosa dobbiamo aspettarci. Le locandine dell’evento parlano dell’insostenibilità del nostro modello alimentare e sulla possibilità di trovare alternative virtuose a partire dal ruolo del pane. Così inizia CRO.ST.A, evento organizzato da Terzo Paesaggio in collaborazione con Scomodo. Tra i vari partecipanti ci sono il Panificio Davide Longoni, Le Polveri – micro panificio e Madre Project, Scuola del Pane e dei Luoghi. In modo diverso, i vari attori coinvolti mostrano come la panificazione può diventare una pratica di aggregazione sociale e il pane uno strumento per raggiungere gli obiettivi dello Sviluppo Sostenibile – come previsto dall’agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Se è vero che il nome dell’evento suona un po’ strano, è anche vero che racchiude uno dei cuori della giornata. Infatti, il concetto di crosta può essere facilmente trasposto a un altro, quello di margine, di periferia: nello stesso modo in cui vengono scartate le croste della pizza, le periferie vengono sempre più spesso abbandonate. L’evento si svolge all’interno del progetto europeo Food Wave, dove il comune di Milano è capofila, che ha come obiettivo prioritario quello di accrescere la conoscenza, la consapevolezza e l’impegno dei giovani europei su pratiche sostenibili di consumo e produzione di cibo per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico.
Nella Cascina, la sensazione di essere lontani dal centro di Milano è evidente. Nonostante le premesse non siano delle migliori – è un martedì pomeriggio di giugno con un caldo asfissiante – le nostre aspettative vengono stravolte dalla partecipazione collettiva della cittadinanza. A rendere viva Cascina Carpana arrivano un centinaio di giovani pronti a mettere le mani in pasta con dei panificatori professionisti. Qui, la situazione prende una piega romantica: i giovani inesperti sono in cerchio, in una lunga tavolata, che impastano; al centro, invece, Denise di Summa dà consigli ai giovani improvvisati panificatori. Denise di Summa è una panificatrice indipendente e prima studentessa di Madre Project, una nuova scuola di pane che nasce dall’associazione no profit Terzo Paesaggio per costruire un’impresa ad impatto sociale tra pane e territorio. Nel manifesto di Madre Project si può notare come l’orizzontalità e la partecipazione collettiva siano fondamentali nella loro scuola: «docenti e discenti sono considerati allo stesso livello e apprendono insieme, entrando in contatto gli uni con gli altri. Gli stessi studenti sono invitati a costruire insieme una comunità di apprendimento mettendo in condivisione le proprie competenze.» È da questa prospettiva che viene letta l’esperienza di panificazione: un rito collettivo.
Fatta la pratica, bisogna lasciare spazio alla teoria. Sempre sotto il sole cocente, ci spostiamo da un’area all’altra del giardino di Cascina Carpana. Anche qui, la dimensione romantica prevale: il talk si tiene all’ombra di un ginepro, dove insieme alle esperte ci sediamo su alcuni cuscini. Il dibattito, mediato da Scomodo, cerca di far interagire realtà ed idee molto diverse, rendendo la discussione affascinante. A confrontarsi ci sono Aurora Zancanaro, del micro panificio Le polveri, Denise di Summa, Diletta Bellotti attivista e Federica Scio di Panificio Davide Longoni. L’incontro si concentra soprattutto su due temi. Nella prima fase si parla dei Panificatori Agricoli Urbani (PAU), di cui fa parte anche Le Polveri: un gruppo nato per volontà di Davide Longoni che ha l’obiettivo di portare sulle tavole un pane non solamente buono, ma anche ricco di valori sociali e ambientali, e fortemente radicato nella tradizione.
Un passaggio nel manifesto dei PAU ci aiuta a comprendere meglio come viene intesa la sostenibilità alimentare: «Il panificatore è un paesaggista. Il pane dà forma all’ambiente in cui viviamo, la scelta delle materie prime determina il paesaggio. Promuoviamo modelli agricoli sostenibili e resilienti: siamo pianificatori e non solo panificatori». Se da un lato si tratta di un modello ambizioso e virtuoso, è evidente l’esistenza di aspetti più problematici e difficili da risolvere. In primo luogo la sua replicabilità su larga scala all’interno di grandi catene. Come sottolineano le esperte che sono intervenute, a questo livello intervengono diverse difficoltà, prima fra tutte la quantità di produttori con cui le grandi realtà devono avere a che fare: controllare la sostenibilità alimentare di ogni fornitore è un impegno non da poco per una azienda che, a causa delle sue dimensioni, deve rifornirsi continuamente di molti prodotti con provenienze anche molto diverse fra loro. Proprio su questo, Aurora Zancanaro sostiene che è necessario che i grandi distributori assumano dipendenti che si occupino esclusivamente di certificare la sostenibilità dei loro produttori – il che ovviamente avrebbe un bel costo da un punto di vista economico. Questo passaggio ci permette di entrare nella seconda fase del talk in cui, guidate da Diletta Bellotti, le ospiti si concentrano sul concetto di accessibilità: fermo restando che i prodotti de Le Polveri e di panificio Davide Longoni sono sostenibili, è innegabile che il loro costo sia sopra la media, soprattutto rispetto a quello del pane che si può trovare in negozi che non fanno della sostenibilità la loro battaglia. Le possibili soluzioni che vengono proposte dalle partecipanti sono varie: dall’educazione nelle scuole sulla sostenibilità alimentare ai rimborsi garantiti dallo Stato nell’acquisto di prodotti di questo tipo. Al netto di diversi spunti interessanti, noi del pubblico rimaniamo con quel senso di vuoto tipico delle questioni non ancora completamente risolte.
Dopo il dibattito, lo spirito di aggregazione continua ad essere il filone portante dell’evento. Tutti insieme spostiamo cuscini, casse e microfoni e inizia la musica. Il sole, che non ci ha abbandonato nemmeno una volta dall’inizio della giornata, ormai sta scendendo dietro l’orizzonte: il dj set inizia così in un clima un po’ più fresco. La postazione della console è sopra un carro arrugginito, ricoperto di erbe selvatiche e un’edera molto invadente. Quel centinaio di ragazzi e ragazze, ormai uniti dall’esperienza della giornata, è diventato un tutt’uno: la panificazione collettiva e il talk, che ha dato il senso di appartenere alla stessa comunità, hanno creato un corpo unico che balla sotto uno dei primi caldi estivi. Si chiude in questo modo CRO.ST.A: un evento originale, dove teoria sulla sostenibilità alimentare e pratica si fondono, lasciando i partecipanti con un senso di speranza per il futuro, insieme a domande ancora aperte.