L’orientamento sessuale dei genitori non determina una minore qualità dello sviluppo dei figli

Spesso si dice che un bambino ha bisogno di un padre e di una madre, eppure non esiste prova scientifica che dimostri quest’idea. Anzi, diversi studi confermano che il benessere dei bambini prescinde dal fatto che crescano in una famiglia con due padri o due madri.

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Mentre, in occasione del mese del pride, migliaia di persone marciavano all’insegna dei diritti, la Procura di Padova ha deciso di impugnare tutti e 33 gli atti di nascita attraverso i quali il Comune ha riconosciuto, dal 2017 ad oggi, i figli di famiglie omogenitoriali formate da coppie di donne. Con famiglia omogenitoriale si intende una famiglia composta da due genitori dello stesso sesso, a partire da percorsi diversi, quali l’adozione o il ricorso a tecniche di procreazione assistita, come la GPA (gestazione per altri) o la fecondazione eterologa.

La decisione della Procura rimanda in maniera chiara alla direzione che il nuovo governo ha intrapreso già dai primi mesi del nuovo anno. A marzo infatti il governo Meloni ha prima inviato una circolare ai comuni, chiedendo di interrompere le attività di trascrizione di figli di coppie omogenitoriali. E, poi, si è opposto a una proposta di regolamento europeo sul tema.

Dietro questa linea ideologica è individuabile la retorica della famiglia tradizionale, secondo cui esiste un unico modello di famiglia – appunto quella composta da madre, padre e figli –, mentre qualsiasi altro tipo di disposizione famigliare, da quella monogenitoriale a quella omogenitoriale, garantirebbe una minore qualità nello sviluppo dei bambini.

Questa teoria è smentita da numerosi studi condotti nel corso degli ultimi 20 anni. In Le famiglie omogenitoriali, teoria clinica e ricerca, il ricercatore Nicola Carone spiega che la generatività biologica, cioè l’azione di mettere al mondo un figlio, è solo un’espressione, una componente, della genitorialità. Vale a dire che procreare non è requisito necessario (e nemmeno sufficiente) per definirsi genitore. La genitorialità è intesa come funzione innata dell’essere umano (risiede dentro di noi sin dalla nascita), ma è costantemente soggetta a modifiche, operate dalle interazioni con l’ambiente circostante. 

Dalle prime esperienze, come figli, deriviamo le prime rappresentazioni di modelli di genitorialità, che trovano espressione poi, in futuro, ogni volta in cui saremo impegnati nella cura di un bambino, indipendentemente dal fatto che sia nostro figlio. Sono, quindi, le prime interazioni con figure genitoriali, e le conseguenti rappresentazioni, ad influenzare la qualità della funzione genitoriale, e non certamente il genere, l’identità di genere e l’orientamento sessuale del genitore. 

A sostegno di questa tesi, uno studio del 2014 intitolato Father’s brain is sensitive to childcare experiences ha concluso che non vengono riportate particolari differenze di attivazioni cerebrali in madri eterosessuali e padri gay durante attività di cura genitoriale.  Cioè vengono verosimilmente stimolate le stesse risposte cerebrali, coinvolte nell’esercizio della cura parentale, e si può, dunque, escludere che ci sia una diversa attenzione alla cura del figlio o della figlia in base al genere e all’orientamento del genitore. Inoltre, secondo uno studio di D’amore, Simonelli e Miscioscia, non ci sono sostanziali differenze di qualità nelle interazioni triadiche, cioè genitore-genitore-figlio, nelle famiglie lesbo-genitoriali.

È quindi fuorviante ritenere che la funzione genitoriale di un padre o di una madre sia dipendente dal genere o dall’orientamento sessuale dello stesso o della stessa, come è fuorviante sostenere che la qualità dell’ambiente di crescita all’interno di una famiglia possa diminuire per la sola diversa forma di composizione genitoriale, che essa sia padre-padre o madre-madre, per esempio. Viene spesso pronunciata da molti politici la frase «il bambino ha bisogno di un padre e di una madre». Eppure, prima lo studio Mother, fathers, families, and circumstances: factors affecting children’s adjustment di Lamb, e poi il lavoro di Fedewa, Black e Ahn intitolato Children and adolescents with same gender-parents: a meta-analytic approach in assessing outcomes nel 2015, sono arrivati alla conclusione che un bambino, per un buon adattamento (processo attraverso cui assorbiamo informazioni dal contesto che ci circonda e modifichiamo le nostre strutture cerebrali di conseguenza), non ha bisogno di padre o madre in quanto femmine o maschi, bensì in quanto genitori. 

In particolare, Lamb spiega che «l’idea che i bambini debbano avere genitori sia maschi che femmine per avere un buon adattamento non è supportata dalla ricerca. […] il genere dei genitori non influisce sull’adattamento dei figli. Sia gli uomini che le donne hanno la capacità di essere buoni genitori e, quindi, avere genitori di entrambi i sessi non migliora l’adattamento». Ancora una volta genere e orientamento sessuale passano in secondo piano rispetto all’importanza del ruolo genitoriale: la qualità relazionale, lo sviluppo cognitivo, e il benessere psicologico prescindono dal fatto che si cresca in una famiglia con due padri, due madri, o un padre e una madre.

Questo vale indipendentemente da quale sia il percorso attraverso cui ha origine la famiglia omogenitoriale. A proposito di famiglie che sono ricorse ad adozione, uno studio del 2021, condotto da un team di scienziati dell’università di Cambridge e della Queen Mary University, ha analizzato la qualità della relazione genitore-figlio/figlia e il grado di adattamento emotivo-comportamentale di 47 figlie e 66 figli, adottati sia da famiglie omogenitoriali che da famiglie con genitori eterosessuali, non riscontrando alcuna sostanziale differenza. Un secondo studio degli stessi autori ha addirittura mostrato una tendenza inaspettata: nelle famiglie con genitori gay i figli riportano livelli più elevati di attaccamento sicuro-autonomo, cioè la percezione che il caregiver sia affidabile e sensibile ai suoi bisogni, e questo gli permette di esplorare con più tranquillità l’ambiente circostante.

Anche nei casi di famiglie che ricorrono a GPA o fecondazione eterologa le posizioni essenzialiste, che vedono nella famiglia composta da madre e padre l’unica via possibile, sono state smentite. In particolare, un team di ricercatori italiani ha esaminato, nel caso di figli concepiti con PMA (procreazione medicalmente assistita) in famiglie composte da due madri, l’adattamento, la regolazione comportamentale-emotiva e le competenze sociali, non rilevando alcuna differenza sostanziale rispetto ai figli nati e cresciuti in famiglie formate da coppie eterosessuali. Un’ulteriore ricerca del 2015, condotta stavolta su adolescenti, sempre figli di coppie di donne e concepiti attraverso donazione di seme, ha rilevato addirittura maggiore autostima e minori difficoltà comportamentali. 

Infine, nel 2020 un team di ricercatori italiani e una ricercatrice della Kent state university hanno esaminato e confrontato i fattori associati alla sicurezza dell’attaccamento e l’utilizzo dei genitori come base sicura in 33 famiglie formate da coppie di padri gay che hanno fatto ricorso alla GPA e 37 famiglie con madri lesbiche ricorse a donazione di seme. In entrambe le tipologie familiari i bambini hanno riportato di percepire alta sicurezza nella relazione di attaccamento. Risulta così infondata la convinzione, spesso diffusa, che in famiglie omogenitoriali i figli rischierebbero di sviluppare un attaccamento non sicuro, e che i genitori gay non sarebbero capaci di fornire le cure necessarie per una crescita sana.

Ciò vale anche nei casi di famiglie a fondazione cogenitoriale allargata, vale a dire formule prive di vincoli matrimoniali e simbolismi coniugali in cui due o più individui, magari anche due o più coppie o una coppia e un individuo, che desiderano crescere figli, partecipano a un progetto comune. Ne sono un esempio quelle che oggi sono note come famiglie queer, al cui centro, come in una qualsiasi famiglia, c’è il concetto di intenzionalità, di negoziazione continua tra i vari caregiver, di divisione degli impegni e delle responsabilità genitoriali. 

Nulla di significativamente diverso nel funzionamento, dunque, e, soprattutto, nella qualità del coinvolgimento e nel carico di responsabilità, come confermato dallo studio di Bos, in cui vengono confrontate 36 famiglie formate da padri gay che condividono la genitorialità con la coppia di donne a cui hanno donato il seme, e 36 famiglie formate da coppie eteresessuali. Anche qui non sono emerse differenze tra le due tipologie familiari: né nel coinvolgimento emotivo e nelle preoccupazioni genitoriali, né nel carico delle responsabilità percepite, né nelle problematiche emotive e comportamentali dei figli.

È quindi difficile spiegare quali siano le ragioni scientifiche (ammesso che esistano) che rendono impraticabile la quasi totalità delle strade attraverso cui una famiglia omogenitoriale potrebbe avere figli in Italia.

Se la direzione è di una, seppur lenta, accettazione sociale, tutt’oggi sul piano legale la strada è tortuosa e complessa. Le unioni civili non coprono la totalità dei diritti riservati alle coppie eterosessuali, che, al contrario, il matrimonio egualitario concederebbe. Ad esempio, non c’è tecnica di procreazione assistita che sia permessa a coppie formate da persone dello stesso sesso, e proprio in questi giorni la Camera ha approvato un disegno di legge che renderebbe la GPA reato universale, impedendo dunque di ricorrere a questa metodologia all’estero. 

Nemmeno l’adozione e l’affido sono permessi, tranne nel caso di sentenze precise della corte suprema e del tribunale dei minori. Infine, il recente freno al riconoscimento dei figli di coppie omogenitoriali mette sempre più in dubbio la validità del legame giuridico genitore non biologico-figlio/figlia. Tutto questo, a fronte di un gran numero di prove scientifiche che certificano che l’orientamento sessuale dei genitori non determina una minore qualità dello sviluppo del bambino.

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