Nel settembre 2021, sull’isola di Samo è stato aperto il primo Campo Chiuso ad Accesso Controllato (CCAC) per richiedenti asilo, finanziato dall’Unione Europea. Un centro lontano dai centri abitati, circondato da un’alta recinzione, filo spinato e telecamere. Un anno dopo, due strutture simili sono state aperte a Lero e Kos. Per la fine dell’anno è prevista l’apertura di altre due strutture, sempre finanziate dall’UE, a Lesbo e Chio. Complessivamente, il contributo dell’UE sarà di 260 milioni di euro. Nei CCAC, alle persone è proibito uscire per i primi 25 giorni, entro i quali avviene l’identificazione e spesso la prima intervista in commissione per l’asilo: una detenzione a tutti gli effetti.
A settembre 2022, in una dichiarazione congiunta, 14 ONG presenti sul campo hanno denunciato come «l’accresciuta securitizzazione e restrizione delle libertà ha avuto un impatto devastante sulla salute mentale e fisica dei residenti dei CCAC, molti dei quali riportano sintomi di depressione, ansia e pensieri suicidi».
Finanziare la limitazione della mobilità delle persone migranti è solo l’ultima delle strategie che l’UE sta adottando nella gestione dei richiedenti asilo, che si inserisce in un quadro di politiche più ampio, risalente a quella che è stata definita la “crisi europea dei migranti” del 2015. In quell’anno, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), la Grecia ha registrato più di 856 mila sbarchi, un numero 20 volte superiore all’anno precedente.
Il 18 marzo 2016, è stato reso pubblico l’accordo UE-Turchia, raggiunto tra i membri del Consiglio Europeo e il Primo Ministro turco, allo scopo di contrastare gli sbarchi clandestini provenienti dalla Turchia, paese di transito per le persone dal Medio Oriente (Siria, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh) e dal corno d’Africa (Somalia, Eritrea). Tra le diverse misure, l’accordo prevede la riammissione in Turchia di tutti i migranti sbarcati illegalmente sulle isole greche dopo il 20 marzo 2016, in cambio di finanziamenti comunitari: tre miliardi di euro per l’implementazione di progetti di assistenza a favore dei rifugiati in Turchia e l’accelerazione del processo di eliminazione della necessità di visto per i cittadini turchi in area Schengen. La ratio è che, se la Turchia può essere considerata un «paese terzo sicuro» per i richiedenti asilo che vi transitano, non c’è ragione perché proseguano verso l’UE per richiedere la protezione internazionale. Devono farlo in Turchia.
Dall’accordo è emerso chiaramente l’approccio che l’Unione Europea ha intenzione di adottare nei confronti della gestione delle migrazioni: deviare le responsabilità degli stati della tutela dei diritti dei richiedenti asilo, prevista dal diritto internazionale, verso paesi al di fuori dell’Unione.
Un approccio di outsourcing è stato dunque preferito a una soluzione comunitaria, che potesse fondarsi sulla solidarietà e la condivisione delle responsabilità, princìpi definiti nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea come chiave per l’interpretazione delle politiche migratorie europee. Inoltre, dal 2016, in diversi documenti programmatici per le politiche comunitarie su asilo e migrazioni, è emersa l’intenzione dell’UE di stringere più collaborazioni con paesi terzi sul modello dell’accordo UE-Turchia.
Cosa è cambiato dopo l’accordo UE-Turchia per i richiedenti asilo
Con una sensibile riduzione di affluenza attraverso la rotta balcanica, dovuta all’intensificarsi dei controlli alle frontiere, la Grecia è diventata il paese col maggior numero di persone migranti registrate. Dopo un calo degli arrivi tra il 2017 e il 2019, dal 2020 il numero di arrivi è tornato a crescere, sia per l’aggravarsi dei conflitti in Medio Oriente, sia per l’inasprirsi della tensione politica tra UE e Turchia. Infatti, dal 2020, in segno di rappresaglia contro l’UE per il mancato sostegno per le sue operazioni militari in Siria, il governo turco ha eliminato i controlli nelle aree costiere, permettendo ai barconi di partire in massa.
L’ulteriore crescita degli arrivi e la chiusura della rotta balcanica hanno dunque reso la Grecia un paese non più di solo transito, ma di destinazione. Per far fronte alla ricezione del crescente numero di persone, gli hotspot sulle isole di fronte alla Turchia (Lesbo, Lero, Kos, Chio e Samo), sono diventati Centri di Ricezione e Identificazione a cui, da settembre 2021, si sono aggiunti i CCAC, allo scopo di limitare la mobilità delle persone e favorire l’eventuale rimpatrio o riammissione.
Per adattare le procedure all’accordo UE-Turchia, la Grecia ha inoltre introdotto una «procedura accelerata», che prevede tempistiche estremamente ridotte per l’esame di una domanda d’asilo dell’eventuale ricorso. Sebbene tale procedura sia stata concepita come misura provvisoria destinata a durare per un massimo di sei mesi, è stata continuamente reiterata, ed è tuttora attiva. Inoltre, è stata introdotta la “procedura di ammissibilità”, che consiste nel valutare, prima dell’esame della domanda stessa, se la Turchia possa essere considerata un paese sicuro per il richiedente, e dunque, debba presentare la richiesta di protezione internazionale in Turchia. Da marzo 2020, la situazione è diventata ancora più complessa dal momento che la Turchia ha unilateralmente deciso di sospendere le riammissioni di richiedenti asilo dalla Grecia.
In un’intervista per Scomodo, due esperte impegnate nell’assistenza legale ai richiedenti asilo descrivono gli effetti di queste procedure. Elèna Santioli, project coordinator di Refugee Legal Support, spiega che «l’accesso alla procedura accelerata è già di per sé molto limitato a causa dei sistematici, ma illegali e brutali, respingimenti alle frontiere. Chi riesce ad arrivare e a presentare la richiesta di asilo, viene rinchiuso in aree per la quarantena.
L’accesso a queste aree è negato allo staff delle Nazioni Unite ma anche a noi avvocati e operatori legali. Ma dalle numerose testimonianze dirette che abbiamo raccolto, è chiaro che le condizioni di vita in queste zone siano assolutamente degradanti, umilianti. Tutto ciò è privo di qualsiasi base legale. Si tratta di un atto non soltanto disproporzionato ma anche discriminatorio. La quarantena non si impone più né ai turisti né a chi provenga dall’Ucraina. Spesso nei CCAC le autorità greche non forniscono alcuna informazione, né permettono ad altre realtà di farlo.
Dopo la registrazione della domanda di asilo, le persone vengono, nel giro di pochi giorni, sottoposte al colloquio di asilo. Non hanno il tempo di prepararsi e di prendere coscienza dei propri diritti. Le scadenze ravvicinate mettono a dura prova l’assistenza legale, perché non c’è abbastanza tempo per informare le persone circa la procedura d’asilo, quali siano i loro diritti e prepararli per il colloquio d’asilo. Il risultato è che le informazioni importanti non vengono prese in considerazione durante il colloquio, perché i beneficiari non sanno di doverle riferire. Di conseguenza, una richiesta di asilo potenzialmente legittima potrebbe venire rifiutata».
A proposito della procedura di ammissibilità, Shannon Donnelly, consulente legale per Mobile Info Team, racconta: «Ho assistito due clienti afghani, la cui domanda è stata dichiarata inammissibile senza alcuna considerazione per il pericolo che correvano in Turchia, nonostante avessero ripetutamente denunciato violenze da parte della polizia e detenzione arbitraria. La Turchia non può essere sicura per queste persone anche a causa dei precedenti casi di rimpatri forzati dalla verso la Siria e l’Afghanistan».
Anche Elèna, che ha personalmente assistito centinaia di casi sulla questione dell’ammissibilità, ne riporta uno in particolare, la cui domanda è stata dichiarata inammissibile nonostante la Turchia fosse manifestamente un paese non sicuro. «Un richiedente somalo, in fuga dalla persecuzione del gruppo terroristico armato al-Shabab. Aveva un caso solido, con tutte le prove relative alla persecuzione in Somalia e una testimonianza molto dettagliata. In Turchia non ha potuto registrare la sua richiesta di asilo perché le autorità si sono rifiutate di autorizzarlo. Costringendolo a una condizione di illegalità – perché ricordiamolo, nessun essere umano è illegale – è rimasto senza documenti ed è stato arrestato e messo in un centro per il rimpatrio. Durante la detenzione non gli è stato dato da mangiare. Dopo otto giorni, gli è stato detto di firmare una richiesta di rimpatrio volontario per uscire».
«In molti casi – prosegue Elèna – le persone sono forzate a firmare documenti senza saper di cosa si tratti, o sapendolo ma costrette dalla necessità, perché vogliono uscire. Pur potendo descrivere in modo molto dettagliato quanto successo, la sua domanda è stata comunque ritenuta inammissibile. A Lesbo, la totalità delle domande di protezione internazionale presentate da uomini solo di origine somala è stata ritenuta inammissibile. Recentemente invece, ho incontrato un minore non accompagnato scappato da solo dall’Afghanistan, che dalla Grecia per due volte è stato respinto illegalmente in Turchia e dalla Turchia entrambe le volte è stato deportato in Afghanistan. Ha solo tredici anni. Questo dimostra l’assenza di un’adeguata valutazione individuale della richiesta e la chiara volontà politica di esternalizzare le frontiere europee. Ma si tratta di un attacco diretto al diritto di richiedere protezione internazionale e viola quindi la legislazione europea e internazionale».
Di recente, l’ONG Refugee Support Aegean ha pubblicato un’analisi sulla procedura d’asilo greca relativo al 2022. Il Report conferma che la Grecia continua ad applicare sistematicamente il concetto di «paese terzo sicuro», nonostante la chiara assenza di prospettive di riammissione in Turchia dal 2020. Nel 2022, 3.445 richieste sono state giudicate inammissibili sulla base della Turchia come paese sicuro. Sebbene tale dato sia inferiore a quello dell’anno precedente (6.424), il numero di domande inammissibili basate sul concetto di «paese terzo sicuro» durante la seconda metà del 2022 (2.468) è più che raddoppiato rispetto alla prima metà del 2022 (1.143).
Attualmente, i paesi col più alto tasso di riconoscimento della protezione internazionale sono Afghanistan, Siria e Somalia. I tassi di riconoscimento della protezione sono rispettivamente 99,6%, 99,1% e 85,2%. Tuttavia, se si considerano anche le domande giudicate inammissibili, i dati si abbassano rispettivamente a 80,8%, 69,2% e 53,3%. Nella pratica, i richiedenti la cui domanda è dichiarata inammissibile, sono lasciati in un limbo legale, dove non è permesso loro di ottenere la protezione internazionale in Grecia e nemmeno ritornare in Turchia, restringendo sensibilmente il loro diritto di richiedere asilo e la possibilità di risiedere nel territorio legalmente.
La dichiarazione UE-Turchia ha drasticamente ridotto l’accesso a una procedura di asilo equa, in cui gli standard giuridici internazionali e dell’UE siano garantiti e rispettati. La scelta dell’Unione Europea di percorrere la via dell’outsourcing, oltretutto verso un paese che appare essere tutt’altro che sicuro, ha creato una negazione sistematica e istituzionalizzata dei diritti fondamentali delle persone richiedenti asilo.