Il 30 marzo il Garante della Privacy italiano ha disposto il blocco di ChatGPT, sistema d’intelligenza artificiale sviluppato da OpenAI, in quanto viola le regole UE sulla protezione dei dati personali e non presenta filtri per i minori. Da poco meno di due settimane, però, il sistema è nuovamente accessibile dopo essersi adattato alle richieste del Garante.

La paura di essere rimpiazzati, in futuro, da testi autogenerati da ChatGPT ha portato gran parte della stampa italiana ad affrontare il dibattito in maniera molto più strutturale. Con un’ampia copertura del tema, anche prima della decisione del Garante. L’AI rappresenta, in quest’ottica, un’occasione per i quotidiani per recuperare alcune buone pratiche: trasparenza delle informazioni, verifiche approfondite e citazione delle fonti.
Il quotidiano Domani sembra aver accolto questa nuova sfida. In un articolo Daniele Erler, due giorni dopo la decisione del Garante, ha sottolineato che «i giornali hanno la possibilità di rinnovare il patto con la loro comunità di riferimento, mentre la disinformazione acquista nuove armi e si appresta a esplorare nuove frontiere. Lo si può fare con nuove policy, che mettano nero su bianco le regole del gioco. O semplicemente cercando di fare bene il proprio lavoro ogni giorno, senza cedere alla tentazione di scorciatoie artificiali. Facendo giornalismo come andrebbe sempre fatto: con la ricerca maniacale della verità e con l’ammissione e la correzione degli errori che inevitabilmente capiteranno».

Come fa notare l’articolo di Erler, Slow News (progetto digitale italiano che ha come mission «un giornalismo lento e di qualità») ha pubblicato una policy aperta sulla necessità di stabilire, in accordo con i lettori, i confini sull’uso – con una certa etica e attenzione – delle nuove tecnologie nelle redazioni. Tra le prime adesioni quella di Paolo Cagnon, condirettore de il Mattino di Padova (e di altre testate locali del triveneto del gruppo GEDI) che «sta lavorando ad alcune linee guida interne e a un patto di trasparenza con i lettori».
Sempre Domani nei giorni successivi, in un ragionamento più ampio riguardo il rischio di maggior proliferazione dei deepfake (foto video e audio estremamente realistici creati grazie a software di AI) ha sottolineato come lo sviluppo di queste tecnologie possa «restituire nuovo valore al giornalismo [tradizionale]». A cui «le persone potrebbero tornare a rivolgersi in cerca di qualche certezza. Starà allora al giornalismo mostrarsi all’altezza della sfida posta dai deepfake, evitando che per allora la fiducia dei cittadini sia completamente azzerata».

Sperimentare
Un tentativo originale, per migliorare il rapporto giornale-lettore, arriva dalle pagine de il Foglio che qualche settimana fa ha lanciato un contest: per un mese il giornale ha nascosto nelle sue pagine un testo generato da intelligenza artificiale invitando i suoi lettori a segnalarlo. In palio un abbonamento e una bottiglia di champagne ogni fine settimana. Come si legge nell’articolo – generato da Chat GPT – di promozione dell’iniziativa, il contest mira a dimostrare come l’AI possa essere un valido strumento di supporto per il giornalismo «ma il valore aggiunto dei giornalisti rimane nella loro capacità di analizzare, interpretare e comunicare le notizie».

E la politica?
Sul tema i politici con le loro dichiarazioni sono i grandi assenti sulle pagine dei quotidiani. Lo fa notare Mattia Feltri, nel rituale Buongiorno su La Stampa: «avete per caso visto qui un esponente di governo, un segretario di partito, un leader laterale che ne sappia qualcosa e abbia detto una parola?». Pochissimi hanno infatti preso posizione dopo la decisione del Garante.
La mancanza di un “termometro” dell’opinione pubblica sul tema – e l’assenza stessa di un ministero ad hoc sul digitale diversamente dai precedenti governi – ha “spoliticizzato” il dibattito. Questo contesto ha favorito una trattazione molto più approfondita sui giornali, con più analisi di esperti del settore e meno dichiarazioni di politici pronti a posizionarsi sull’argomento.

Lo spostamento apparente di un oggetto causato da un cambiamento di posizione dell’osservatore è un effetto ottico noto come parallasse. Parallasse è anche il nome della rassegna stampa critica di Scomodo. Attraverso questo concetto vogliamo descrivere il relativismo nelle interpretazioni dei fatti che caratterizza l’industria dei media in Italia. Commistioni politiche e partigianerie, rivalità fra editori, influenze degli inserzionisti. Ogni settimana proveremo a raccontarvi la genesi di una notizia, nel contesto della crisi strutturale del giornalismo italiano.