Finanziatori, produttori e venditori
Il tema dei finanziamenti al settore di produzione e vendita degli armamenti è tra i meno affrontati dal dibattito mediatico. Le banche, in molti casi, svolgono un ruolo centrale e, nonostante le campagne per il disarmo e la nascita di istituti etici, non sembra vogliano rinunciare agli ingenti profitti provenienti da investimenti e operazioni finanziarie in questo settore. Con il 27% del totale delle armi esportate tra il 2014 e il 2018, l’economia dell’Unione Europea è tra le leader del settore.
L’Italia si colloca al nono posto per l’export globale di armi e accessori e quinta in Europa, con profitti per oltre 10 miliardi: considerando i dati riportati da Opal, Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e sulle Politiche di Sicurezza e Difesa, è possibile notare quanto siano ancora oggi importanti le forniture militari a paesi impegnati in conflitti, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, principali attori della guerra in Yemen, oppure la Turchia, presente nel contesto siriano e in stato di continua tensione con il popolo Curdo. In 4 anni la Farnesina ha autorizzato l’esportazione per 890 milioni di euro di armamenti verso Ankara.
La legge 185\1990 (normativa vigente sull’export di armi) è una delle più avanzate a livello internazionale e affida un ruolo centrale nel controllo di questo settore industriale al Ministero degli Affari Esteri. Questo stabilisce divieti di esportazione verso quei Paesi che si trovano in stato di conflitto armato o che sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani. E’ proprio sulla base di queste disposizioni che diverse organizzazioni hanno chiesto l’embargo totale dell’export verso la Turchia.
Le operazioni di import-export sono estremamente complesse e pluriennali, e coinvolgono necessariamente gli istituti bancari. Per molti versi innovativa, la legge del ‘90 introduce l’obbligo di trasparenza bancaria in caso la banca decida di effettuare questo tipo di operazioni.
La forza dell’Industria italiana non proviene esclusivamente dal commercio delle armi pesanti, come nella maggior parte degli altri paesi europei, ma anche da quelle leggere, delle quali siamo uno dei maggiori produttori ed esportatori al mondo. La legge è poco esaustiva nella classificazione dei divieti di esportazioni per questa tipologia di armamenti.
E’ stato più volte dimostrato come il fine ultimo della destinazione di queste armi, la maggior parte semiautomatiche, non sia esclusivamente lo sport o la caccia; i circa 700 milioni di fatturato di Industrie come Beretta S.P.A. e i luoghi di destinazione dell’export (Arabia Saudita ad esempio), accompagnati dai numeri sull’utilizzo di armi leggere in paesi in situazioni di tensione armata, complicano la questione.
Inoltre, per le banche rimangono esclusi dal monitoraggio della legge tutti i rapporti con i produttori di armi diversi da quelli per le operazioni di semplice import-export di armi: le linee di fido e altre operazioni creditizie, gli investimenti in obbligazioni, i possibili servizi di consulenza finanziaria. Molte banche dunque hanno ripudiato la nomenclatura di “Banche armate” e tuttavia mantengono scambi economici con le aziende del settore, ricavandone profitti.
Banca Etica è il primo Istituto italiano che, nella valutazione integrata dei profitti proveniente dai finanziamenti, analizza il richiedente non solo sotto gli aspetti della sostenibilità economica ma anche di quella socio-ambientale. Anna Fasano, presidente di Banca Etica dallo scorso maggio, sostiene che “i principali criteri di finanziamento al commercio delle armi sono due: il finanziamento alle imprese tramite forme di credito e la promozione di investimenti finanziari in quelle stesse imprese. Le banche italiane sono altamente implicate e le acquisizioni e fusioni degli ultimi anni hanno complicato il quadro e allargato tale implicazione”.
Il grande tema della riconversione industriale
Il cambiamento climatico alle porte e la prossima insostenibilità di molti settori industriali richiedono l’esplorazione di nuovi modelli per le economie delle società del futuro, partendo dalla consapevolezza dell’inadeguatezza di quelli passati. L’economia e la finanza hanno un ruolo chiave nella limitazione delle pratiche belliche e nella instaurazione di un nuovo ecosistema economico e sociale.
Le strategie economiche devono salvaguardare i posti di lavoro, avviando processi che consentano alle imprese di inserirsi in settori di produzione a domanda più elevata rispetto a quelli in cui già operano e che sono destinati ad esaurirsi o ridursi drasticamente. Potranno farlo con l’introduzione di nuovi impianti o con la trasformazione di quelli esistenti: lo scopo è quello di produrre, in funzione di nuove esigenze di mercato, beni o servizi differenti rispetto a quelli precedentemente prodotti o erogati.
Riconversione industriale non significa dunque ridurre i livelli occupazionali ma convertire i posti di lavoro, consentendo ai lavoratori delle industrie un percorso formativo in grado di innovare le proprie conoscenze e ristrutturare le dinamiche aziendali.
Le banche hanno una funzione predominante nella creazione di questo nuovo ecosistema: la riconversione bancaria, accompagnata da una riduzione drastica dei finanziamenti alle industrie belliche o a quelle che comportano un notevole impatto ambientale, deve mirare a creare nuovi posti di lavoro e a cercare forme di profitto nei settori in via di sviluppo.